6.1.15

Sinistra italiana. Il tappo e le macerie

Mi capita di dire che i partitini e gli esponenti della sinistra nella seconda repubblica, specie quelli che, tra Parlamento e Regioni, partecipavano all'abbuffata dei rimborsi e dei vitalizi mentre si colpivano duramente il reddito e i diritti dei lavoratori, sono un grave ostacolo alla rinascita di una sinistra decente. I loro esponenti reagiscono male, specie quelli con un grande avvenire alle proprie spalle. Del resto i più tra loro non ammettono colpe gravi, pensano: "ho sempre difeso il lavoro e, quanto a indennità e vitalizi, ho fatto quello che si è sempre fatto (compreso il finanziamento del partito)". “Non c'è più sordo di chi non vuol sentire” - recita un proverbio appropriato.
Lo rispiego, comunque, per esteso e fino alla noia. Quando per il popolo lavoratore crescono redditi, diritti, poteri, sulla spinta di un movimento politico e sindacale, i privilegi dei dirigenti e dei rappresentanti sono sopportati come un prezzo da pagare, specie se non esagerati; ma essi diventano insopportabili nel tempo della sconfitta. Non solo i casi più aberranti (l'auto blu conservata da Bertinotti non rieletto, per esempio) suscitano indignazione, ma anche agi e vantaggi meno sostanziosi gettano il discredito su chi ne gode. Accade così che lavoratori e persone con valori e sentimenti di sinistra rifiutino perfino di ascoltare chi non ritengono credibile. "Amara a cu è mortu nni lu cori di l'autri" e costoro sono morti nel cuore di tanti lavoratori e di tante persone che si riconoscevano o si riconoscerebbero nei valori della sinistra.
Alcuni compagni, anche carissimi e stimati, a questo punto mi bloccano: "Io non ci credo alla storia del tappo". Neanch'io. La metafora del tappo non funziona in nessuno dei sensi. Non c'è nessun tappo che impedisca a una sinistra sociale in salute, a movimenti di massa combattivi di trovare una espressione politica, anche perché questa sinistra sociale non c'è. Non ci sono in campo movimenti, solo sacche di resistenza, poca cosa. E non c'è nessun tappo che impedisca a chi vuole di entrare nei soggetti politici esistenti, in Rifondazione, in Sel, nel Pdci; ma non c'è bisogno alcuno di tappo in questo caso, non sono luoghi attraenti per giovani impegnati e combattivi, non solo per via di quei dirigenti ed ex dirigenti piuttosto sputtanati che tra gli altri li abitano, ma anche per l'impressione di angustia e la puzza di muffa che da essi promana.
La metafora giusta non è il tappo dunque, mi sembrano più adeguate le macerie. Partitini e ceto politico della sinistra morente con la loro presenza impediscono di gettare semi per il futuro. Si potrebbe seminare in due modi: in primo luogo tenendo il punto e approfondendo l'analisi contro le ideologie neoliberiste oggi dominanti, mercatismo, competitività, flessibilità del lavoro eccetera, mostrando la distruttività sociale e ambientale delle pratiche che ne derivano e l'impossibilità di bloccare il dominio della finanza nell'attuale struttura del capitalismo globalizzato; in secondo luogo lavorando al reinsediamento di queste idee tra le classi subalterne, specie nel mondo del lavoro, tenendo presente la scomposizione e frammentazione di quella che fu la “classe operaia” (costruzione eminentemente politica) e promuovendo lotte di nuovo tipo, per ricostruire l'unità del lavoro subordinato e sfruttato.
La dico a modo mio: ci vogliono apostoli, comunicatori e capipopolo consapevoli e poveri e ci vuole un contenitore completamente nuovo. Non sarà difficile che se ne trovino e si ritrovino: ci sono persone che crescono e vivono nella “passione dell'uguaglianza”; se si crea il clima giusto, sapranno accettarsi l'uno con l'altro anche nelle differenze. Saranno soprattutto giovani, ma sapranno accettare anche i vecchi, almeno quanti avranno l'umiltà di ascoltare e dire senza pretendere di dettare la linea. In ogni caso le nuove avanguardie saranno credibili solo se l'uguaglianza non sarà solo agitata, ma agìta, se diverrà - come per i socialisti e i comunisti delle origini - pratica di vita, condivisione.
I tempi corrono in fretta ed io sono tornato ottimista. Non occorreranno forse i molti decenni che temevo per riavere nella politica, nella comunicazione, nella cultura, nella socialità una sinistra anticapitalistica forte, consapevole, organizzata, ragionevole, tendenzialmente maggioritaria. Forse basteranno alcuni lustri, quattro o cinque, per tornare a vincere, specie se si darà la giusta importanza alla battaglia delle idee. Ma intanto occorre sgombrare il campo dalle macerie: chi, più o meno colpevolmente, è stato all'avanguardia del disastro non deve più stare tra i piedi e in primis dovranno togliersi di mezzo i percettori di vitalizi. I meno colpevoli, i più affezionati al “sogno della cosa”, all'idea di un radicale rinnovamento egualitario della società lo faranno da sé, con rammarico certo, ma di propria iniziativa.  

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