24.2.15

Le “telenovelas” specchio della società brasiliana (Lamia Oualalou)

Promosse sotto la dittatura (1964-1985) nell’ottica di saldare questo paese-continente, le «telenovelas» brasiliane sono cambiate. Seguite dall’insieme della popolazione, fanno da specchio a una società in pieno sommovimento. L'articolo qui postato fornisce un orientamento documentato sul “genere”, sulle sue modificazioni, sul significato sociopolitico di questi sviluppi. Ho tolto le note, per praticità. (S.L.L.)
COME "RETE GLOBO" HA COSTRUITO
UNA COMUNITA' IMMAGINARIA NAZIONALE
«Non ci sarà nessuno!» Il comitato elettorale di Fernando Haddad, allora candidato sindaco di San Paolo, era stato categorico: la presidente Dilma Rousseff non poteva pensare seriamente di tenere il suo comizio di sostegno al candidato del Partito dei lavoratori quel venerdì 19 ottobre 2012, proprio nell’orario in cui andava in onda l’ultimo episodio di Avenida Brasil, la telenovela di grido della rete Globo. Quella sera, decine di milioni di brasiliani avrebbero assistito allo scontro finale fra le due eroine, Nina e Carminha, per sapere chi aveva ammazzato Max. Convinta, la presidente aveva spostato l’appuntamento pubblico all’indomani.
Avenida Brasil ha segnato il ritorno dei grandi rituali che riuniscono la maggioranza delle famiglie davanti al televisore. Una pazzia se si pensa che la telenovela brasiliana, la novela, come si preferisce chiamarla qui, ha festeggiato i suoi 60 anni nel 2012.
Quando nasce la televisione in Brasile, le soap opera americane hanno già conquistato Cuba, via Miami. Ed è naturalmente agli autori dell’isola spaventati dalla rivoluzione che si rivolgono le reti, a cominciare dalla pioniera Tv Tupi. Il diritto di nascere, diffusa nel 1964, è così un adattamento dell’omonima produzione radiofonica che inondò l’isola caraibica nel 1946. Come a Cuba, la storia ha una fine, mentre negli Stati uniti può durare decenni. Per la prima volta, la vita a San Paolo e a Rio si ferma per una mezz’ora, diverse volte a settimana... ma non nello stesso momento. La novela non è ancora quotidiana, e la trasmissione in rete non esiste: non appena l’episodio è stato diffuso a San Paolo, la pellicola viene portata in aereo o in macchina a Rio (la capitale fino al 1960).
All’epoca, la trama era sovente esotica, come testimoniano titoli quali Il re dei Gitani, Lo sceicco di Agadir o Il ponte dei sospiri. Nel 1968, Beto Rockfeller segna una rottura. Per la prima volta, l’eroe vive a San Paolo. Lavora da un calzolaio, in una grande strada popolare della megalopoli, ma si spaccia per milionario a un altro indirizzo. Con un vocabolario corrente, riferimenti alle gioie e alle difficoltà di un Brasile urbano, tanto più efficaci perché alcune scene vengono girate in esterno, la novela cambia volto. «Da allora in poi, incorpora le questioni sociali e politiche che attraversano il Brasile, mentre in Messico o in Argentina si continua con i drammi di famiglia», spiega Maria Immacolata Vassallo de Lopes, che coordina il Centro studi della telenovela all’Università di San Paolo (Usp).

Molti autori provengono dal teatro
Poi appare Tv Globo, che s’impadronisce del format. A tal punto che, secondo Bosco Brasil, un ex autore della casa, «quando si dice “novela brasiliana”, si pensa “novela di Globo”». Nata nel 1965, un anno dopo il colpo di stato militare, la rete è inizialmente frutto del genio politico di Roberto Marinho, che eredita un giornale importante, Globo, ma privo di influenza a livello nazionale. Egli capisce quanto sia strategicamente importante per la giunta realizzare l’integrazione del territorio. Mentre per Juscelino Kubitschek (1956-1961), quest’ultima passava per la costruzione di una rete stradale, i militari – al potere tra il 1964 e l’85 – scommetteranno sui media. E, in questo campo, Globo sarà un pezzo centrale: «Da un punto di vista economico, ha giocato un ruolo essenziale nell’integrazione di un paese dalle dimensioni continentali, attraverso la formazione di un mercato di consumatori. Da un punto di vista politico, la sua programmazione ha portato un messaggio nazionale di ottimismo legato allo sviluppo, cruciale per sostenere e legittimare l’egemonia del regime autoritario», sostiene Venicio de Lima, ricercatore in comunicazione all’Università nazionale di Brasilia.
Col tempo, la rete ha creato «un repertorio comune, una comunità nazionale immaginaria», spiega Vassallo de Lopes. Nel 2011, 59,4 milioni di famiglie, ossia il 96,9% del totale, hanno la televisione, e ogni brasiliano consuma in media 700 ore di programmi di Globo ogni anno. Mentre il gaucho (abitante dell’estremo sud del paese), più vicino agli argentini nel modo di vita, non ha molto a che vedere con un pescatore dell’Amazzonia o un’agricoltrice del nordest, tutti condividono ormai il sogno di conoscere Rio, principale contesto delle storie di Globo, oppure di portare la camicia bianca e la cintura dorata di Carminha. L’identificazione è tanto più facile in quanto la frontiera tra fiction e realtà è labile. Quando i brasiliani festeggiano il Natale, i loro eroi sul piccolo schermo fanno lo stesso. Il crollo, reale, di un edificio a Rio de Janeiro nel gennaio del 2012 è commentato dai personaggi di Figura fine il giorno dopo. E quando, nel corso di un episodio, si seppellisce un finto deputato, degli uomini politici reali accettano di farsi filmare intorno alla bara.
Giovani e vecchi, ricchi e poveri, analfabeti e intellettuali: tutti devono potersi contemplare in questo specchio. Secondo la psicanalista Maria Rita Kehl, «queste immagini uniche che percorrono un paese così diviso com’è il Brasile contribuiscono a trasformarlo in una parodia di nazione la cui popolazione, unita non tanto come popolo, ma come pubblico, parla lo stesso linguaggio».
L’innegabile benevolenza dei militari non spiega da sola come Globo abbia potuto imporre questa sintassi. Nelle ore di maggiore audience, la rete riesce a fare la prodezza di diffondere le sue produzioni; in Francia, in quelle fasce orarie, sono spesso le serie americane a imporsi. «Tutto questo si deve a un vero talento artistico e tecnico, che si è concentrato sulla novela», insiste Mauro Alencar, professore di teledrammaturgia brasiliana e latinoamericana all’Usp. Quando decide di fare della novela il cuore della rete, Marinho assume a tutto spiano. Paradossalmente, la dittatura gli facilita il compito, perché la censura proibisce a buoni attori di teatro, spesso di sinistra, di portare in scena le loro pièces. È così che scrittori come Dias Gomes, Braulio Pedroso o Jorge Andrade si ritrovano a lavorare per il «dottor» Marinho e per la televisione, che prima disprezzavano.
Contro ogni aspettativa, questi grandi nomi si vedono offrire una vera libertà dai dirigenti della rete, che accettano di tener testa ai censori. Globo aveva già girato 36 capitoli di Roque Santeiro, di Dias Gomes, quando fu proibita la diffusione della novela. Roque Santeiro conoscerà un successo strepitoso quando verrà girata di nuovo, dieci anni più tardi, nell’85, dopo l’avvento della democrazia. Nel 1996, Il re del gregge di Benedito Ruy Barbosa, un’elegia della riforma agraria, dà una visibilità inedita al Movimento dei senza terra (Mst).
«Sono 35 anni che lavoro per Globo, sono autore di 17 novelas e non mi hanno mai detto cosa dovevo fare. Sono sempre stato totalmente libero», afferma Silvio de Abreu, uno dei principali autori della rete. Per Maria Carmen Jacob de Souza Romano, docente di comunicazione all’Università federale di Bahia, «i grandi autori hanno un potere di negoziato, certo. Danno prova di buon senso e non possono trasformare la novela in un volantino su temi sociali, ma hanno la possibilità di affrontare i temi a cui tengono, se hanno successo».
Dal centro di Rio, ci vuole un’ora buona di macchina, quando il traffico scorre, per arrivare alla Projac, una fabbrica di sogni messa su da Globo a Jacarepaguá, nella parte ovest della città. Oltre un milione e mezzo di metri quadrati, al 70% foresta, consentono alla rete di concentrare, dal 1995, le tappe di produzione di una telenovela. «Prima, le riprese venivano effettuate in diversi studi sparsi per tutta la città. Concentrarle consente un’enorme economia di tempo e di denaro», spiega Iracema Paternostro, responsabile delle relazioni pubbliche, mostrando una pianta delle istallazioni.
Per fare tutto il giro, serve l’automobile. Qui, un edificio raggruppa le squadre di ricerca incaricate degli archivi e degli studi di mercato. Un po’ più lontano, i costumi vengono disegnati, cuciti e accuratamente conservati, per essere utilizzati in seguito. Poi si entra in un gigantesco laboratorio di falegnameria in cui vengono elaborati mobili e allestimenti ideati a pochi metri da lì: un salone del XIX secolo, una rampa di metro – il tutto in pezzi componibili pronti per essere montati in qualche ora in uno dei quattro studi di mille metri quadrati in cui le novelas vengono girate tutti i giorni dell’anno. I pezzi verranno poi smontati e conservati per le riprese future, o distrutti per essere riciclati.
All’est del territorio si trova la città cinematografica, con qualche impianto permanente, come una curiosa chiesa che dispone di una triplice facciata, una barocca, l’altra italiana, la terza portoghese. «Abbiamo sempre bisogno di una chiesa», dice divertito Paternostro, riferendosi all’inevitabile matrimonio dell’episodio finale. Dietro, ci sono dei veri angoli di città, che vengono allestiti per nove mesi, la durata media di una novela. Poiché la metà dell’azione di Salve Jorge, diffusa all’inizio del 2013, si svolge in Turchia, la direzione artistica ha ricostruito una piccola Istanbul, fin nei minimi dettagli: un poster strappato, un libro caduto da una biblioteca, una teiera tradizionale. Per montare l’allestimento, sono state scattate sul posto migliaia di foto, ed è stato portato a Rio un carico di oggetti tipici. Delle squadre hanno anche filmato per ore la vita di tutti i giorni, i venditori ambulanti, il flusso delle auto. Al momento del montaggio, le immagini, sempre in grand’angolo, vengono inserite nelle scene girate nella città cinematografica. L’illusione funziona a meraviglia. E il procedimento non riguarda solo le destinazioni lontane: vicino alla piccola Istanbul, c’è un dedalo di strade che riproduce su 1.800 metri quadrati l’Alemão, una delle più grandi favelas di Rio de Janeiro. E di nuovo, sembra di starci. Globo ha persino assunto Adriana Souza, venditrice di empadas (calzoni ripieni di carne o di gamberetti) perché venda i suoi prodotti nell’allestimento di cartapesta come fa nella favela.
Il segreto del successo di Globo è la sua capacità di produrre su scala industriale tutte le tappe della creazione, per riuscire a diffondere ogni giorno almeno tre novelas, ognuna delle quali conta tra 140 e 145 episodi di una quarantina di minuti, e dura da sei a nove mesi. Ogni orario ha il suo stile, secondo un modello stabile dal 1968: la novela delle 18 affronta un tema leggero; quella delle 19 è spesso comica; le questioni sociali e i drammi sono riservati a quella delle 21, l’orario «nobile». Quanto alla narrazione, riprende spesso le ricette tipiche del melodramma, che ruotano intorno alla questione della famiglia, dell’identità e della vendetta.
Produrre una novela costa caro: intorno ai 200.000 dollari per episodio, secondo le stime di Vassallo de Lopes. «Una forte tendenza di questi ultimi anni è il remake dei grandi successi del passato», spiega Nilson Xavier, autore di Almanaque de telenovela brasileira (Panda Books, 2007). «Una scelta imbecille» agli occhi di Gilberto Braga, uno degli autori più corteggiati di Globo. Per lui, «non esistono ricette». Una volta che è stata approvata la sua proposta, l’autore si circonda di un gruppo di assistenti, che scriveranno una parte dei dialoghi e delle scene a ritmo forsennato. Prima del lancio, viene girata una trentina di episodi. Fin dai primi giorni della diffusione, viene accuratamente monitorata la reazione del pubblico, sia mediante inchieste o attraverso le reti sociali. «La novela è un’opera aperta - spiega Flavio Rocha - uno dei direttori di Globo. Una coppia può apparire poco convincente agli occhi del pubblico e scomparire, mentre un personaggio che era secondario può diventare centrale se incontra più successo. L’autore si adatta.»
Il discorso sull’«opera aperta» è un mito coltivato da Globo. Prima di lasciarsi andare alla propria immaginazione, gli autori sono infatti pregati di pensare ai costi di produzione: idealmente, le scene che si svolgeranno in un salone devono essere scritte prima, per essere immesse nel giro, prima che un’istallazione venga distrutta per essere sostituita da un’altra nello studio. In questo modo, gli attori inanellano nello stesso pomeriggio le riprese di scene degli episodi 8, 22, 24, e 42. Solo chi ha l’abitudine a questo tipo di riprese riesce a raccapezzarsi nell’intreccio.
Lavorare con una star è un rompicapo per l’autore: certi attori fanno mettere nel contratto che andranno alla Projac solo il martedì e il giovedì, oppure esigono una fortuna per cambiare la loro agenda. Vogliono anche concentrare le scene che li riguardano nella stessa giornata. «È per questo, per esempio, che i grandi personaggi non divorziano mai: questo potrebbe costringerli a uscire dalla loro casa, la loro scenografia principale, e a girare in moltissime altre», dice divertito un autore che preferisce mantenere l’anonimato. La scrittura deve essere semplice, sufficientemente ripetitiva perché lo spettatore possa riannodare il corso della storia se ha perso alcuni episodi. I personaggi hanno tuttavia una loro complessità e la narrazione – che rimanda spesso a un ricco patrimonio letterario – è abbastanza elaborata da ossessionare la società per anni dopo la sua diffusione.
Per di più occorre raggiungere tutte le classi sociali: «È l’imperativo della novela, come del telegiornale di Globo. E tuttavia scrivere per tutti è in apparenza un controsenso. Quelli che ci riescono sono rari», afferma Bosco Brasil. Essere autore di novela non è mica da tutti: «Tra il 1989 e il 2004, 25 novelas sono state diffuse nell’orario nobile, ed erano firmate soltanto da sei autori, che si alternavano», conferma Souza Romano. Il salario dei membri di questo piccolo club supera spesso i 100.000 euro al mese.

Donne delle pulizie come eroine
Una fortuna per gli uni, ma una somma trascurabile rispetto a quanto frutta questo prodotto artistico e commerciale. Si calcola che una pubblicità di trenta secondi durante la novela in orario nobile costi intorno ai 350.000 real (circa 115.000 euro). E per l’ultimo atto di Avenida Brasil il prezzo è raddoppiato. Quella sera, l’episodio durava 70 minuti, quasi due ore con la pubblicità. Tra gli spot regionali e nazionali, sono stati venduti 500 spazi.
Lo specchio della modernità funziona ancora meglio se integra un discorso pedagogico sulle grandi cause assunte dalla rete. Secondo studi della Banca interamericana di sviluppo (Bid), le novelas hanno giocato un ruolo nella forte riduzione delle nascite – il tasso di natalità è sceso del 60% dagli anni ’70 – e nel numero dei divorzi, di cinque volte maggiori (3). La leucemia di Camila, personaggio di Legami di famiglia, diffuso nel 2000, ha provocato un’esplosione di donazioni d’organi. «Alcune novelas hanno anche contribuito molto a fare accettare l’omosessualità», aggiunge Silvio de Abreu, ricordando che Globo dispone di un dipartimento incaricato di suggerire temi sociali.
Spesso politicamente corretta, l’evocazione di dibattiti sociali costituisce una caratteristica della novela brasiliana. Per Globo, pezzo centrale delle Organizzazioni Globo, il primo conglomerato mediatico dell’America latina, controllato solo dalla famiglia Marinho, «c’è anche un modo di darsi una buona immagine, quella di una rete privata che si preoccupa di una missione di utilità pubblica», rileva Souza Romano. Dal canto suo, Alencar vuole credere che l’antico motto di Globo, «A gente se vê por aqui» («Qui, si ritrova la propria vita»), e quello attuale, «A gente se liga em você» («Siamo collegati con voi»), «non sono solo slogan pubblicitari; dimostrano l’intensa relazione di identificazione del pubblico e l’interesse della rete per i grandi temi nazionali».
Mantenere questa relazione non è semplice. Da una parte perché anche se Globo resta la regina incontestata della novela – le altre reti si ostinano a copiare il suo modello di produzione senza dotarsi dei mezzi per metterlo in pratica –, soffre la concorrenza di internet e del disinteresse di una parte della gioventù. Fino agli anni ’70, il punteggio medio dell’audience raggiunto dalle novelas superava spesso il 60%. Oggi, catturare l’interesse del 40% delle famiglie rappresenta un successo. Nel 2012, l’audience totale di Globo ha raggiunto il livello più basso della storia, con una caduta del 10% – che certo ha colpito tutti i canali. «Il problema è che si guarda la novela sul proprio computer, sul telefono, e noi non disponiamo ancora di alcuno strumento di rilevazione per questi supporti», lamenta Alencar.
Di fatto, contro ogni previsione, la caduta dell’audience non ha significato riduzione dei guadagni: le novelas fruttano più che mai. Nelle agenzie di pubblicità, si ammette che questo è in parte il risultato di una certa inerzia. Come per la carta stampata, è più facile spingere gli inserzionisti a concentrare il loro budget su qualche titolo, senza tener conto del loro impatto minimo. E questa illusione è alimentata dal fatto che la novela ha contaminato tutti gli spazi: le sono dedicate decine di riviste, le reti sociali alimentano la suspense, per non parlare degli specialisti di ogni genere invitati a parlare del fenomeno in altre trasmissioni della rete, ma anche nelle colonne del giornale O Globo, e così nelle radio e negli altri canali legati al gruppo – una sinergia ancora poco studiata nelle università. «Si parla e si sente sempre più parlare della novela senza necessariamente vederla», afferma Brasil.Tanto più che la società brasiliana è profondamente cambiata nel corso degli ultimi dieci anni, con l’uscita dalla povertà di oltre cinquanta milioni di persone, che hanno avuto accesso al mercato del consumo di massa, e una sensibile riduzione delle disuguaglianze. «Sono famiglie il cui potere d’acquisto è aumentato considerevolmente. Diventa quindi più interessante investire in pubblicità», precisa Alencar.
È peraltro una delle ragioni dell’enorme successo di Avenida Brasil, che deve il suo nome alla via a scorrimento rapido che collega i quartieri periferici del nord alla zona sud di Rio de Janeiro, ricca e turistica. Decisivo non è stato tanto l’intreccio – una giovane cresciuta su una discarica municipale vuole vendicarsi per essere stata abbandonata dalla matrigna diventata ricca – quanto la comparsa di un nuovo tipo di protagonista. Le tradizionali scene sulle spiagge di Ipanema o di Copacabana, i quartieri più altolocati di Rio, sono state rimpiazzate da un’immersione in un quartiere fittizio, il Divino, tipico della piccola classe media della zona nord della città. Non è la prima volta che i poveri vengono messi in scena; ma, generalmente, il loro solo sogno, che si realizzava nel momento dell’happy end, era quello di accedere alla Rio ricca e distinta. Non così in Avenida Brasil: Jorge Tufão, l’eroe, diventato milionario grazie al football, resta nel quartiere della sua infanzia. Lì si parla ad alta voce, non si sanno usare le posate, ma lui si trova bene. Enorme successo presso quella che il governo s’impegna a descrivere come una «classe media emergente» (in realtà più una «frangia povera» della popolazione attiva), che si vede per la prima volta in scena, come presso i più ricchi, che hanno in questo modo accesso a un mondo sconosciuto.
Questo mix di fierezza per gli uni e di curiosità per gli altri spiega anche la risonanza di Piene di fascino (2012), in cui le eroine sono tre donne delle pulizie: mai visto. «Fino ad allora, era un personaggio secondario, e spesso caricaturale: la donna di servizio che si occupa di tutto nella vita della padrona, senza avere un’esistenza propria», spiega Xavier. Tra l’aumento del salario minimo, passato da 70 a 240 euro tra il 2002 e il 2013, e l’aumento del livello dell’istruzione – la proporzione di giovani di 19 anni che sono andati a scuola per almeno 11 anni è passata da 25,7% nel 2001 al 45% nel 2011 –, il rapporto di forze è iniziato a cambiare nella società, spingendo gli autori, Filipe Miguez e Izabel de Oliveira, a immaginare questa sceneggiatura. «Prima, la donna di servizio appariva solo attraverso le sue funzioni. Noi abbiamo deciso di seguirla nella sua vita, nella sua casa, nella strada, nei suoi sogni», racconta Miguez. Ancora una volta, la prodezza è stata quella di essere riusciti a non aizzare i più ricchi, dalle idee ben poco progressiste, come ha precisato l’autore: «Abbiamo fatto un sondaggio che poneva domande del tipo: “È appropriato che una domestica salga sul vostro stesso ascensore?”, e la maggioranza ha risposto di no».
Mentre negli uffici della Projac sono in molti a riflettere sulle trasformazioni economiche e tecnologiche che scuotono il paese, de Abreu si sente filosofo: «Che la si guardi su Internet o su un telefono, per me, questo non cambierà niente: dovrò sempre svegliarmi presto e scrivere fino a mezzanotte, per produrre un capitolo al giorno».


"Le Monde diplomatique - il manifesto" Luglio 2013 - Traduzione di E. G.

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