1.3.15

Revisioni. La memoria integrale dell'onorevole Verini (R.M.)

La mascella di Verini
Tra le curiosità di questo nostro tempo, che già qualcuno intitola l'epoca del figlio di Tiziano, c'è l'uso di rovesciare il valore delle parole, per cui quando senti parlare di “riforma sociale” immediatamente pensi che ti stiano togliendo qualche diritto, quando odi “democrazia” ti viene in mente un tiranno e quando si pronunciano parole come “memoria” o “ricordo” quello che si pretende è rimozione ed oblio. Nell'ottima “battaglia delle idee” dell'ultimo “micropolis” (27 febbraio ultimo scorso) qui “postata”. Roberto Monicchia, con argomentare documentato, affronta l'ultimo di questi stravolgimenti semantici, in riferimento ad alcune ispirate frasette pronunciate a proposito della “giornata della memoria” e di quella “del ricordo” dal deputato umbro Walter Verini, già noto come attaché di Walter Veltroni. Si legga che c'è da leggere! (S.L.L.)
Il saluto romano di Polverini
“Sulle tragedie del Novecento basta politica settaria”. E’ la sintesi che l’on. Walter Verini (“Il Messaggero”, 12 febbraio) trae dalle inziative cui ha preso parte presso l’Itis di Terni per la “Giornata della memoria” e il “Giorno del ricordo”. Verini nota con soddisfazione come nel primo caso a discutere con lui vi fosse una parlamentare di destra, mentre l’Anpi ha organizzato anche il dibattito sulle foibe. Riducendo all’opera di “qualche nostalgico dell’estrema destra” e di “una sinistra irrimediabilmente datata” le contestazioni ricevute, il deputato del Pd nota con soddisfazione come ormai si possa andare oltre le divisioni ideologiche che hanno funestato il secolo breve, per costruire una politica che non consideri mai l’avversario come nemico assoluto. Se non può esservi una memoria condivisa - aggiunge Verini - è possibile e necessaria una memoria “intera”.
Difficile replicare a tanta saggezza, a simile olimpica conciliazione dei torti e delle ragioni, in cui si riconosce bene l’influenza ideale e perfino lo stile retorico del mentore di Verini, Veltroni. Ci limitiamo quindi a dare il nostro contributo, proponendo alcuni appunti utili a rendere “intera” la memoria.
Nella legge del 2000 che istituisce la “Giornata della memoria” non ricorre mai la parola “fascismo”: il ventennale regime di Mussolini, con la feroce coda dei “ragazzi di Salò”, non pare avere un ruolo specifico nella costruzione della strada che porta allo sterminio. E la data scelta - la liberazione di Auschwitz - allontana la memoria delle responsabilità italiane, che sarebbero state ben più presenti scegliendo ad esempio il 16 ottobre 1943 (liquidazione del ghetto di Roma).
Per converso la data scelta per il giorno del ricordo - il 10 febbraio - non si riferisce al momento degli eccidi e delle foibe (settembre 1943, aprile-maggio 1945), né all’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia, ma alla firma del trattato di pace. Oltre all’intento di avvicinarsi il più possibile al 27 gennaio, i promotori di questa legge, volevano forse contestare gli esiti della seconda guerra mondiale. Si tratta di un punto chiave, che rimanda ancora al tema delle responsabilità e della memoria di ieri.
Il 10 febbraio 1947 l’Italia usciva definitivamente da un conflitto che aveva voluto e condotto; sceglierla come data del “ricordo” significa recidere le origini profonde di quella tragedia. Giova ricordare che furono l’Italia e la Germania ad aggredire la Jugoslavia nel 1941, e non viceversa. Il regime di occupazione italiano fu crudele e feroce quanto quello tedesco. Ancora: il principale responsabile di quelle stragi, generale Roatta, fuggì durante il processo per crimini di guerra (complici i servizi britannici e il Vaticano) e fu poi prosciolto dalla Cassazione.
Senza dimenticare che la guerra seguiva un ventennio di politiche violente di “deslavizzazione” dell’Istria, cominciate già dai governi liberali e poi rese sistematiche dal fascismo. L’uso del giorno del ricordo come “contrappeso” logico e storico alla giornata della memoria e come deresponsabilizzazione tout court dell’Italia e degli italiani, che ascrive le foibe allo scatenamento di una furia cieca (alternativamente ideologica: i comunisti! o nazionale: gli slavi!), è cominciato subito. Lo stesso Napolitano si fece prendere la mano, insistendo sulle responsabilità “slave”, dovendo poi scusarsi con il presidente croato Mesic. Figuriamoci come intende il ricordo la destra:
basti a Verini l’esempio delle pubblicazioni ufficiali della regione Veneto, in cui si esalta la Rsi per aver difeso “l’italianità di quelle terre”.
Forse Verini ricorderà come il premio nobel della letteratura Boris Pahor, sloveno nato a Trieste, prigioniero di Dachau, rifiutò la cittadinanza onoraria della città giuliana offerta da un sindaco di An, che rifiutava di ammettere le responsabilità del fascismo nelle tragedie giuliane del ‘900. Non è quindi in discussione il dovere di ricordare tutte le vittime delle vicende del confine orientale. Si tratta però di capire, distinguere, approfondire. Altrimenti si rischia il lavaggio della coscienza a buon mercato, il ritorno ai rassicuranti luoghi comuni degli “italiani brava gente”, l’assegnazione generica delle colpe al ‘900 delle “idee omicide”. Ciò vale anche per l’esigenza di attualizzare il discorso: le opinioni della destra attuale circa immigrazione, islam e via discorrendo, mostrano che con un certo passato vi è un rapporto di piena continuità. Denunciare certe tendenze una volta era antifascismo; adesso pare si chiami “politica settaria”.

P.s. La parlamentare di destra invitata all’Itis per la giornata della memoria era Renata Polverini, la ex presidente del Lazio nota, oltre che per gli scandali che hanno travolto la sua giunta, per la ripetuta ostentazione del saluto romano.

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