26.4.15

Colonialismo e schiavitù. Il “Codice Nero” del Re Sole (Robert Badinter)

Dagli armadi della storia a volte riemergono scheletri. Uno di questi, il «Codice nero», redatto nella Francia di Luigi XIV per disciplinare il mercato degli schiavi, ha riaperto il dibattito mai concluso sugli orrori del colonialismo. Ripubblicato a Parigi negli anni 80 del Novecento, creò scalpore (molti francesi, per esempio, non sapevano che quel codice restò in vigore fino al 1848). Sul tema intervenne Robert Badinter, giurista, già ministro nel governo socialista, che analizzava le strutture profonde che sostennero (in Francia come altrove) la più mostruosa forma di dominio dell'uomo sull'uomo. (S.L.L.)

Appartiene alla storia delle mostruosità giuridiche. Come i trattati degli inquisitoli o i testi dei processi alle streghe. Ma è più recente. Risale a poco più di tre secoli fa, e restò in vigore fino al 1848. È il Codice nero, scrupolosa e minuziosa collezione di leggi che, nella Francia del Re Sole, sancì con tutti i crismi del giure la condizione degli schiavi negri nelle colonie d'America.
Proclamato in nome e per conto di Luigi XIV, quel codice consacrava la massima ingiustizia come giustizia, instaurava - con la solennità di una apposita legislazione - un sistema aberrante. Quello per cui, appunto, si nega agli uomini la qualità, l'essenza stessa di esseri umani.
Dimenticato da tempo, rimosso, il Codice nero torna alla luce. Grazie agli studi di quello stesso ricercatore francese, Louis Sala Molins, che anni fa ripropose e analizzò il Trattato degli Inquisitori. In questo testo come già nell'altro (il Codice nero con il commento di Molins è pubblicato dalle edizioni Puf di Parigi), insomma, lo storico è andato a frugare tra le pagine oscure del passato per intentare un processo alla storia.
Certo la schiavitù non è un fenomeno limitato alle sole Antille e al solo continente americano o circoscritto nell'arco di tre secoli. Essa è di tutti i tempi e di tutti i continenti. La storia di questo crimine contro l'umanità si confonde con la storia stessa dell'umanità. Di questo crimine però Louis Sala Molins intende denunciare ciò che gli sembra moralmente più insopportabile: la sua esistenza in una civiltà che ha come fondamento la dignità sovrana di ogni uomo, creatura di Dio e titolare di diritti naturali inalienabili.
Di questa contraddizione insostenibile Louis Sala Molins cerca di definire le origini bibliche, antiche e classiche. Il mito della maledizione di Canaan da parte di Noè fonda biblicamente la schiavitù dei neri. In seguito, nella polis, Aristotele pone il principio per cui «ci sono persone libere di natura e altre che non lo sono». Per il teologo, poi, se ogni uomo è creatura di Dio, lo schiavo è invece di questo mondo. Basta leggere Bossuet: «Lo Spirito Santo ordina agli schiavi, per bocca di San Paolo, di mantenersi nel loro stato e non chiede ai loro padroni di affrancarli».
Maledizione profetica, indifferenza filosofica, consacrazione apostolica: così si forgia quello che Louis Sala Molins chiama lo schema bianco-biblico, che sta spiritualmente alla base del crìmine della schiavitù e della tratta dei neri.
Al potere temporale non restava allora che definire le regole. Nella monarchia assoluta, dove ogni potere deriva dal re, anche il non diritto dello schiavo deve dipendere dall'autorità del sovrano: da questi presupposti nasce il Codice nero. La difficoltà non era da poco: si trattava di definire in termini giuridici la condizione di esseri umani ai quali viene negata dal legislatore la condizione di uomini. Il Codice nero proclama: «Dichiariamo gli schiavi esseri mobili». Il loro regime sarà quello definito dalle consuetudini di Parigi per i beni mobili. Gli schiavi rientrano dunque nella comunità di beni tra coniugi. Se lavorano in una piantagione, gli schiavi dovranno seguire la sorte dell'azienda in caso di confisca e verranno venduti insieme ad essa.
Il «Codice nero» fa parte del Grand Siècle. I suoi architetti giuridici costruirono dunque la loro opera secondo i principi che ispiravano l'ordine generale del regno.
Innanzitutto il re è monarca cristianissimo e figlio primogenito della Chiesa. Il Codice nero viene promulgato alla vigilia della revoca dell'editto di Nantes. È il momento della normalizzazione delle anime.
Per evitare qualsiasi rischio di contaminazione spirituale il re comincia col predisporre un provvedimento significativo: con l'articolo primo il Codice nero bandisce dalle Antille tutti gli ebrei. Poi ordina che tutti gli schiavi vengano battezzati ed educati nella religione cattolica, e per questo fa proibizione ai protestanti di catechizzare i propri schiavi nella loro religione. Potranno sposarsi soltanto gli schiavi battezzati.
Cristiano nella Città di Dio, sulla terra lo schiavo rimane destinato alla schiavitù. La sua condizione, così come la stessa sovranità, è permanente ed ereditaria. Nato schiavo, vivrà schiavo, morirà schiavo, genererà schiavi, si sposerà schiavo col permesso del suo padrone. Lo schiavo non può essere niente né avere niente. Non può conquistare la sua libertà, se non attraverso l'improbabile matrimonio con un uomo libero oppure per bontà del suo padrone. La volontà del padrone è sovrana. Lo schiavo è sua proprietà. Libero il padrone di rinunciarvi, cioè di affrancarlo.
Ora, il re ama l'ordine, compreso quello nelle «Isole d'America». Lo schiavo può avere la tentazione di ribellarsi. Gli viene dunque proibito di «portare armi e bastoni, di riunirsi con altri schiavi, neanche col pretesto di nozze», di andare a vendere legumi al mercato, senza esplicito permesso del padrone. La pena per i trasgressori è la frusta e la marchiatura a fuoco. Se lo schiavo si ribella, se alza le mani sul padrone, sulla padrona o sui loro figli, è la morte. Se ruba cavalli o bestiame, sono supplizi, mutilazioni o morte. Se ruba canna da zucchero sono vergate e il fiore di giglio impresso a fuoco. Se fugge per un mese, gli verranno tagliate le orecchie. Se è recidivo, gli verrà mozzato un piede. Se ci riprova, è la morte.
Ma il re è, per sua natura, buono. Non desidera sofferenze oltre il necessario, per il buon ordine del regno. Così il Codice nero, con una precisione tutta colbertiana, stabilisce che il padrone deve fornire allo schiavo due libbre e mezzo di manioca alla settimana insieme a tre focacce pesanti ognuna due libbre e mezzo, e due libbre di bue salato oppure tre di pesce. Nonché due vestiti di tela all'anno.
Ai padroni è fatto obbligo di sostentare gli schiavi infermi, ammalati, anziani. Se li abbandona, verranno assegnati all'ospedale e il padrone verrà condannato a pagare sei soldi al giorno per il loro mantenimento. Al padrone è lecito far incatenare e battere con le verghe o con la corda i propri schiavi. Non può però infliggere torture né fare alcun tipo di mutilazione.
Pie raccomandazioni, penseranno gli scettici. Nient'affatto, risponde il giurista del re. Il Codice nero non considera forse ogni tipo di precauzione? Leggiamo l'articolo 26: «Gli schiavi che non verranno vestiti e sostentati dai loro padroni secondo quanto abbiamo ordinato potranno avvisare il nostro Procuratore generale e affidare le proprie lagnanze nelle sue mani». E l'articolo 43: «Intimiamo ai nostri ufficiali di perseguire criminalmente i padroni che abbiano ucciso uno schiavo sotto la loro potestà». Cent'anni dopo, Condorcet avrebbe scritto: «Da oltre un secolo non c'è stato un solo esempio di un supplizio inflitto a un colono per aver assassinato un suo schiavo».
Infatti, ancora più crudeli delle disposizioni del Codice nero si rivelano le pratiche della schiavitù che si pretenderebbe di regolamentare. Le sue disposizioni, quando cercano di proteggere lo schiavo, sono messe in mora dal potere dei padroni. Il potere dei coloni sarà più forte di quello del re. Il Codice nero appare così come un illusorio tentativo da parte del potere reale di tenere sotto controllo le pratiche schiavistiche.
Ringraziamo Louis Sala Molins di aver recuperato dall'oblio questo prezioso testo e di denunciare ad alta voce il silenzio in cui era sepolto. Per vari secoli l'Occidente cristiano ha perpetrato, con la tratta e la schiavitù dei neri, un crimine essenzialmente razzista. Che questo crimine sia stato non soltanto tollerato ma anche codificato dal potere, per il maggior profitto dei proprietari delle piantagioni e dei mercanti, in un secolo in cui brillava così vivacemente l'astro della cultura classica, ebbene tutto ciò appare giustamente a Louis Sala Molins come uno scandalo. Per lui però ancor più intollerabile è l'indifferenza del XVIII secolo nei confronti del Codice nero, proprio mentre si andavano affermando la filosofia dei lumi e l'ideologia dei diritti dell'uomo.
Indubbiamente la condanna della schiavitù da parte di Montesquieu nel XV capitolo dello Spirito delle leggi non ha tutta la forza e tutto il rigore che oggi vi vorremmo trovare. Quanto a Rousseau, se voleva liberare gli uomini, non ha però denunciato il Codice nero. E gli uomini del 1789 hanno ceduto di fronte alla lobby colonialista, rappresentata dai ricchi piantatori delle Antille, come se la storia della decolonizzazione avesse cominciato a balbettare già sotto la Costituente!


EUROPEO/18 LUGLIO 1987

Nessun commento:

Posta un commento