27.4.15

La Grande Siniscalca. Diana di Poitiers e il mito della bellezza (Benedetta Craveri)

Il 7 luglio 1530, una settimana dopo il ritorno in Francia dei due figli maggiori (che erano stati tenuti per quattro anni in ostaggio a Madrid per permettere a lui di tornare in libertà), Francesco I, vedovo di Claudia di Francia, ratificò una fragile pace con la Spagna sposando in seconde nozze Eleonora d'Austria, sorella dell'imperatore Carlo V. Il torneo che coronò i festeggiamenti in onore della nuova regina vide per la prima volta scendere in lizza i due giovani principi. Secondo l'uso essi avevano la facoltà di designare la dama a cui intendevano rendere omaggio. Il delfino, mosso dal desiderio di fare cosa gradita al padre, scelse di battersi per la duchessa d'Étampes, amante ufficiale del re, mentre il duca d'Orléans abbassò la lancia ai piedi di Diane de Poitiers, moglie di Louis de Brézé, Gran Siniscalco di Normandia, che a una bellezza impareggiabile univa una virtù senza macchia. Il secondogenito del sovrano aveva appena undici anni, Diane trenta, eppure, sotto il velo del rituale cavalleresco, si celava una autentica dichiarazione d'amore: della dama del torneo, infatti, egli avrebbe portato i colori per tutta la vita.
Il sentimento di adorazione che Enrico provava per la grande Siniscalca risaliva, in realtà, al giorno in cui, a soli sette anni, era partito per la Spagna insieme al fratello. Mentre l'attenzione generale della corte si concentrava sul delfino, Diane era stata colpita dall'angoscia dipinta sul volto del piccolo Enrico e lo aveva stretto a sé, sfiorandogli la fronte con un bacio. Bacio fatale, il cui ricordo avrebbe accompagnato il bambino nei quattro dolorosi anni di prigionia, cristallizzando per sempre le sue fantasie erotiche.
A differenza del suo introverso e romantico cavaliere, Diane amava soprattutto se stessa; era ambiziosa, avida, lungimirante, e aveva la freddezza, l'alterigia, l'inclinazione alla castità della dea di cui portava il nome. La sua bellezza, ha scritto Marguerite Yourcenar, «era così assoluta, così inalterabile, da occultare la personalità stessa di colei che ne era dotata». Nata in un casato illustre, andata sposa giovanissima a un uomo, di quarantanni più vecchio di lei, che svolgeva l'importantissimo compito di rappresentare il re in Normandia, era stata una moglie e una madre esemplare, paga di occupare un ruolo di primo piano a corte e di appartenere a una delle famiglie più nobili e influenti del paese. Ma non si può escludere che a incoraggiare il suo rigoroso riserbo avesse contribuito il ricordo della fine toccata alla suocera, uccisa dal marito geloso.
Nel 1531, a trentun anni, ancora relativamente giovane per i criteri dell'epoca, e con una bellezza intatta, Diane rimase vedova e, ben decisa a non risposarsi, cominciò a costruire con grande sapienza il suo personaggio. Prendendo a modello Artemisia, la celebre moglie di Mausolo re di Alicarnasso che figurava in tutti i cataloghi delle donne illustri, ella adottò i colori del lutto - il bianco e il nero -, aggiunse al suo stemma la torcia rovesciata, simbolo delle vedove, e celebrò la memoria del marito, dedicandogli nella cappella del castello di Anet uno splendido mausoleo. Ammantata di dignità e al riparo dalle insinuazioni, la Grande Siniscalca trovò nella sua nuova condizione una libertà d'azione di solito negata alle donne.
Probabilmente su richiesta dello stesso Francesco I, che contava sul suo insegnamento per ingentilire il figlio e iniziarlo all'uso di mondo, Diane accondiscese a lasciarsi adorare pubblicamente da Enrico, secondo gli schemi del platonismo cortese allora in voga, acquisendo su di lui un ascendente assoluto. Nonostante la solida posizione di cui da sempre godeva a corte, la Grande Siniscalca non sottovalutava i vantaggi che le potevano derivare dall'appoggio incondizionato di un principe di sangue reale. In seguito fu la prima a caldeggiare l'unione del giovane principe con la discendente dei Medici, anche perché questa portava nuovo lustro alla sua famiglia, dal momento che il nonno materno di Caterina - Jean de la Tour d'Auvergne - era il fratello della nonna paterna di Diane. Ma allorché, nel 1536 (tre anni dopo quel matrimonio), la morte inaspettata del delfino fece di Enrico l'erede al trono, la vedova inaccessibile scese dal piedistallo e si concesse al suo ammiratore, pur continuando a mascherare la loro relazione carnale dietro l'apparenza dell'amor cortese.
La decisione di prendere a trentasei anni un amante di diciassette non era priva di incognite: significava rischiare la sua fulgida reputazione, esporsi al ridicolo, alla satira, alla calunnia e andare incontro prima o poi a un abbandono umiliante. Ma aveva forse un'altra scelta? Continuare a negarsi a un uomo giovane e con un temperamento focoso non equivaleva ad abbandonare la partita? E la posta in gioco non era troppo alta per non tentare la sorte?
Il loro primo incontro amoroso ebbe luogo al castello di Ecouen, con la complicità del connestabile Anne de Montmorency, amico di entrambi. Pieni di trepidazione e di grazia, di sensualità e di pudore, i versi scritti da Diane in quell'occasione ci trasmettono, nonostante la convenzionalità del linguaggio e delle immagini, la sorpresa di una donna innamorata, travolta suo malgrado dalla passione. [...]
Vera o falsa che sia, è questa l'immagine che Diane avrebbe continuato a tener viva nel cuore dell'amante, riaccendendo in lui, giorno dopo giorno, l'emozione di una conquista che aveva creduto impossibile. Nei versi attribuiti a Enrico, il ricordo di quel mattino memorabile appare, invece, come «una vera e propria iniziazione, un rito di passaggio dalla condizione di adolescente a quella virile, e al tempo stesso come un'investitura a cavaliere della dea Diana». […]
Se Enrico giurava a Diane eterna obbedienza, Diane dal canto suo ingaggiava una spettacolare gara contro il tempo per mantenere intatto il suo ascendente. Bagni ghiacciati, esercizi fisici all'aria aperta, dieta spartana, messa al bando di ceroni e belletti nocivi per la pelle erano le strategie di assoluta avanguardia a cui la Grande Siniscalca fece ricorso per preservare, nonostante lo scorrere degli anni, la sua scultorea bellezza. Brantôme, che la conobbe quasi settantenne, ricordava «la sua bellezza, la sua grazia, la sua maestà» e, convinto che sarebbe rimasta tale anche a cent'anni, lamentava «che la terra inghiotta tali bei corpi». L'avvenenza non era tuttavia la sua unica arma, poiché si accompagnava in lei a un'arte squisita della seduzione e a un sapiente erotismo. Lo sapeva bene Caterina che, credendo nella magia e volendo scoprire di quale genere di sortilegio ella si fosse servita per irretire il marito, era riuscita a spiare, attraverso una fessura della parete, un loro incontro galante. Così, racconta sempre  Brantôme, ella vide «una donna bellissima, bianca, delicata e freschissima, tra in camicia e nuda, la quale faceva al suo amante mille carezze, moine e cosucce gradevoli» e vide «altresì lui renderle le carezze e tutto il resto, in modo che scendevano ambedue dal letto e si coricavano e si abbracciavano sul soffice tappeto posato ai piedi della lettiera». Davanti a una visione lauto diversa dalle sue esperienze coniugali, Caterina scoppiò in singhiozzi e si rassegnò all'evidenza: il sortilegio di cui era stata testimone non aveva rimedio e l'ascendente di Diane era destinato a durare.


Da Amanti e regine. Il potere delle donne, Adelphi, 2005

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