20.5.15

A Brescello. La ‘ndrangheta, i politici e una testa dura (Donato Ungaro)

Chissà perché, ma a me, leggendo in questa storia esemplare del parroco di Brescello, non è venuto in mente don Camillo, ma il Cardinale Ruffini, che a Palermo, ancora negli anni 60, mentre le cosche e la Dc saccheggiavano la città, soleva dire che la cosiddetta "mafia" era normale delinquenza e che tutto quello che si raccontava sul potere mafioso era una calunnia contro il popolo siciliano. (S.L.L.)
Donato Ungaro
Licenziato, disarmato ma alla fine ho vinto io”
Non è mafia solo uccidere le persone, è mafia anche togliere la dignità agli uomini. È mafia anche mettersi al servizio di un imprenditore che con la mafia, secondo un prefetto, conduce affari; mafia è fare dei favori – magari inconsapevolmente – alla mafia, quella vera.
La mia storia è banale. È la storia di un vigile urbano di un paesino reso famoso dai film di Peppone e don Camillo, che si mette in testa di diventare giornalista. Incontra un certo Roccuzzo, uno dei picciotti di quel Pippo Fava direttore de I Siciliani ucciso dalla mafia catanese; e inizia a scrivere per la “Gazzetta di Reggio”. Scrive, il vigile-cronista, di una mega-centrale elettrica dell’Ansaldo da costruire su terreni agricoli comprati per pochi soldi, terreni che prima del rogito – però – diventano area industriale grazie alla variante approvata dall’amministrazione. Un guadagno straordinario, con l’Ansaldo ora pronta a pagare i terreni fior di milioni; ma al vigile-cronista giunge una voce raccapricciante: secondo un medico, troppa gente a Brescello muore di tumore.
La redazione della “Gazzetta di Reggio” scrive un articolo dove vengono denunciate le impressioni del medico condotto: dal municipio arrivano strali e minacce al vigile-cronista. Ansaldo rinuncia a costruire la centrale e l’imprenditore rimane con i terreni “novelli” industriali senza un compratore. Il sindaco di Brescello, Ermes Coffrini, licenzia il vigile-cronista. L’Ausl conduce un’indagine e scrive che negli ultimi 7 anni il 45 per cento degli uomini è morto per tumore. Solo impressioni?
Intanto l’imprenditore scava abusivamente sabbia nel Po, arrivando a deviare il corso del fiume. L’ex vigile, ora solo cronista, filma una draga mentre scava nelle acque del Po e Le Iene ci fanno una puntata, con la Procura che acquisisce le immagini. Una domenica mattina qualcuno taglia le gomme all’auto dell’ex vigile: proprio davanti alla caserma dei carabinieri! La cosa si ripete dopo un po’, di notte.
Il procuratore del tribunale di Reggio Emilia, Italo Materia, invita il cronista a sporgere denuncia: non dai carabinieri del suo paese ma direttamente da lui.
L’imprenditore, intanto, invita il cronista a passare da casa sua: «Ho un bel tatami – mi dice Claudio Bacchi –, vieni che sistemiamo le cose da uomini».
Antonio Roccuzzo nel frattempo lascia la “Gazzetta di Reggio”: e la “Gazzetta di Reggio” lascia a casa l’ex vigile, ora solo cronista. Lui si trasferisce a Bologna e, oltre a fare il tranviere, scrive per Piazza Grande.
La Bacchi riceve un’interdizione dal prefetto di Reggio Emilia, per legami con la mafia: non voglio immaginare, a questo punto, chi avrebbe potuto costruire la mega centrale Turbogas di Brescello. Forse, dico forse, le stesse imprese finite nel gorgo dell’operazione Aemilia delle scorse settimane, con un imprenditore edile, Alfonso Di Letto, accusato di avere legami con la ‘ndragheta e che è stato intercettato mentre “discute” di politica con un consigliere comunale di Brescello, Maurizio Dall’Aglio, il quale era stato invitato insieme ad altri consiglieri tra cui il sindaco Ermes Coffrini, a recarsi in Portogallo per visionare una centrale Turbogas già costruita dalla Ansaldo.
Tutto mentre l’attuale sindaco di Brescello, un Coffrini junior figlio del Coffrini senior che mi licenziò nel 2002, definisce improvvidamente «…una brava persona…» il signor Francesco Grande Aracri, suo concittadino condannato in via definitiva per mafia. A fargli l’eco, il parroco brescellese, che in chiesa grida: «Brescello non è mafiosa». Dopo un paio di mesi gli elicotteri dei carabinieri volavano all’alba sulla parrocchia brescellese, per arrestare gli ‘ndraghetisti.
Nella mia storia semplice, quasi banale, la mafia non ha ucciso. E nessun brigadiere ha eliminato il suo superiore. Nessun parroco si traveste da “capo-stazione”.
L’unico a rimetterci sono stato io, Donato Ungaro; ci ho rimesso il posto di vigile urbano. E di cronista, perché la Gazzetta mi ha lasciato a casa.
Sono stato così semplicemente disarmato, perché togliere il lavoro a una persona è privarlo della propria dignità; che è l’unica vera arma civile di un Uomo. L’unica cosa per cui valga la pena di combattere.


Da “I Siciliani nuovi on line”, marzo 2015

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