Piero Calamandrei nel ritratto di Carlo Levi |
Efficace e esaustiva la
scelta degli articoli del Ponte, tra il 1948 e il 1953, nell'
antologia curata da Mimmo Franzinelli Oltre la guerra fredda.
La rivista diretta e fondata da Piero Calamandrei fu uno dei luoghi
in cui (nel dopoguerra) sopravvisse e si alimentò il fiume carsico
della tradizione di Giustizia e Libertà e del partito d'Azione. La
diaspora azionista in quelle pagine trovò un suo cemento unitario,
la possibilità di dare continuità a un impegno che - lontano da un
coinvolgimento direttamente politico - si caratterizzava piuttosto
sul piano intellettuale e culturale.
La «guerra fredda»
aveva reso quella tradizione il tipico vaso di coccio tra due vasi di
ferro duramente schierati uno contro l'altro. In Italia questo voleva
dire il confronto serrato tra la Dc di De Gasperi e il Pci di
Togliatti. “Il Ponte” e i suoi collaboratori non ebbero nessuna
timidezza verso i due contendenti.
Ma non è solo la
vivacità progettuale della «terza forza» che l'antologia curata da
Franzinelli mette in luce. Tra le pagine delle rivista figurava una
rubrica, «Il ritrovo», che oggi si propone agli occhi dello storico
come uno straordinario affresco dell'Italia di allora.
Per tutti i primi Anni
50, infatti, “Il Ponte” e altre riviste laiche come “Il Mondo”
si trovarono, di fatto, praticamente isolate nel sostenere battaglie
come quelle per il controllo delle nascite, il divorzio, il
riconoscimento dei figli illegittimi, l'«emancipazione corporativa»
degli omosessuali, il rifiuto di una morale sessuale fobicamente
puritana; ma furono come pesci senza acqua in cui nuotare.
«Il ritrovo» ci
restituisce i tratti di un'Italia sessuofobica, ipocritamente
moralista. Le foto della Lollobrigida, della Loren e della Monroe
apparse su alcuni giornali provocarono la condanna a 2.000 lire di
ammenda ai giornalai che le avevano messe in mostra («imputati di
aver esposto fotografie contrarie alla morale»); in altre città
italiane (Torino, Roma, La Spezia, Roma, Bologna) fu disposto dalle
autorità uno speciale servizio di sorveglianza nelle scuole e nelle
sale cinematografiche, al fine di tutelare maggiormente la moralità
pubblica. Fu battezzata «operazione antibacio» e a La Spezia portò
all'arresto in un cinema di due ventenni accusati dai carabinieri «di
atteggiamento non consentito». A Torino, un commissario di polizia
intervenne presso un commerciante di piazza Castello intimandogli di
ritirare dalla vetrina delle «gambe femminili di gesso rivestite di
seriche guaine». Una circolare del Sant'Uffizio suggeriva ai
confessori di ammonire intorno alla pericolosità del ballo: il
confessore doveva «esortare il penitente a astenersene del tutto,
perché pericoloso per lo spirito cristiano ed occasione di peccati
contro la purezza come cattivi pensieri, desideri, toccamenti, e
anche di peccati mortali».
“Il Ponte” denunciava impietosamente i limiti di questa Italia. E ne accompagnò la scomparsa. Quando arrivò il boom, quando la grande trasformazione che investì la nostra struttura economica cambiò l'antropologia degli italiani, nelle pagine del Ponte la nuova Italia del miracolo trovò i punti di riferimento culturale con cui orientarsi nei meandri di una modernizzazione tanto improvvisa quanto caotica e tumultuosa.
“Il Ponte” denunciava impietosamente i limiti di questa Italia. E ne accompagnò la scomparsa. Quando arrivò il boom, quando la grande trasformazione che investì la nostra struttura economica cambiò l'antropologia degli italiani, nelle pagine del Ponte la nuova Italia del miracolo trovò i punti di riferimento culturale con cui orientarsi nei meandri di una modernizzazione tanto improvvisa quanto caotica e tumultuosa.
"Tuttolibri - La Stampa", 17 luglio 2010
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