27.5.15

Cristianesimo trionfante: templi distrutti, statue abbattute, caccia al pagano (Lidia Storoni)

A coloro che menavano scandalo per i vandalismi dei talebani e lo fanno oggi per le criminali intolleranze dei seguaci del califfato, lasciando intendere che il cristianesimo sia una religione diversa e superiore, perché portatrice di un'etica umanistica e di una vocazione alla misericordia per chi erra, gioverà leggere questo breve articolo. Lidia Storoni, senza neanche scendere nei particolari, con sintetica maestrìa racconta di come a Oriente e ad Occidente, facendosi forti di un potere politico debole, diventato il loro braccio secolare, i capi del sacerdozio cristiano scatenino gravi persecuzioni in alto e in basso e di come la distruttiva intolleranza goda del sostegno diretto dei cosiddetti Padri della Chiesa, Ambrogio, Girolamo, Agostino eccetera. (S.L.L.)
Sant'Ambrogio, Museo di Châlons
In un precedente articolo ho parlato delle persecuzioni contro i cristiani nell'antica Roma, tema di un recente convegno. Ma bisogna ricordare anche il fenomeno inverso: quello delle persecuzioni cristiane contro i pagani, di cui si è occupato un altro convegno.
L'Accademia Storico-Giuridico Costantiniana di Perugia ha esaminato il Codice Teodosiano — la raccolta di leggi che va da Costantino a Teodosio II (IV secolo e primi del V), compilata cent'anni prima del Corpus di Giustiniano: Roma era stata saccheggiata dai Visigoti, i barbari occupavano tutte le province dell'impero d'Occidente, la Britannia era perduta, l'Africa in preda ai Vandali. La capitale d'Oriente, Costantinopoli — la "Nuova Roma” — negli stessi anni si circondò di mura ancora oggi esistenti, e redasse il codice: due gesti significativi, quasi simbolici della volontà dell'Oriente di difendere e preservare il retaggio di Roma. Sono ordinanze, decreti, statuti, norme, rescritti forse incompleti; è possibile leggervi in filigrana, di volta in volta, le influenze politiche che agivano sui sovrani e la situazione drammatica della società in quei decenni, il degrado dell'amministrazione, dell'esercito e dell'ordine pubblico, la mancanza di braccia per i campi, di reclute per la difesa, di funzionari per gli uffici.

Nuova coppia divina
E' così possibile accertare quali fossero, nel secolo dell'impero cristiano, i rapporti tra il governo e le comunità religiose (non si può dire tra Chiesa e Stato, poiché si tratta di misure dettate sempre da motivi contingenti, non da una dottrina). Comunque, in tempi come i nostri, intolleranti e feroci, è utile meditare sul passato e constatare che anche l'idea più nobile, quando trionfa, diventa strumento di sopraffazione; e perseguire l'utopia della perfetta unanimità porta inevitabilmente all'assolutismo.
Prima dell'editto di Milano, dal Vangelo si poteva estrarre qualche spunto di conciliazione tra la dedizione a Dio e i doveri del cittadino («date a Cesare quel che è di Cesare...»). Ma con l'insofferenza della società in cui si trovavano a vivere i convcrtiti, e con l'attesa del ritorno di Cristo Giudice, i testi esprimono esecrazione dello Stato persecutore, profezie roventi della sua imminente caduta. Con la pace — il compromesso storico — tra l'Impero e la Chiesa, incominciò subito una collaborazione proficua per entrambi. Autori cristiani nutriti di cultura classica si orientarono verso una conciliazione ideologica, riconobbero all'Impero la funzione di custode dell'ordine, fonte del diritto, garante della sicurezza; gli fu assegnata una collocazione onorevole nel corso provvidenziale della storia. La Pace Romana, l'unità della lingua, l'estensione immensa della rete stradale avevano favorito la diffusione del Vangelo. Cristo aveva voluto nascere sotto Augusto, Pietro e Paolo morire a Roma: un disegno provvidenziale che sarà accettato anche da Dante.
Si delinea il primato della Chiesa di Roma; vengono scovati temi fatidici in competizione con quelli di Livio e di Virgilio: una nuova coppia divina, Pietro e Paolo, subentra a quelle che avevano esercitato un'influenza soprannaturale sui destini dell'Urbe, Romolo e Remo, Castore e Polluce: Le glorie del passato recedono, a paragone con quelle della Roma papale. A questa compromissione si oppose il movimento monastico, la protesta degli anacoreti che nei deserti della Tebaide si abbandonarono a un ascetismo delirante.
Il consenso della Chiesa ebbe il suo tornaconto. Gli imperatori — ormai consapevoli che la gloria non dipendeva più dalle guerre vinte ma dall'ossequio alla Chiesa — concessero subito ai religiosi, che non praticavano ancora il celibato, l'esonero dai servizi civili (manutenzione di strade, di mura, di ponti, alloggiamento di militari, riscossione di imposte), 1'esenzione dalle tasse, dall'imposta sul reddito. Nel 355 fu istituito un Tribunale Ecclesiastico. Infine i vescovi poterono servirsi del braccio secolare per la repressione dei dissidenti — più dura contro scismatici ed eretici che contro i pagani: Costantino credeva d'aver raggiunto l'unità religiosa, ma invece si trovò in un ginepraio.
Tranne la parentesi di Giuliano 1'Apostata e gli anni di Valentiniano, improntati a tolleranza religiosa, e a severità verso gli ecclesiastici, il governo concesse alla Chiesa privilegi d'ogni genere. Ma l'appoggio più importante furono le sue leggi.
La persecuzione dei pagani subì un crescendo che testimonia il prestigio culturale dei conservatori di Roma, così grande che contro quegli intellettuali, quei patrioti, sant'Agostino scrisse la confutazione più famosa — l'ultima opera apologetica — che è il De Civitate Dei. In essa quel mistico, che era anche un politico, non rinnega del tutto la validità perenne di quel lascito ideale che essi volevano conservare, e, nell'introdurre nella sua Città celeste gli ultimi restii, consente loro di portare con sé i valori morali che erano serviti a far grande la loro.
Perduravano anche i culti legati a riti agricoli stagionali, a tradizioni domestiche. Vi furono periodi d'indifferenza e di rispetto; ma, come constatiamo dal Codice, i divieti si fecero sempre più rigorosi e circostanziati, segno dell'opposizione latente e della connivenza delle autorità. Già nel 323 Costantino minaccia la fustigazione per chi costringe un cristiano a compiere atti di culto pagano (una forte multa se è un "Vip"). E mentre in un calendario del 354 sono ancora indicate le festività pagane, a fianco della lista dei papi, nel 375, con l'avvento di Graziano — il giovane principe soggiogato da Ambrogio, vescovo di Milano — quelle feste furono abolite; venne revocato il finanziamento dello Stato ai culti e ai collegi sacerdotali pagani, e deposto dall'imperatore il titolo di Pontefice Massimo.

Divieti rigorosi
Dal 380 in poi Teodosio incominciò a infierire contro le eresie — che pullulavano in un'epoca in cui i migliori ingegni erano intenti a definire la natura di Cristo e la sua parola — e contro i pagani. Il famoso editto di Tessalonica è un diktat: vi si ordina ai sudditi di tutto l'impero di praticare la religione trasmessa ai romani dall'apostolo Pietro e chiamarsi cattolici. I vescovi dissidenti saranno espulsi — e lo furono, attraverso successivi concilii —; quanto a coloro che commettono atti aberranti, come la consultazione delle viscere degli animali sacrificati per conoscere il futuro, saranno proscritti: così decreta l'anno successivo (381 ). Nel 385 la stessa trasgressione è punita con la tortura, nel 391 si torna a proibire i sacrifici, il culto degli idoli, l'accesso ai templi («il Campidoglio è deserto», scrive in quegli anni san Girolamo, «e coperto di ragnatele...»). I governatori rei di contravvenire al decreto sono puniti con la multa di 15 libbre d'oro; il personale dipendente con multe che variano a seconda del grado (la cifra dei governatori sale a 20 libbre nel 407.
Nel 399, dopo la morte di Teodosio, i figli estendono il divieto agli atti rituali compiuti nell'intimità della casa, il culto dei Lari e dei Penati, l'Offerta di ceri, di vino, di aromi d'incenso, le ghirlande di fiori sulle are nei campi; e la consultazione di aruspici è equiparata ad alto tradimento. Qualche volta, presi da resipiscenza, gli Augusti cercano di frenare lo zelo forsennato dei monaci che danno alle fiamme i templi; e, pur ordinando che gli altari siano abbattuti e rimosse le statue degli dèi, difendono gli edifici sacri, esposti a distruzione violenta o all'asportazione di cornicioni, colonne, frammenti marmorei utilizzati in nuove costruzioni. Si afferma che quegli edifici saranno utilizzati per uso di pubblici uffici: ma ciò avverrà molto tempo dopo, perché a quell'epoca non c'era chi non fosse convinto che gli dèi rinnegati li abitassero sotto forma di demoni sibilanti. Nel 415 da Ravenna, dove ormai si è ritirato, Onorio, che preda della corrente cattolica intransigente, ordina l'esproprio degli edifici pagani e la rimozione dai locali pubblici — terme, portici, tribunali — di qualsiasi immagine pagana. Lo stesso anno esclude i pagani dai pubblici uffici e dal servizio imperiale — se pure, osserva nel 423, ce ne sono ancora. Ce n'erano: tanto che in un'ordinanza successiva, l'imperatore precisa che, se vengono colti ancora a compiere i loro maledetti sacrifici, sono passibili di esilio, di esproprio dei beni e di pena di morte.
Nel 435, ancora, Teodosio II da Costantinopoli e, suo genero Valentiniano III da Roma impongono la distruzione dei templi. Le aree dove essi sorgevano saranno purificate con l'erezione di una croce. Per chi si sottrae a quest'ordine è prevista la pena di morte. E finalmente l'ultima legge, che è del 438, accusa i pagani dei disordini della natura: se la primavera è avara di fiori e l'estate di frutti, se la natura ha sovvertito il ritmo delle stagioni, ciò si deve al caparbio attaccamento dei pagani ai loro culti. Così la situazione è rovesciata: nel III secolo, scrive Tertulliano, «se manca la pioggia si grida: i cristiani ai leoni!»; ora le sciagure dell'impero, il gelo, la siccità sono imputate ai pagani; Cristo si risente del loro rifiuto.

La durata dei riti profani è deplorata per tutto il V secolo. Non sappiamo quando scomparvero gli ultimi pagani: per avviarli, loro malgrado, alla salvezza, furono messe in opera minacce e castighi; poiché — lo dice anche sant'Agostino, citando il Vangelo di Luca — «come disse il padrone dei convito ai servi: chiunque troverete, costringetelo ad entrare».

"la Repubblica", ritaglio senza data, ma 1982

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