In un precedente articolo
ho parlato delle persecuzioni contro i cristiani nell'antica Roma,
tema di un recente convegno. Ma bisogna ricordare anche il fenomeno
inverso: quello delle persecuzioni cristiane contro i pagani, di cui
si è occupato un altro convegno.
L'Accademia
Storico-Giuridico Costantiniana di Perugia ha esaminato il Codice
Teodosiano — la raccolta di leggi che va da Costantino a Teodosio
II (IV secolo e primi del V), compilata cent'anni prima del Corpus
di Giustiniano: Roma era stata saccheggiata dai Visigoti, i barbari
occupavano tutte le province dell'impero d'Occidente, la Britannia
era perduta, l'Africa in preda ai Vandali. La capitale d'Oriente,
Costantinopoli — la "Nuova Roma” — negli stessi anni si
circondò di mura ancora oggi esistenti, e redasse il codice: due
gesti significativi, quasi simbolici della volontà dell'Oriente di
difendere e preservare il retaggio di Roma. Sono ordinanze, decreti,
statuti, norme, rescritti forse incompleti; è possibile leggervi in
filigrana, di volta in volta, le influenze politiche che agivano sui
sovrani e la situazione drammatica della società in quei decenni, il
degrado dell'amministrazione, dell'esercito e dell'ordine pubblico,
la mancanza di braccia per i campi, di reclute per la difesa, di
funzionari per gli uffici.
Nuova coppia divina
E' così possibile
accertare quali fossero, nel secolo dell'impero cristiano, i rapporti
tra il governo e le comunità religiose (non si può dire tra Chiesa
e Stato, poiché si tratta di misure dettate sempre da motivi
contingenti, non da una dottrina). Comunque, in tempi come i nostri,
intolleranti e feroci, è utile meditare sul passato e constatare che
anche l'idea più nobile, quando trionfa, diventa strumento di
sopraffazione; e perseguire l'utopia della perfetta unanimità porta
inevitabilmente all'assolutismo.
Prima dell'editto di
Milano, dal Vangelo si poteva estrarre qualche spunto di
conciliazione tra la dedizione a Dio e i doveri del cittadino («date
a Cesare quel che è di Cesare...»). Ma con l'insofferenza della
società in cui si trovavano a vivere i convcrtiti, e con l'attesa
del ritorno di Cristo Giudice, i testi esprimono esecrazione dello
Stato persecutore, profezie roventi della sua imminente caduta. Con
la pace — il compromesso storico — tra l'Impero e la Chiesa,
incominciò subito una collaborazione proficua per entrambi. Autori
cristiani nutriti di cultura classica si orientarono verso una
conciliazione ideologica, riconobbero all'Impero la funzione di
custode dell'ordine, fonte del diritto, garante della sicurezza; gli
fu assegnata una collocazione onorevole nel corso provvidenziale
della storia. La Pace Romana, l'unità della lingua, l'estensione
immensa della rete stradale avevano favorito la diffusione del
Vangelo. Cristo aveva voluto nascere sotto Augusto, Pietro e Paolo
morire a Roma: un disegno provvidenziale che sarà accettato anche da
Dante.
Si delinea il primato
della Chiesa di Roma; vengono scovati temi fatidici in competizione
con quelli di Livio e di Virgilio: una nuova coppia divina, Pietro e
Paolo, subentra a quelle che avevano esercitato un'influenza
soprannaturale sui destini dell'Urbe, Romolo e Remo, Castore e
Polluce: Le glorie del passato recedono, a paragone con quelle della
Roma papale. A questa compromissione si oppose il movimento
monastico, la protesta degli anacoreti che nei deserti della Tebaide
si abbandonarono a un ascetismo delirante.
Il consenso della Chiesa
ebbe il suo tornaconto. Gli imperatori — ormai consapevoli che la
gloria non dipendeva più dalle guerre vinte ma dall'ossequio alla
Chiesa — concessero subito ai religiosi, che non praticavano ancora
il celibato, l'esonero dai servizi civili (manutenzione di strade, di
mura, di ponti, alloggiamento di militari, riscossione di imposte),
1'esenzione dalle tasse, dall'imposta sul reddito. Nel 355 fu
istituito un Tribunale Ecclesiastico. Infine i vescovi poterono
servirsi del braccio secolare per la repressione dei dissidenti —
più dura contro scismatici ed eretici che contro i pagani:
Costantino credeva d'aver raggiunto l'unità religiosa, ma invece si
trovò in un ginepraio.
Tranne la parentesi di
Giuliano 1'Apostata e gli anni di Valentiniano, improntati a
tolleranza religiosa, e a severità verso gli ecclesiastici, il
governo concesse alla Chiesa privilegi d'ogni genere. Ma l'appoggio
più importante furono le sue leggi.
La persecuzione dei
pagani subì un crescendo che testimonia il prestigio culturale dei
conservatori di Roma, così grande che contro quegli intellettuali,
quei patrioti, sant'Agostino scrisse la confutazione più famosa —
l'ultima opera apologetica — che è il De Civitate Dei. In
essa quel mistico, che era anche un politico, non rinnega del tutto
la validità perenne di quel lascito ideale che essi volevano
conservare, e, nell'introdurre nella sua Città celeste gli ultimi
restii, consente loro di portare con sé i valori morali che erano
serviti a far grande la loro.
Perduravano anche i culti
legati a riti agricoli stagionali, a tradizioni domestiche. Vi furono
periodi d'indifferenza e di rispetto; ma, come constatiamo dal
Codice, i divieti si fecero sempre più rigorosi e circostanziati,
segno dell'opposizione latente e della connivenza delle autorità.
Già nel 323 Costantino minaccia la fustigazione per chi costringe un
cristiano a compiere atti di culto pagano (una forte multa se è un
"Vip"). E mentre in un calendario del 354 sono ancora
indicate le festività pagane, a fianco della lista dei papi, nel
375, con l'avvento di Graziano — il giovane principe soggiogato da
Ambrogio, vescovo di Milano — quelle feste furono abolite; venne
revocato il finanziamento dello Stato ai culti e ai collegi
sacerdotali pagani, e deposto dall'imperatore il titolo di Pontefice
Massimo.
Divieti rigorosi
Dal 380 in poi Teodosio
incominciò a infierire contro le eresie — che pullulavano in
un'epoca in cui i migliori ingegni erano intenti a definire la natura
di Cristo e la sua parola — e contro i pagani. Il famoso editto di
Tessalonica è un diktat: vi si ordina ai sudditi di tutto l'impero
di praticare la religione trasmessa ai romani dall'apostolo Pietro e
chiamarsi cattolici. I vescovi dissidenti saranno espulsi — e lo
furono, attraverso successivi concilii —; quanto a coloro che
commettono atti aberranti, come la consultazione delle viscere degli
animali sacrificati per conoscere il futuro, saranno proscritti: così
decreta l'anno successivo (381 ). Nel 385 la stessa trasgressione è
punita con la tortura, nel 391 si torna a proibire i sacrifici, il
culto degli idoli, l'accesso ai templi («il Campidoglio è deserto»,
scrive in quegli anni san Girolamo, «e coperto di ragnatele...»). I
governatori rei di contravvenire al decreto sono puniti con la multa
di 15 libbre d'oro; il personale dipendente con multe che variano a
seconda del grado (la cifra dei governatori sale a 20 libbre nel 407.
Nel 399, dopo la morte di
Teodosio, i figli estendono il divieto agli atti rituali compiuti
nell'intimità della casa, il culto dei Lari e dei Penati, l'Offerta
di ceri, di vino, di aromi d'incenso, le ghirlande di fiori sulle are
nei campi; e la consultazione di aruspici è equiparata ad alto
tradimento. Qualche volta, presi da resipiscenza, gli Augusti cercano
di frenare lo zelo forsennato dei monaci che danno alle fiamme i
templi; e, pur ordinando che gli altari siano abbattuti e rimosse le
statue degli dèi, difendono gli edifici sacri, esposti a distruzione
violenta o all'asportazione di cornicioni, colonne, frammenti
marmorei utilizzati in nuove costruzioni. Si afferma che quegli
edifici saranno utilizzati per uso di pubblici uffici: ma ciò
avverrà molto tempo dopo, perché a quell'epoca non c'era chi non
fosse convinto che gli dèi rinnegati li abitassero sotto forma di
demoni sibilanti. Nel 415 da Ravenna, dove ormai si è ritirato,
Onorio, che preda della corrente cattolica intransigente, ordina
l'esproprio degli edifici pagani e la rimozione dai locali pubblici —
terme, portici, tribunali — di qualsiasi immagine pagana. Lo stesso
anno esclude i pagani dai pubblici uffici e dal servizio imperiale —
se pure, osserva nel 423, ce ne sono ancora. Ce n'erano: tanto che in
un'ordinanza successiva, l'imperatore precisa che, se vengono colti
ancora a compiere i loro maledetti sacrifici, sono passibili di
esilio, di esproprio dei beni e di pena di morte.
Nel 435, ancora, Teodosio
II da Costantinopoli e, suo genero Valentiniano III da Roma impongono
la distruzione dei templi. Le aree dove essi sorgevano saranno
purificate con l'erezione di una croce. Per chi si sottrae a
quest'ordine è prevista la pena di morte. E finalmente l'ultima
legge, che è del 438, accusa i pagani dei disordini della natura: se
la primavera è avara di fiori e l'estate di frutti, se la natura ha
sovvertito il ritmo delle stagioni, ciò si deve al caparbio
attaccamento dei pagani ai loro culti. Così la situazione è
rovesciata: nel III secolo, scrive Tertulliano, «se manca la pioggia
si grida: i cristiani ai leoni!»; ora le sciagure dell'impero, il
gelo, la siccità sono imputate ai pagani; Cristo si risente del loro
rifiuto.
La durata dei riti
profani è deplorata per tutto il V secolo. Non sappiamo quando
scomparvero gli ultimi pagani: per avviarli, loro malgrado, alla
salvezza, furono messe in opera minacce e castighi; poiché — lo
dice anche sant'Agostino, citando il Vangelo di Luca — «come
disse il padrone dei convito ai servi: chiunque troverete,
costringetelo ad entrare».
"la Repubblica", ritaglio senza data, ma 1982
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