Roma, Palazzo Montecitorio, Deputati nel cosiddetto Transatlantico |
"Intervenga la
politica", "la politica faccia un passo indietro", "la
politica ascolti", "la politica si faccia un esame di
coscienza". Insomma questa "politica" che fa o non fa
queste cose e molte altre è un nome collettivo, designa un insieme di
persone legate da una comune attività: il termine equivale a "ceto
politico" o, se più piace, a "classe politica".
Guardo il vocabolario, un
buon Garzanti degli anni ottanta: questo uso del
sostantivo "politica" non è previsto. Le definizioni
parlano di "teoria dello stato e della vita sociale organizzata
in Stati", di "arte del governo", di "attività
di chi prende parte alla vita pubblica" o anche "tutto ciò
che riguarda la vita pubblica" in locuzioni del tipo "parlare
di politica": insomma un sostantivo astratto. Già allora
esisteva tuttavia, con il significato attuale, l'espressione "carriera
politica" e il sostantivo "politico" designava chi pratica la politica come attività principale e fonte di reddito.
Il ceto politico,
insomma, non è nato oggi, ma la sua identificazione con la
"politica" tutta intera è cosa recente, da riportare alla storia
dell'ultimo trentennio.
In verità la partecipazione politica in
Italia, con l'affermarsi della repubblica democratica, era diventata
se non affare di tutti, di molti. In maniera paternalistica, un po'
distorta, vi avevano contribuito i partiti di massa, i
democristiani, i socialisti, i comunisti, che organizzavano e
rendevano politicamente attive un gran numero di persone il cui
impegno era volontario e gratuito; ma ancora più imponente fu
la spinta partecipativa degli anni Sessanta e Settanta. In un classico della
letteratura democratica di quegli anni, la Lettera a una
professoressa elaborata della Scuola di Barbiana fondata da don Milani,
si può leggere: "Ho imparato che il problema degli altri è
uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da
soli è l'avarizia".
Fino a tutti gli anni
Settanta, con qualche propaggine negli Ottanta, questa "politica
dei non politici" si diffuse, nelle fabbriche,
nelle scuole e nelle università, nelle affollate assemblee di
quartiere, nelle parrocchie, perfino nelle famiglie. Occuparsi dei
problemi di tutti era sentito come un diritto e un dovere da molti.
E' compito degli storici
sondarne le ragioni (terrorismo, clientelismo, corruzione, vicende
internazionali eccetera), ma negli anni Ottanta la politica gradualmente cessa di
essere affare di tutti e diventa mestiere di un ceto sociale separato, di
quelli che la praticano come attività prevalente, spesso traendone vantaggi. Nei decenni successivi accade qualcosa di paradossale.
Nonostante lo smantellamento degli apparati di partito, il numero di
coloro che ricavano un reddito dalla politica cresce: aumentano gli "emolumenti" per i sindaci e gli assessori come per gli eletti nelle assemblee legislative e amministrative, attorno a costoro gravitano stuoli di assistenti e portaborse, e molte sono le nomine politice in enti e organismi che danno accesso a redditi piccoli o grandi; ma il numero
dei cittadini che partecipa attivamente alla vita pubblica si riduce drasticamente.
Non so dire quanto in questo processo sia "delega" e quanto
"espropriazione": di fatto oggi la stragrande maggioranza dei
cittadini è lontana dalla partecipazione politica; perfino quanti
fra loro volontariamente si organizzano su questioni di grande
rilievo politico (penso ad associazioni come Libera, come Emergency,
come Italia Nostra eccetera) si considerano fuori dalla politica e
chiedono alla "politica" di fare passi indietro o avanti
eccetera eccetera.
Anche in questo caso, insomma, la trasformazione della lingua non è "innocente" e la nuova accezione, come nome collettivo, del sostantivo "politica" segnala la nascita di una attività separata, di uno strato sociale che, se non è - tecnicamente - una casta, tende ad assomigliarvi per i privilegi di cui gode. Alla "politica" democratica di tutti (o di quasi tutti) si è sostituita una oligarchia che si aggiunge alle altre oligarchie dominanti.
Anche in questo caso, insomma, la trasformazione della lingua non è "innocente" e la nuova accezione, come nome collettivo, del sostantivo "politica" segnala la nascita di una attività separata, di uno strato sociale che, se non è - tecnicamente - una casta, tende ad assomigliarvi per i privilegi di cui gode. Alla "politica" democratica di tutti (o di quasi tutti) si è sostituita una oligarchia che si aggiunge alle altre oligarchie dominanti.
Nota di fb, 17 maggio 2015
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