17.5.15

Rosa-Croce. Ibridi connubi tra magia, ragione e religione (Lucio Villari)

La storia dei complicati processi intellettuali che avvennero in Europa fra la metà del Quattrocento e la metà del Seicento può servire a renderci consapevoli del fatto che la razionalità, il rigore logico, la stessa struttura del sapere scientifico non sono né categorie perenni dello spirito né dati eterni della storia umana, ma conquiste storiche, che, come tutte le conquiste, sono suscettibili di andare perdute. Così ha scritto di recente uno storico del pensiero scientifico, Paolo Rossi; e mi pare che non vi sia nulla da obiettare. Il mondo razionale che ora abitiamo è un insieme di realtà e di false apparenze; comunque, tutta la scienza moderna ha, lo sappiamo bene, le sue origini torbide nella magia, nell'alchimia, nell'occultismo, nell'astrologia. Non è detto, dunque, che a queste origini non si possa tornare, poiché la magia e la tradizione ermetica (e la visione del mondo e dell'uomo ad esse collegate) non sono state cancellate dalla storia a opera della rivoluzione scientifica: sopravvivono in forme diverse e a differenti livelli. E' possibile, tuttavia, difendersene studiandole o facendone la storia.
La cultura del secolo XVIII e in particolare l'Illuminismo hanno insegnato che niente può resistere al potere critico della ragione, nemmeno gli equivoci e le facili confusioni di idee e di linguaggi. Scriveva Voltaire nel Dizionario filosofico: “Tutti i padri della Chiesa, senza eccezione, credettero al potere della magia. La Chiesa condannò sempre la magia, ma vi credette sempre. E' questo l'equivoco (ma vi credette sempre) che ha permesso nell'età moderna (che comincia con l'Umanesimo e il Rinascimento) alle pratiche irrazionali di confondersi con la trascendenza, i santi, i miracoli, i diavoli, le liturgie e tutto il noto armamentario della religione cristiana. Naturalmente la confusione c'è stata anche quando la magia è diventata un sapere, un momento totalizzante della filosofia del Rinascimento (ricordiamo Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Heinrich Cornelius Agrippa, Girolamo Cardano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e tanti altri). Certo è difficile per noi definirlo sapere, quando i fondamenti sui quali esso è costruito sono così impalpabili e fragili; ma se talvolta l'impalpabilità diventa costruzione logica e insieme desiderio di riforma dei sistemi politici e sociali, e sogno di un mondo senza ingiustizie, allora questa febbre conoscitiva diviene qualcosa di concreto, può essere la premessa di un pensiero, per dirla con Kant, organizzato nei limiti della ragione (intendendo per limiti l'opposto di ciò che la parola suggerisce).
A questo quadro storico voglio riferirmi per parlare di una confraternita di riformatori morali e religiosi apparsa agli inizi del Seicento, che maneggiavano l'alchimia e le scienze segrete e stimolavano gli adepti alla ricerca e al misticismo. Erano i Fratelli della Rosa-Croce, che ebbero, tra l'altro, influenza sul ritualismo della Massoneria inglese e americana del secolo successivo. Pare che i Rosa-Croce esistano ancora oggi - e non poteva essere altrimenti - negli Stati Uniti.
Dei Rosa-Croce si sono occupati di recente alcuni storici importanti, prima tra tutti Frances Yates, studiosa di Giordano Bruno, della tradizione ermetica, della cabbala e dell'occultismo nell'Inghilterra elisabettiana, che ha dedicato loro un volume, L'illuminismo dei Rosa-Croce, tradotto in italiano nel 1976. Venti anni prima era apparsa in Francia l'opera di Paul Arnold, una ricerca intorno alle complicate, serie e facete vicende di questa società segreta che, almeno nel 600, si presentò come un vero e proprio rompicapo. Il volume di Arnold è ora in italiano (Storia dei Rosa-Croce, traduzione di Giuseppina Bonerba, Bompiani, pagg. 327, lire 30.000) con una prefazione (e si capisce perché) di Umberto Eco.
Arnold prende le mosse dalla pubblicazione nel 1614 e nel 1615 a Cassel, in Germania, di due libelli, Fama e Confessio, manifesti ideologici della confraternita segreta dei Rosa-Croce, che si richiamavano ai tesori di conoscenza di un mitico fondatore-eponimo, Christian Rosencreutz (un nome inventato). Erano testi apocalittici che annunciavano l'avvento di un nuovo regno di Dio; un evento terribile e imminente al quale occorreva prepararsi non con vane riforme esteriori, ma attraverso una rigenerazione interiore. Il punto di partenza dei manifesti era, in sostanza, questo: “Non sarebbe meglio non doversi più preoccupare della fame e della miseria, delle malattie e dell'età? Non sarebbe meglio essere onnipresenti e sapere tutto ciò che c'è nei libri passati e futuri? Raccogliere pietre e diamanti invece di sassi, e ordinare agli spiriti invece che comandare alle bestie? Ebbene, tutti questi prodigi la Confraternita potrà farli avere a chi è disposto a pagarne il prezzo, a non fare deviare il suo zelo da nessuna cosa, foss'anche la compassione per i propri figli: poiché questi beni insperati non possono essere ereditati né offerti indifferentemente a chiunque”. Insomma, c'erano tutti gli strumenti per fronteggiare la catastrofe imminente e per trarne tutti i vantaggi possibili.
Richiamandosi a profezie medioevali (da Gioacchino da Fiore a Meister Eckert, a Tommaso di Kempis, a Paracelso e ad altri mistici e filosofi scolastici), i fondatori della confraternita, Arnold li individua in un gruppo di luterani tedeschi, con alla testa un giovane filosofo allucinato e entusiasta, Johann Valentin Andreae tentarono, dice Arnold, usando una mistificazione, di dar vita ad un movimento di riforma spirituale, di penitenza e di illuminazione. Se fosse possibile individuare e svolgere un filo logico nel progetto filosofico dei Rosa-Croce, esso terminerebbe con la fine di tutte le percezioni umane, intellettuali e fisiche. Il fratello Rosa-Croce dovrebbe in definitiva presentarsi a Dio assolutamente ignorante e senza emozioni carnali (l'individuo ideale sarebbe l'ermafrodito). Solo così si è nelle condizioni di massima chiarezza e illuminazione intellettuale e insieme di beatitudine.
Sono evidenti le infiltrazioni della mistica medioevale e delle filosofie orientali, con in più l'utilizzazione di tecniche e linguaggi dell'occultismo. Infatti, lo scopo principale del libro di Arnold mi sembra appunto quello di limitare la portata e l'originalità dei Rosa-Croce e di sdrammatizzare lo svolgimento e l'irradiazione nella cultura europea del secolo XVII della loro dottrina. L'autore nega perciò che possa esservi un rapporto tra le cabbale dei Rosa-Croce e il pensiero di filosofi come Cartesio, Comenio, Bacone, Spinoza e Leibniz, anche se alcuni di loro (Cartesio, soprattutto) conobbero gli scritti dei Rosa-Croce. Andrebbe però detto che l'equivoco anche qui di tali possibili rapporti può essere nato per colpa di quegli stessi filosofi. Per questi motivi il saggio di una esperta come Frances Yates è interessante anzitutto perché accoglie con maggiore consapevolezza storiografica lo scetticismo di Arnold, poi perché utilizza la vicenda dei Rosa-Croce per chiarire aspetti non solo filosofico-religiosi, ma anche letterari e artistici della cultura europea del secolo XVII. Ma, pensando a Cartesio, la cui filosofia è diventata per i moderni il simbolo della chiarezza razionale, non possiamo ignorare, come scrive Paolo Rossi, che “prima del Discorso sul metodo egli si dilettava, come avevano fatto tanti maghi del Cinquecento, della costruzione di automi e di giardini d' ombre e insisteva, come avevano fatto tanti esponenti del lullismo magico, sull'unità e l'armonia del cosmo. (...) Sono temi che, in chiave diversa, ricompaiono anche in Leibniz, nella cui logica confluiscono i temi attinti alla tradizione del lullismo ermetico e cabalistico”.
Gli apocalittici e incredibili Rosa-Croce ci portano dunque per vie traverse (traverse rispetto all'immagine, che non vorremmo smarrire, dei sentieri ininterrotti della Ragione) ad un Seicento pieno di misteri, di fictitia, di folletti shakespeariani, ma anche delle macchine meravigliose della rivoluzione scientifica e della prosa galileiana.


“la Repubblica”, 28 luglio 1989  

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