25.5.15

Voltaire. Il ritorno di Zadig (Giulio Cattaneo)

Di Voltaire si ripresentano tre "racconti filosofici": nella "biblioteca del viaggiatore" dell'editore Passigli, Zadig, insieme a Micromegas (pagg. 92, lire 6.000), nella versione di Renzo Frattarolo; e l'immancabile Candide tradotto da Maria Moneti (Il melangolo, pagg. 159, lire 20.000), con due saggi di Jean Starobinski, "Voltaire e l'infelicità umana" e "L'itinerario di Candido", uniti dal titolo Voltaire o della rivolta. Zadig è del 1747, Micromegas del '52, Candide del '59. Voltaire li aveva pubblicati fra i cinquantatre e i sessantacinque anni. Anticipati da qualche episodio delle Lettres persanes e della Histoire vèritable di Montesquieu, questi racconti-pamphlets di Voltaire rappresentano la forma più adatta e congeniale per divulgare brillantemente idee filosofiche e spunti polemici.
Il protagonista di Zadig è un giovane di Babilonia, ricco, generoso, saggio, tollerante, dotto, convinto che "l'amor proprio è un pallone gonfio di vento, da cui, a pungerlo, escon tempeste". Ma con tutte queste ottime qualità, Zadig è perseguitato continuamente dal destino, in una altalena di fortune e sventure. Nel primo capitolo Zadig ama, riamato, la bella Semira e la salva da valoroso in un tentativo di rapimento; ma una volta guarito da una ferita all'occhio sinistro, viene a sapere che la ragazza si è sposata col mancato rapitore pensando che Zadig rimanesse guercio. E' il tema dell'incostanza delle donne che avrà altre conferme, ma sarà alla fine contraddetto dalla fedeltà a Zadig della regina Astarte. Costretto a fuggire da Babilonia, finito schiavo in Egitto, dopo aver rischiato di arrostire a fuoco lento, Zadig riesce sempre a salvarsi grazie alla sua intelligenza e al suo coraggio, concludendo tutta una serie di peripezie col ritorno a Babilonia come re e sposo di Astarte.
Il viaggio è la grande scuola dei personaggi di Voltaire: così Micromegas si sposta dalla stella Sirio a Saturno e, insieme al segretario dell'Accademia di Saturno, esplora il globo terrestre. Si tratta sempre di viaggi filosofici nei quali Zadig concilia i seguaci di religioni diverse nel nome dell'Essere superiore e il gigantesco Micromegas conversa con gli uomini infinitamente piccoli sull'anima e la materia.
Con Candide la narrazione assume un ritmo indiavolato, quel ritmo da "gran cinematografo mondiale", da "giro del mondo in ottanta pagine" che incantava Italo Calvino. Dalle stampe galanti di Pangloss alle prese con la cameriera nel boschetto e di Candide con Cunegonda dietro il paravento - avventure finite nella sifilide di Pangloss e nei calci nel sedere a Candide cacciato dal castello, nell'inevitabile scambio di miele e assenzio - si passa ai viaggi a precipizio su tutta la faccia della terra finché i protagonisti del romanzo si ritrovano a vivere nella fattoria e nel giardino del "migliore dei mondi possibili".
A queste pubblicazioni si aggiunge l'Odalisca nella collana del "Cigno nero" di Lucarini (pagg. 63, lire 8.000), con una postfazione di Franco Cuomo. "Opera tradotta dal turco", stampata anonima nel 1779, fu attribuita a un Voltaire ottantaduenne nell'edizione del '96, anche se il dubbio è lecito. Non è un racconto filosofico, ma poco più di un manualetto di pratiche erotiche. Un lettore più esperto di me potrebbe scoprire cosa ha realmente combinato l'eunuco negro Zulphicara con la dolcissima Zeni, date le sottili contraddizioni della storia sullo sfondo del solito Oriente immaginario prediletto dagli scrittori francesi del Settecento.
Diceva Vittorio Alfieri che di Voltaire lo "allettavano singolarmente le prose", ma non i versi: che, anzi, lo "tediavano"; lo sistemò comunque fra i ventitre più grandi poeti antichi e moderni del suo scherzoso Ordine di Omero. A sua volta, Leopardi considerava Voltaire più filosofo che poeta; e Manzoni si ricordò di lui riflettendo su qualche aspetto della questione della lingua, infastidendosi anche per le sue "così inconsiderate sentenze" sulle "cose di Shakespeare". In apparenza non è facile reperire tracce precise e frequenti di Voltaire nella cultura italiana fra Sette e Ottocento; ma certi modi eleganti di diffondere grani di filosofia attraverso la letteratura nell'Italia fra i due secoli, "l' un contro l' altro armato", riportano ad una origine illuministica, e quindi anche a Voltaire.
Se l'autore di Candide, come ha rilevato Giovanni Macchia, realizzò "il grande sogno" di una cultura "portatile", dando vita, "intorno al blocco di alcune opere fondamentali", ad una "quantità di operine minori, di pamphlets, di articoli", di "mèlanges", "dialoghi, diatribes, pensieri, note, osservazioni", anche nella cultura italiana dalla fine del Settecento si è verificato nell'influenza illuministica qualcosa di simile. Non si spiegherebbero altrimenti la Notizia intorno a Didimo Chierico del Foscolo e i Detti memorabili di Filippo Ottonieri del Leopardi. Del resto, nelle leopardiane Operette morali si trovano precisi riferimenti a Voltaire: come provano, fra l'altro, La scommessa di Prometeo e il Dialogo della natura e di un islandese. Per restare al primo Ottocento italiano, nella Roma dei sonetti del Belli, secondo Gadda, "riverberi di luce voltairiana, dopo la rapina profanatrice, sembrano mordere, come granchi lasciati dietro dal riflusso, l'alluce petroso dei Santi consunti".
Non mancano segni di una certa reviviscenza di Voltaire in questi anni; e, se "la nostra è un' epoca di enciclopedie e di tascabili", come osserva Macchia, "in questo campo Voltaire ha molto da insegnarci". Un suo riflesso è negli svelti romanzi fantastici di Calvino giovane; e il più noto dei personaggi allegorici di Voltaire riappare nel Candido di Sciascia, confermando il detto di Montesquieu che un' opera originale "ne fa quasi sempre nascere cinque o seicento altre, queste servendosi della prima come i geometri si servono delle loro formule".


“la Repubblica”, 20 febbraio 1986

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