19.6.15

Guido Picelli l’antifascista che fece tremare Mussolini (Giancarlo Bocchi)

Guido Picelli
Il 1922 è l'anno della guerra civile strisciante, di una catena quotidiana, ininterrotta, di scontri, violenze, morti. E' un anno chiave per la storia d'Italia. I fascisti ormai | dilagavano «alla velocità di una epidemia» e Mussolini , teorizzava che «la forza e la violenza sono profondamente morali». Il partito socialista, che aveva annunciato «la rivoluzione imminente» al popolo stanco e impoverito dalla guerra, aveva perso il suo impeto, la sua forza iniziale era svanita a causa delle spaccature interne, delle divisioni i in gruppi e sottogruppi. Mussolini proclamava il suo attacco finale alla conquista del potere: «il fascismo è nato dalla guerra e deve finire con la guerra». Nello stesso momento il neonato Partito comunista di Amedeo Bordiga i teorizzava «il valore dell'isolamento» dalle altre forze antifasciste e i socialisti discutevano all'infinito «sull'uso della forza» per opporsi alla «minoranza» fascista. ,
È in questo contesto che ai primi d'agosto del 1922, al culmine della loro marcia verso il potere, i fascisti subirono una grande sconfitta. Una debacle che, se fosse stata presa ' ad esempio dai partiti antifascisti, poteva toglierli di mezzo, farli sparire per sempre. Durante i 5 giorni della Battaglia di Parma (1-6 agosto) le forze antifasciste, coalizzate per la prima volta in un «fronte unico», guidate dagli Arditi del popolo di Picelli, impartirono ai fascisti una pesante lezione. La cronaca di quei giorni memorabili, che furono il più importante episodio dell'opposizione armata al fascismo prima della Resistenza, Picelli la scrisse negli anni '30. («La rivolta di Parma», pubblicato qui a fianco). In , quell'occasione elencò solo brevemente i successivi tentativi messi in opera per fermare il fascismo e far insorgere le forze della sinistra. Picelli si era formato nei borghi dell'Oltretorrente, abitati da un popolo generoso, cospiratore, sempre pronto a ribellarsi, a insorgere contro i i tiranni, le prepotenze e le ingiustizie. Subito dopo la Grande Guerra riuscì ad ottenere un grande seguito
popolare. Per un periodo lottò per l'unità del movimento , sindacale e contemporaneamente fondò, nel 1920, le «Guardie rosse». Nel 1921 fu eletto al Parlamento nelle fila del Partito socialista, l'elezione, un vero e proprio plebiscito, gli permise di uscire di galera. Costituì gli Arditi , del popolo, anche se non amò mai l'iconografia dell'arditismo nazionale: teschi, ossa incrociate e nastrini al valore. I suoi Arditi dovevano soltanto giurare che si ' sarebbero battuti «contro la violenza dell'attuale società, basata sui principi della più umiliante schiavitù». Abilissimo nei camuffamenti, conoscitore di tutte le vie segrete della sua città, alcune che utilizzavano la rete sotterranea, altre aeree, di tetto in tetto, Picelli durante la Battaglia di Parma, sfidò i fascisti attraversando tutta la città, portando ordini e infondendo coraggio ai popolani che difendevano i vari settori. Il suo piano di difesa fu un capolavoro di «guerriglia urbana», di «guerra di strada», come la chiamava lui. Aveva studiato e messo in opera una «trappola mortale» per il fascismo. Italo Balbo, preoccupato «per una strage sicura» dei suoi uomini, capì di essere vicino alla «caporetto» del movimento. Scrisse nel suo diario: «Se Picelli dovesse vincere, il suo esempio potrebbe essere ripetuto in molte città italiane». Al quinto giorno di assedio, mentre le colonne fasciste abbandonavano demoralizzate e sconfitte Parma, portandosi via decine di morti e di feriti, Picelli pensò di approfittare della vittoria per dare un colpo definitivo al nemico. Inviò porta-ordini in varie città del Nord per comunicare la vittoria di Parma ai nuclei antifascisti. Il governo centrale, preoccupato per la possibilità concreta di un'insurrezione generale, ordinò lo stato di assedio in molte località italiane. Nelle settimane successive, Picelli proseguì nella sua azione, per fermare l'ormai imminente colpo di stato fascista. Lanciò pressanti appelli all'insurrezione, incontrò segretamente gli esponenti antifascisti di varie città per organizzare «L'esercito rosso».
L'anno prima Lenin aveva pesantemente criticato la posizione politica di Bordiga, che chiudeva la porta in faccia al movimento degli Arditi del popolo. Anche dopo la vittoria di Parma, malgrado le pressioni di Bucharin, favorevole all'azione degli Arditi, il segretario del PCd'I rimase fermo nella sua posizione «isolazionista» e di opposizione al «Fronte Unico». Anche i socialisti ignorarono gli appelli di Picelli, continuando a farsi a pezzi nelle faide interne e proseguendo nella sterile e cieca strategia che cercava una pace impossibile con Mussolini. L'azione degli Arditi del Popolo, limitata o osteggiata dai partiti della sinistra, fu quella che Paolo Spriano definì: «La grande occasione mancata dall'antifascismo militante, prima della marcia su Roma». Per sminuire la vittoria di Picelli a Parma, gli apparati dello Stato e i fascisti fecero circolare la voce che la città non era stata «messa a ferro e fuoco», come avrebbe voluto Mussolini, perché «protetta» da Gabriele D'Annunzio e dalla massoneria, in virtù dei vincoli «fiumani» che legavano il poeta al sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris o addirittura per l'acquiescenza delle locali forze di governo verso gli Arditi. In realtà i 39 morti e i 150 feriti trai fascisti ed i 10 mila colpi sparati in 5 giorni (secondo i calcoli della locale Scuola militare d'applicazione) stavano a dimostrare il contrario. Poco prima della marcia su Roma, Picelli tentò ripetutamente di ripetere sul piano nazionale l'esperienza di Parma. Non si arrese neppure quando sfumò definitivamente l'ipotesi di una manifestazione unitaria e risolutiva a livello nazionale. Infatti, dopo la marcia su Roma, fine di ottobre del 1922, sciolse gli Arditi del popolo per fondare «I soldati del popolo», una nuova organizzazione insurrezionale segreta. «Picelli prepara la riscossa dei sovversivi contro l'attuale governo fascista (...) Ventilato in segrete riunioni il progetto di una simultanea azione violenta contro i capi del Fascismo» scrissero preoccupati i Prefetti, e i Carabinieri nei loro rapporti. L'anno dopo i fascisti, dopo numerose aggressioni, gli tesero a Parma un agguato mortale. Colpito di striscio alla tempia da una pallottola si salvò per miracolo. Subito dopo sfuggì a un complotto per assassinarlo, ordito da alti gerarchi, fra i quali c'era Balbo. Non riuscirono né a intimorirlo né a fermarlo. Beffando Mussolini e i deputati fascisti, per protestare contro la soppressione della Festa dei lavoratori, il 1 maggio 1924 sfidò il regime fascista innalzando sul pennone del Parlamento una grande bandiera rossa ornata di falce e martello. Rieletto nel 1924 come indipendente nelle liste del Pcd'I, Picelli instaurò un forte rapporto di collaborazione con Gramsci. Nella corrispondenza segreta del Partito, appare più volte il progetto di un misterioso libro «sulla guerra civile in Italia», una tesi da scrivere o un piano d'azione da mettere in pratica? In quei giorni viaggiò molto per l'Italia, ufficialmente, in veste di deputato, per visitare le carceri, in realtà, seminando poliziotti e sfuggendo alle imboscate fasciste, per incontrare segretamente in ogni città i compagni, con lo scopo di organizzare la struttura insurrezionale clandestina del partito. Il suo progetto sfumò l'8 novembre del 1926, quando venne arrestato insieme a tutti i maggiori leader antifascisti. Nel 1932, dopo 5 anni di confino e di galera, fuggì in Francia dove proseguì la sua attività di rivoluzionario e agitatore politico. Espulso prima dalla Francia e poi dal Belgio, il leggendario comandante di Parma, il grande teorico della «guerra di strada», giunse a Mosca dove, invece di ricevere l'incarico militare che gli avevano promesso e che si era ampiamente meritato sul campo, fu messo da parte. Si ritrovò a fare l'operaio nella fabbrica Kaganovic. In quei lunghi anni passati nell'Unione sovietica stalinista subì ingiustizie e persecuzioni, contro di lui fu intentato anche un processo di fabbrica, anticamera del Gulag.
Picelli, con l'abituale coraggio, riuscì a salvarsi senza rinnegare le sue idee ed a lasciare l'Unione Sovietica alla volta della Spagna in fiamme. Dopo aver abbandonato i comunisti italiani ed aver avuto contatti con Andreu Nin del Poum, il partito comunista spagnolo antistalinista, accettò di comandare una unità italiana dei Volontari internazionali, espressione di quel «fronte unico» antifascista nel quale aveva sempre creduto. Al comando del Battaglione Garibaldi, il 1 gennaio 1937, ottenne a Mirabueno la prima vittoria dei repubblicani sul Fronte di Madrid. I suoi uomini lo ricorderanno in battaglia sempre in piedi, dritto, incurante delle fucilate e delle bombe. Achi gli chiedeva di abbassarsi rispondeva: «Non mi piegherò mai davanti ai fascisti!». Il 5 gennaio 1937, dopo aver conquistato l'altura del Matoral, mentre si apprestava ad attaccare le posizioni fortificate del San Cristobal, cadde colpito non al petto, ma alle spalle, all'altezza del cuore. Lasciò scritto: «Solo con l'unità avremo il sopravvento, poiché è indiscutibile che noi siamo una forza che non s'impone oggi, solo perché divisa in tanti piccoli raggruppamenti in disaccordo fra di loro». I suoi appelli all'unità e all'azione, che rimasero inascoltati, appaiono ancora oggi, a distanza di quasi novant'anni, di grandissima attualità.


“alias il manifesto”, 28 luglio 2012

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