18.6.15

Il socialismo è necessario e possibile (Albert Einstein)

In nessuna parte del mondo abbiamo superato quella che Thorstein Veblen chiamò la "fase predatoria" dello sviluppo umano. I fatti economici che ci è dato osservare appartengono a tale fase, e le stesse leggi che possiamo applicare a tali fatti non sono applicabili ad altre fasi.
Dato che il vero scopo del socialismo è precisamente quello di superare e di procedere oltre la fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica, al suo stato attuale, può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro. Dovremmo stare attenti a non sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo ammettere che gli esperti siano gli unici ad avere il diritto di pronunciarsi su questioni riguardanti l'organizzazione della società.
Posso indicare brevemente ciò che secondo me costituisce l’essenza della crisi del nostro tempo. Si tratta del rapporto dell’individuo con la società. L’individuo è diventato più consapevole che mai della propria dipendenza dalla società. Egli però non sperimenta tale dipendenza come un fatto positivo, come un legame organico, come una forza protettrice, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o addirittura alla sua esistenza.
L’anarchia economica della società capitalista rappresenta secondo me la vera fonte del male. Vediamo di fronte a noi un’enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per spogliarsi a vicenda dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, bensì tutto sommato in complice ossequio a regole stabilite in forma legale. In questo senso è importante rendersi conto che i mezzi di produzione possono essere con pieno crisma legale, e per la maggior parte lo sono, proprietà privata di singoli individui.
Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di acquistare la forza lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuovi beni che diventano proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione fra quanto il lavoratore produce e quanto gli è pagato, entrambe le quantità misurate in termini di valore reale. Fintantoché il contratto di lavoro è ’’libero”, ciò che il lavoratore riceve è determinato non dal valore reale dei beni che produce, ma dalle sue necessità di sopravvivenza e dalla domanda di forza-lavoro da parte del capitalista, rapportata al numero di lavoratori che sono in concorrenza per i posti di lavoro. E’ importante comprendere che anche in teoria il salario del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.
Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della concorrenza fra capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente suddivisione del lavoro incoraggiano la formazione di più grandi complessi di produzione a spese minori. Il risultato di questi sviluppi è un’oligarchia del capitale privato il cui potere enorme non può essere efficacemente controllato neppure da una società politica democraticamente controllata.
Il lavoratore ha sempre la paura di perdere il proprio posto di lavoro, dato che i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano per i beni di consumo un mercato vantaggioso, la produzione di tali beni ne risulta limitata, con un conseguente grave danno. Il progresso tecnologico si risolve frequentemente in un aggravamento della disoccupazione piuttosto che in un alleggerimento della quantità di lavoro per tutti. Il movente del profitto, congiuntamente alla concorrenza fra capitalisti, è responsabile di una instabilità nell’accumulazione e nell’impiego del capitale, che conduce a depressioni sempre più gravi. La concorrenza illimitata porta ad un enorme spreco di lavoro e a storture della coscienza sociale nei singoli individui.
Queste storture nell’individuo sono secondo me la tare peggiore del capitalismo. Un atteggiamento esageratamente concorrenziale viene inculcato nello studente, abituandolo ad adorare il successo, come preparazione alla sua futura carriera. Sono convinto che vi è un solo mezzo per eliminare questi gravi mali, e cioè la creazione di un’economia socialista congiunta a un sistema educativo che sia orientato verso obiettivi sociali.
E’ necessario tuttavia ricordare che un’economia pianificata non rappresenta ancora il socialismo. Una tale economia pianificata potrebbe essere accompagnata dal completo asservimento dell’individuo e ciò non sarebbe affatto un bene.


Da «Monthly Review», I, 1, gennaio 1949, in “il manifesto”, 14 marzo 1979. Tradotto e ridotto da m.d.m.

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