24.6.15

Immigrati cinesi. Una diaspora di imprenditori (Martino Mazzonis)

In principio furono le cravatte a poche lire vendute per le strade di Milano da immigrati cinesi provenienti dalla Francia agli inizi del '900. Poi, molti anni dopo, a cominciare dagli '80, i ristoranti. Dal punto di vista economico la comunità cinese non somiglia a nessuna delle grandi comunità immigrate in Italia: la sua principale caratteristica è l’imprenditorialità. Su poco più di 300 mila cittadini cinesi regolarmente residenti al gennaio 2013 (la terza comunità nazionale), infatti, ben 39 mila erano commercianti, il 13 per cento. Un numero davvero cospicuo se si tiene conto del fatto che più di un quarto sono minorenni e che non tutti lavorano. L’analisi per settori occupazionale conferma poi un altro aspetto determinante, quello di una comunità che produce lavoro e occupa prevalentemente, se non esclusivamente, connazionali. Il 65% dei cinesi, che conoscono tassi di disoccupazione più bassi della media della popolazione immigrata, lavora nei servizi e di questi, il 60% è impiegato nel commercio e nella ristorazione. Negozi, bar, ristoranti a conduzione familiare che impiegano parenti e non e laboratori industriali, soprattutto di tessile, come a Prato, che costituiscono il secondo ambito di impiego con il 34,2%. Il ristorante cinese, la prima forma di presenza molto visibile negli anni ’90, non è figlio di una vocazione, ma è considerato il primo gradino. Se e quando il ristorante funziona e consente di fare un investimento, si punta al negozio.
Quella cinese è percepita come una immigrazione separata dalle altre e in parte lo è: se c'è una comunità mondale che si può definire diaspora è quella cinese. Sia per storia antica, in tutto il sudest asiatico (6 milioni in Malesia, 7 in Thailandia, uno e mezzo in Vietnam), che per storia più recente in diverse città europee (Parigi, Londra, Milano, Roma). I legami con la madrepatria, le relazioni familiari come calamita dell’emigrazione e dell’integrazione nei Paesi, quelle con altre comunità del continente di emigrazione sono caratteristiche speciali delle comunità cinesi che le fanno percepire come più chiuse e distanti dal contesto in cui si trovano. Nel Sudest asiatico i cinesi si trovano spesso a essere oggetto di forme di aggressione in tempi di crisi proprio perché sono una presenza costante nel tempo, ma percepita come separata.
Anche in Italia vale il meccanismo familiare: gli immigrati cinesi vengono quasi tutti dalle regioni del Zejihang, Fujian e Guandong, ovvero la fascia costiera tra Hong Kong e Shanghai, culla del grande balzo in avanti cinese degli ultimi venti anni.
Per quanto riguarda i luoghi di insediamento, la Lombardia, il Lazio e la Toscana sono le regioni con più presenze. Quest’ultima è un caso a parte: tra Firenze e Prato vive il 17,5% dei cinesi d’Italia, mentre la media degli stranieri in quelle province è del 2,7% e 1,6%. Enorme anche il flusso di rimesse, che negli anni passati, assieme a fiumi di soldi simili provenienti da altri Paesi, ha contribuito a finanziare la crescita della Cina. Nel 2012 2 miliardi e 674 milioni di euro sono tornati a casa. Si tratta del 39% del totale delle rimesse, il che significa che i cinesi hanno una capacità di risparmio enormemente più alta di altri gruppi e che tendono ad avere un rapporto con la madre patria molto stretto.

"Pagina 99 we", 13 dicembre 2014

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