24.6.15

Scommesse sportive. «Belchinezen» all'assalto del calcio (Alberto Piccinini)

Catania 1960-61
Gli olandesi hanno una parola: belchinezen. Vuol dire, più o meno: cinesi col telefono. Sono i ragazzi cinesi, comunque orientali - il termine è stato coniato dalla polizia, e non è amichevole - seduti sulle gradinate degli stadi europei che tengono aggiornati in tempo reale i grandi siti asiatici di scommesse. Negli stadi di serie A in quelli della Liga o della Premier League, ci si può mimetizzare facilmente. Negli stadi semivuoti della seconda divisione olandese è un po' più difficile. Belchinezen sono stati avvistati nel 2008 a Copenhagen, durante la Tivoli Cup, un torneo per ragazzi tra gli 11 e i 19 anni, giocato nei parchi, al quale assistono un trentina di spettatori per ogni partita. I siti asiatici scommettevano anche su quelle.
I cinesi col telefono (ma a volte usano un laptop per aggiornare i risultati sul sito) non fanno niente di illegale. Semmai, sono soltanto l'ultimo terminale di un'organizzazione enorme e ramificata, che può contare oltre tutto sulla pervasività e la pulizia del web. A volte può capitare che facciano una brutta fine. Una coppia di studenti universitari cinesi che viveva a Newcastle è stata brutalmente uccisa da un connazionale nel 2009. Le indagini hanno portato alla luce il tentativo di fregare l'organizzazione di scommesse per la quale lavoravano, approfittando dal ritardo col quale erano trasmesse in patria
Declan Hill, il giornalista inglese che ha realizzato l'inchiesta più completa sul nuovo mondo delle scommesse online legate al calcio, e sulle spiacevoli conseguenze di un giochetto che ha decuplicato in dieci anni i profitti di tutte le agenzie coinvolte, spiega che solo il 40% delle puntate è controllato da organizzazioni affidabili. E che il 60% delle puntate si muove nel mercato asiatico. Che è per lo più illegale. Nel 2006 la rivista americana Foreign Politics stimava in 450 miliardi di dollari il giro d'affari complessivo di questo mercato. 20 volte il giro d'affari di tutti i campionati europei.. Una cifra che spiega parecchio.
Spiega perché in Germania, Belgio, Turchia e ora anche in Italia, emergano i fenomeni di conuzione, i trucchetti, i risultati combinati, che oggi sono al centro della cronaca. E con un architettura da crimine transnazionale che fa impallidire qualsiasi scrittore di gialli cibernetici. Capi a Singapore, quadri nell'Est Europa, alleati nelle organizzazioni criminali storiche (camorra, mafia). Anelli deboli della catena da cercare tra giocatori, ex giocatori e addetti ai lavori, spesso di (quasi) nessun nome.
Già i campionati calcistici asiatici sono stati divorati da questa organizzazione. Il premier Hu Jin tao, nel 2009, ha definito il calcio cinese «una vergogna nazionale». La polizia malese stimava nello stesso periodo che il 70% delle partite locali fosse truccato. Ora, il piatto forte è quello europeo, infinitamente più affidabile e appetibile agli scommettitori per storia e tradizione. Una qualità che dovrebbe fare da antidoto alla corruzione, ma che si sta rivelando una debolezza: «C'è un rifiuto psicologico di ammettere quel che sta accadendo - spiega Declan Hill - e questo fa della corruzione sportiva il crimine perfetto: nessuno vuole crederci».
C'è un sistema ben oliato per destare il minor numero di sospetti possibile. Mai scommettere contro la squadra più forte, ma contro la squadra più debole. Meglio se di una serie minore, e di un campionato più povero. Mai sulla vittoria o sulla sconfitta secca, ma sul numero dei gol segnati, under e over, e spesso con puntate a partita in corso. E infine, contattare i giocatori giusti. «Siamo abituati a pensare a loro come delle star - ha spiegato Hill - ma in genere non sono questo. Oltre i 26 anni, quando ha passato la metà della carriera, un giocatore normale è più propenso a vendersi la partita».

il manifesto mercoledì 21dicembre 2011

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