24.6.15

Spaccaminuti. Orari e calendari nella storia (Valerio Castronovo)

Una pagina di calendario benedettino
Regolare il tempo non è soltanto uno degli aspetti più significativi della nostra vita sociale; è anche una caratteristica essenziale della cultura contemporanea, in quanto fondata su un concetto di razionalità che evoca di per sè il calcolo, la precisione, la puntualità, la standardizzazione. Ma l'istituzione della regolarità temporale è un'idea piuttosto antica.
Duemila anni fa, i rabbini già tendevano a disciplinare la vita individuale, come pure quella collettiva, attraverso un rigido orario giornaliero dei servizi religiosi. Furono tuttavia i monaci benedettini a introdurre in epoca medievale il primo modello organico di misurazione e strutturazione convenzionale del tempo (non solo su base mensile o giornaliera, ma anche oraria) da cui sarebbero derivati in seguito - pur con alcune varianti - sia gli elementi costitutivi sia gli strumenti essenziali usati in Occidente per stabilire e per mantenere la regolarità temporale nella vita quotidiana.
La "Tavola delle ore" che San Benedetto impose ai suoi seguaci, fissava non soltanto la sequenza degli "uffici divini" e di altre funzioni liturgiche, ma anche le scansioni temporali delle varie pratiche di routine. Ed era quanto mai severa con chi, per qualsiasi ragione, non si fosse attenuto strettamente all'osservanza di tali norme: l'arrivare tardi veniva considerato un peccato grave e perciò punito con la penitenza se non addirittura con l'allontanamento dalla comunità. Le deroghe ammesse erano poche: nella vita del monastero ogni cosa doveva procedere puntualmente e senza margini di ambiguità. Il rispetto di un programma così rigido e complesso richiedeva sia una standardizzazione della lunghezza delle ore, secondo criteri uniformi di durata, sia una loro precisa collocazione temporale nel ciclo giornaliero, indipendentemente dal variare delle stagioni e dalle condizioni di luce. Si spiega così il contributo dell'Ordine Benedettino all'introduzione in Europa dell'orologio meccanico.
D' altra parte, nella concezione cristiana, la vita terrena non era che una fase di transizione verso quella eterna: i benedettini trattavano pertanto il tempo come una risorsa limitata e irrecuperabile che avrebbe dovuto essere utilizzata al meglio. San Benedetto raccomandava ai suoi seguaci di spenderlo bene, se essi volevano guadagnarsi il paradiso e scongiurare le pene dell' inferno, non solo attraverso le preghiere e le devozioni religiose, ma anche attraverso lo studio e le opere buone, in modo da evitare l' ozio che egli condannava come "nemico dell' anima". Legittimando l'esigenza di un uso ottimale del tempo, sia pur su un terreno morale, il monachesimo benedettino finì così per trasmettere alla civiltà occidentale una filosofia utilitaristica del tempo che, ripresa e sviluppata dalla Riforma Protestante, sarebbe divenuta più tardi il caposaldo dell'"etica" del capitalismo.
Anche in questo contesto ci si aspetta infatti che gli individui aumentino al massimo il loro tempo "attivo" e, di conseguenze, riducano al minimo ogni tempo "vuoto", perchè "ingiustificato". E' il concetto che Benjamin Franklin diffonderà con una massima divenuta classica: "Ricordatevi che il tempo è denaro" e che entrerà nell' uso popolare: si pensi a termini come "risparmiare", "investire", "sprecare" il tempo. Si giunse così a considerare il tempo come una merce, come una entità che può essere comprata e venduta: ciò che l'industrializzazione tradusse sia nell' istituzione del salario a tempo (secondo unità quali l'ora, il giorno, la settimana, il mese) e non più secondo la quantità del lavoro svolto, sia nell'adozione di particolari metodi per accelerare il processo di produzione, riducendo la durata dell'attività.
Sorta in origine per rispondere a un'esigenza spirituale, la regolarità temporale divenne così il principale parametro di una civiltà materiale tutta efficienza e rapidità. Ma questo non è che uno dei tanti fili conduttori dell'analisi del tempo, considerato non solo come un' entità fisico-matematica, ma anche come un'entità investita di tanti altri significati, che il sociologo americano Eviatar Zerubavel ci propone nel suo libro Ritmi nascosti. Orari e calendari nella vita sociale (Il Mulino).
Vi sono altri percorsi che appartengono alla sfera del politico e dell'ideologia, o che svelano certi aspetti più intimi dell'identità sociale e religiosa. Il calendario ebraico, per esempio, distinto da ogni altro quadro cronologico delle date, è stato il più importante fattore di unità del popolo d'Israele. Non solo perchè esso ha tramandato delle tradizioni e memorie collettive che probabilmente sarebbero andate perdute, ma perché - con i suoi "comandamenti discriminanti", a cominciare dall'osservanza del Sabbath, del riposo al sabato - ha rafforzato negli ebrei vissuti per secoli nel mondo cristiano (che considerava la domenica il giorno del Signore) e in quello musulmano (per cui il venerdì era il giorno santo), il loro senso di appartenenza, la loro unicità come gruppo ed entità distinta. D'altra parte la centralità del Sabbath nella vita degli ebrei rivela un'altra dimensione del tempo: quella sacrale. Il tempo può agire infatti - come afferma Durkheim - come il più efficace principio di differenziazione totale fra il terreno del sacro e quello del profano.
In effetti, in vari popoli e civiltà, l'uomo ha imparato a impiegare tanto le dimensioni del tempo, quanto quelle dei luoghi, per codificare e tenere nettamente distinte le categorie del sacro e del profano concepite come generi separati che si escludono a vicenda e di cui va quindi evitata qualsiasi simultaneità e contaminazione. L'azione di un proprio calendario ha avuto una funzione fondamentale anche per la cristianità e per l'Islam. Maometto, volendo dissociare completamente le feste della religione islamica da quelle arabe pagane, stabilì un ciclo annuale di 354 giorni, sostituendo il calendario lunisolare tradizionale con un calendario lunare completamente differente. La stessa motivazione, cioè quella di creare una cesura netta col passato, fu all'origine dell'istituzione dell'"era cristiana" (come Anno ab incarnatione, poi Anno Domini); a sua volta la standardizzazione dell'inizio del ciclo annuale (fissato da Papa Gregorio XIII nel 1582, nella data del 1 gennaio) agì quale ulteriore elemento discriminante, per più di un secolo, fra il mondo cattolico e quello protestante: solo più tardi, quando venne adottato un po' in tutto il mondo, in seguito alla colonizzazione europea, il calendario gregoriano perse i suoi caratteri distintivi di istituzione cristiana.
La tendenza, affermatasi negli ultimi due secoli, a passare dal particolarismo all'universalismo ha prodotto, quindi, quella "laicizzazione della regolarità temporale che invano la Rivoluzione francese aveva cercato di imporre in forma dirompente e in funzione decristianizzante con l'introduzione del "Calendario Repubblicano" del 1793, scaturito dal totale ripudio dell' ordine esistente in nome del progresso e della modernità. Oggi che l'evoluzione dell'orario in Occidente è sempre più fondata su una filosofia spiccatamente economica del tempo, anche la nostra vita privata e le più minute manifestazioni di quella sociale, risultano influenzate da questo orientamento. L'arte di "ammazzare il tempo", di servirsene nel modo più efficace e veloce, e la connotazione negativa attribuita a qualsiasi genere "vuoto" di attesa o di intervallo, hanno accentuato la visione quantitativa del tempo e introdotto nuove pratiche basate sul principio del consumo simultaneo: dalle "colazioni di lavoro" in cui ci si occupa d'affari mentre si mangia, al cocktail party, al banchetto dedicato agli incontri sociali; dall'ascolto della musica mentre si guida, allo spettacolo televisivo mentre si cena, e così via. Tuttavia, la crescente divisione del lavoro e la risultante differenziazione delle diverse fasi della vita quotidiana nella società moderna, hanno anche favorito la separazione della sfera del pubblico e del privato.
In passato, il tempo privato era essenzialmente definito come una categoria residuale, non più di un avanzo nei confronti del tempo impiegato nel lavoro. Oggi la rigidità temporale dei nostri impegni professionali, lungi dall'essere un fenomeno alienante di irreggimentazione, fornisce all'individuo una protezione maggiore del suo tempo privato e quindi agisce da elemento liberatorio. Attraverso la creazione di una nicchia di "inaccessibilità" temporalmente definita, il tempo è diventato di fatto uno dei più importanti principi organizzativi del nostro diritto al riposo e alla privacy.


“la Repubblica”, 29 agosto 1985  

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