29.7.15

Cristianesimo e impero romano (Friedrich Engels)

Il confronto (indiretto) tra cristianesimo e socialismo qui proposto da Engels contiene implicazioni che solo la variante stalinista del marxismo ha valutato in tutta la loro portata: un grande moto e un grande partito di rivoluzione sociale non possono realizzare i loro obiettivi se non sanno diventare “religione popolare”, se non permeano di sé la vita quotidiana, se non producono fede, ritualità, capacità di testimonianza, che a volte giunge fino al martirio.
Quella variante tuttavia, insieme alle potenzialità implicite nella modificazione (un “partito capace di aderire a tutte le pieghe della società” diceva Togliatti, nell'elaborare la via italiana allo stalinismo), conteneva il rischio di una chiesa dogmatica e autoritaria governata da una burocrazia clericale (i preti rossi). Ne derivarono degenerazioni che alla lunga hanno fatto morire di asfissia il progetto di trasformazione egualitaria del mondo iniziato con la Rivoluzione russa. Perfino il Partito fascista e il Partito nazionalsocialista poterono far proprie, da destra, con basi sociali e progetti assolutamente divergenti, alcune caratteristiche di quel modello, caso accentuando il fideismo acritico fino al “Duce tu sei la luce” o alla elaborazione di Credo e catechismi.
La domanda che qui propongo è se non sia possibile un “socialismo” come “religione aperta”, secondo la felice formula di Capitini, o se non sia piuttosto necessario, cosa assai più difficile, fare come diceva Leopardi, cioè portare la “filosofia”, il pensiero che critica le religioni, tra il “volgo”, in modo che diventi senso comune e alimenti l'onesto e retto conversar cittadino, la giustizia e la pietade. (S.L.L.)

Sono passati quasi esattamente 1.600 anni da quando nell'impero romano agiva ugualmente un pericoloso partito sovversivo. Esso minava la religione e tutte le basi dello Stato; esso negava per l'appunto che il volere dell'imperatore fosse la legge suprema; esso era senza patria, internazionale; si estendeva in tutte le terre dell'impero, dalla Gallia all'Asia, e al di là dei confini dell'impero. Esso aveva fatto per un lungo periodo di tempo un lavoro segreto, sotterraneo, di disgregazione; ma da parecchio tempo già si sentiva abbastanza forte per mostrarsi alla luce del sole. Questo partito sovversivo, conosciuto col nome di cristianesimo, era anche fortemente rappresentato nell'esercito: intiere legioni erano cristiane. Quando erano comandate a prestar servizio d'onore alle cerimonie dei sacrifici della Chiesa di Stato pagana, i soldati sovversivi spingevano la temerità sino a porre sui loro elmi in segno di protesta dei distintivi particolari: delle croci. Persino le abituali vessazioni di caserma dei superiori erano vane.
L'imperatore Diocleziano non poté più assistere passivamente al modo come l'ordine, l'obbedienza e la disciplina venivano minali nel suo esercito. Egli prese misure energiche, mentre vi era cui cora tempo. Promulgò una legge contro i socialisti, volevo dire contro i cristiani. Le riunioni dei sovversivi vennero proibite; i loro locali vennero chiusi o addirittura demoliti; i distintivi cristiani, croci, ecc., vennero proibiti come i fazzoletti rossi in Sassonia. I cristiani vennero dichiarati incapaci a coprire cariche di Stato; essi non potevano nemmeno essere caporali.
Siccome allora non si disponeva ancora di giudici cosi ben addestrati alla « considerazione delle persone », come li prevede il disegno di legge del signor von Koller si proibì puramente e semplicemente ai cristiani di domandar giustizia davanti ai tribunali. Anche questa legge eccezionale rimase senza effetto. I cristiani la strapparono dai muri per scherno; anzi, si dice che a Nicomedia essi avrebbero incendiato il palazzo in cui si trovava l'imperatore. Allora questi si vendicò con la grande persecuzione dei cristiani dell'anno 303 dell'era nostra. Essa fu l'ultima del genere. E fu cosi efficace che diciassette anni dopo l'esercito era composto in gran maggioranza di cristiani, e che il successivo autocrate di tutto l'impero romano, Costantino, dai preti detto il Grande, proclamò il cristianesimo religione dello Stato.


Da Marx ed Engels, Scritti scelti, Editori Riuniti, 1966

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