24.7.15

Giovanni Berlinguer, un comunista laico (Maurizio Mori)

Quello che segue è l'ultimo articolo scritto da Maurizio per "micropolis", paradossalmente un necrologio, con un finale che è un presentimento. (S.L.L.)


Altri hanno scritto, con dovizia di riferimenti, su Giovanni Berlinguer in occasione della sua scomparsa, ricordandone il corretto e serio rigore di politico e di scienziato. A me, gratificato in vita della sua amicizia, spetta solo ricordarlo per come lo conoscevo e per i suoi rapporti con Perugia e l'Umbria, le istituzioni e l'Università. 
Ho conosciuto Giovanni Berlinguer a metà degli anni '50 del secolo scorso, leggendo un suo agile ma documentato libro, La medicina è malata, scritto a quattro mani con il suo amico e conterraneo Severino Delogu. L'ho seguito, sulle pagine di quotidiani e riviste, quando rivestì un ruolo centrale in quel “Convegno nazionale sulla sicurezza sociale”, promosso dalla Cgil nella primavera del 1959, che segnò la ripresa e la proposizione al pubblico dibattito e alle lotte delle forze sociali, politiche, culturali di un atto del Comitato esecutivo della Cgil, che già nel 1956 aveva lanciato la proposta dell'istituzione in Italia del Servizio sanitario nazionale, pubblico e universalistico. L'ho incontrato di persona, di lì a pochi anni, quando ci trovammo insieme a sostenere le prove per l'acquisizione della libera docenza in Igiene. 
Da lì un contino incontrarsi, per più di un decennio, qua e là per l'Italia (“viaggiatori di commercio della riforma sanitaria”, scherzavamo) in incontri, dibattiti, riunioni, convegni: un impegno politico-culturale, ma anche, per chi come noi lavorava all'università o per chi, a Perugia Gianni Barro, con l'università collaborava, un impegno di elaborazione e proposta scientifica. Una collaborazione e un lavoro comune, prolungati nel tempo, fino all'altro ieri. Anche con la partecipazione di Giovanni Berlinguer alle attività dell'Istituto di Igiene dell'Università di Perugia e del Centro sperimentale per l'educazione sanitaria diretti da Alessandro Seppilli e con l'ingresso di Giovanni nella Direzione della Fondazione Angelo Celli - promossa da Seppilli - per una cultura della salute.
Una collaborazione e un lavoro comune. Non sempre una consonanza politica (se non negli ultimi tempi, a fronte degli sfasci via via di Pds, Ds, Pd). Giovanni, quadro del Pci, parlamentare italiano e poi europeo, io trotzkista militante e poi aderente a “il manifesto”; Giovanni, anche se legato da amicizia con Maccacaro, lontano da e critico duro di Medicina democratica, io cofondatore e dirigente nazionale del Movimento per la difesa della salute; io impegnato nell'aiuto operante ai combattenti palestinesi, Giovanni severamente critico verso le forme di lotta dell'Olp. Ma nessun intralcio ai rapporti personali e di collaborazione.
Giovanni uomo libero, sempre. Lo ricordo al congresso in Lussemburgo, nei primi anni '70, dell'Associazione per lo studio delle condizioni di vita e la salute, di osservanza “socialismo reale”; l'ho sentito entrare in pesante polemica pubblica con la rappresentanza sovietica. Erano tempi in cui a Perugia dirigenti locali del Pci, mai visti in una sala da concerto, indossavano l'abito della festa e sedevano in prima fila ad applaudire il violino di Ojstrach.
Un comunista laico. Fino al punto di cooptarmi, pur conoscendo la mia militanza trotzkista, nel Gruppo di lavoro sulla sanità della Direzione del Pci (un trotzkista alle Botteghe Oscure!).
Triste è la ventura di chi, come chi scrive, un sopravvissuto, si è trovato a ricordare sulle pagine di questo giornale cari compagni e amici scomparsi, da Livio Maitan a Orfeo Carnevali, da Gaetano Speranza a Franco Mencaroni. Ora Giovanni Berlinguer.


“micropolis”, aprile 2015

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