15.7.15

Il gelido Gore Vidal (Gianni Riotta)

Un ritratto sostanzialmente malevolo, al limite della perfidia, caratteristico di Gianni Riotta, che – da quando ha scelto di stare con i grandi poteri – agli intellettuali d'opposizione, quale che sia la natura di questa opposizione, riserva una speciale acredine. L'articolo è tuttavia pieno di notizie interessanti e di curiosità utili a definire la figura di Gore Vidal. (S.L.L.)
Gore Vidal
Gore Vidal non era un grande romanziere, non lascia racconti struggenti. Da polemista sostenne tesi bislacche, che gli Usa sapessero degli attacchi subiti, Pearl Harbor 1941 e World Trade Center 2001, e li abbiano lasciati scattare per cinici calcoli. Come sceneggiatore non firma capolavori, fu lui a rimettere a posto il kolossal Ben Hur. Di sé diceva «Non sembro gelido, sono gelido. Sotto la mia scorza di ghiaccio c’è ghiaccio». Adorava la rissa dei saloon da Far West letterario, prese un cazzotto dallo scrittore Norman Mailer, e rialzandosi masticò «Anche stavolta Mailer non ha parole».
Trascinò in tribunale Truman Capote, definì «cripto-nazista» il conservatore Buckley. Perfino quando decise di scegliersi un successore, un delfino intellettuale come lui uomo di polemiche e idee e incoronò in una lettera privata il saggista inglese Hitchens, si vide rifiutato: l’ex socialista diventato liberal Hitchens trovava eccessive le idee di complotto perenne di Gore Vidal.
Eppure senza Gore Vidal sarebbe difficile immaginare il panorama culturale americano del dopoguerra, dal cinema ai libri alla tv ai giornali, ai pettegolezzi chic, alla Casa Bianca che frequentava ai tempi del presidente John Kennedy, 1960-1963, Vidal era presenza costante, una spezia di bizzarria e sagacia, di deliberata sbruffoneria e presunzione che divertiva, affascinava e ravvivava l’opinione pubblica Usa, specie nei sonnolenti anni dell’era Eisenhower, gli Anni 50. «Non c’è male al mondo che non potrebbe curarsi se la gente mi desse ascolto» ripeteva, sostenendosi il mento con le dita aristocratiche, per non lasciar trapelare i segni dell’età. A chi lo accusava di narcisismo ribatteva «Narciso è uno più bello di te». Si vantava di avere avuto mille amanti, tra donne e uomini, prima dei 25 anni, poi scelse quello che chiamava «the same sex sex», l’omosessualità. Ne parlò ne La statua di sale , romanzo del 1948, non erano tempi in cui in America l’amore gay fosse benvenuto nel canone letterario. Cheever nascondeva l’omosessualità nei Diari, Hemingway lasciò che Il Giardino dell’Eden, con temi di confusa identità sessuale, venisse pubblicato postumo. La reazione a Vidal è negativa, i giornali stroncano il libro, non per il valore letterario non eccelso – per conformismo.
Vidal sceglie l’esilio volontario, per quasi 40 anni vivrà in Italia, prima a Largo Argentina nel centro di Roma, poi a Ravello, sulla costiera campana, Villa La Rondinaia, terrazze a picco sul mare, che abbandona solo quando rimane invalido e con il suo partner di mezzo secolo, l’ex manager Howard Austen, ammalato. Sarà esilio dorato, sempre pronto a dire la sua nei dibattiti, a candidarsi alle elezioni del 1960 come deputato democratico, su incoraggiamento diretto dell’ex First Lady Eleanor Roosevelt.
Al primo incontro, specie con gli italiani, che adorava avendo tra gli amici migliori lo scrittore Italo Calvino e Furio Colombo, dichiarava subito che – pur sconfitto – ebbe più voti nel distretto del presidente Kennedy.
La fama di Vidal è dunque la fama dei 15 minuti di celebrità per tutti vaticinata dal pittore Andy Warhol, con il talento di allargarla alla vita intera, dal liceo alla scomparsa ieri, 86 anni. Un uomo del nostro tempo, battutista, dandy, duro, ironico. Dietro il gelo, «il segreto della convivenza tra me e Howard è che non siamo mai andati a letto insieme» ammoniva, e Mr Austen, piccolo e discreto, annuiva divertito, Vidal nascondeva «l’unico essere umano di cui mai mi sia innamorato», l’atleta star del liceo privato St Albans di Washington, Jimmie Trimble. Mentre Vidal si definisce «topo da biblioteca perfetto», Jimmie ha «l’occhio lungo del campione». L’amicizia diventa passione ed amore, finché la guerra non separa gli innamorati. Vidal va come sottufficiale su una nave nelle Isole Aleutine, a fronteggiare la possibile invasione giapponese dal Pacifico, Trimble sbarca con i marines nella feroce battaglia di Iwo Jima. Là cade, come un personaggio dei romanzi di Vidal, e spezza il cuore dello scrittore.
A lui sarà dedicato il volume di memorie Palinsesto, la sua assenza marchierà «il gelo» di Vidal, «uomo senza inconscio» secondo Calvino.
Gli anni sprecati alla tv in America, scrivendo programmi che gli danno pingui contratti ma nessuna soddisfazione, i volumoni di romanzi storici di scarso peso alla Lincoln nascondono nella brillantezza il vuoto di sentimenti profondi. È nella polemica che Vidal si ritrova, e quando arriva anche il successo, nel 1968 con la novella sulla transessuale Myra Breckinridge che vende 3 milioni di copie, di nuovo il peso artistico non conta.
Nel 1948 lo scandalo lo esilia, nel 1968 lo elegge alla gloria da rotocalco: Gore Vidal resta però «scrittore alternativo» dell’America chic, che con Updike, Roth, Talese ormai non si vergogna più a parlare di sesso nel tinello di casa o alla tv. A Hitchens Vidal consiglia «sesso e comparsate tv: non dire mai di no!».
Gore Vidal scrive instancabile il romanzo di se stesso, innumerevoli interviste, dettate recitando il ruolo dell’aristocratico americano, si parte dal nonno materno, senatore Gore, cui lui cieco legge da bambino i romanzi e da cui eredita i sentimenti isolazionisti da America First!, che impiega adulto contro la politica estera Usa, Israele, Cina e Giappone, sempre scoprendo complotti. Ricorderà il secondo marito della madre – detestata come alcolista e salottiera - Hugh Auchincloss, patrigno di Jacqueline Kennedy che gli apre la Washington dei Kennedy. Se la prende con gli intellettuali filo-israeliani «Per loro la Guerra Civile americana conta? No: per me moltissimo». Si scontra con Mailer, che gli allunga un cazzotto dietro le quinte della tv («un pugnetto da niente»), vince la causa contro Capote che spettegola «l’han buttato fuori dalla Casa Bianca», e litiga con il repubblicano Buckley. L’uomo che condannava nei pamphlets le imprese militari Usa era nato a West Point, il papà istruttore all’Accademia Militare: a chi gli chiedeva se amasse l’America diceva «Certo, ne sono il biografo». Il compagno Howard, morente gli chiede «È passato tutto in fretta no?», Vidal risponde «Sì, perché siamo stati felici, e gli Dei non perdonano la felicità a noi umani». Infatti.

La Stampa, 2 agosto 2012

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