Fragonard, Giovane donna che riposa |
Dio onnipotente, di
quali ineffabili delizie
hai circondato la
riproduzione umana...
(Restif de la Bretonne)
«Chi non ha vissuto
prima del 1789 non conosce la dolcezza della vita» diceva
Talleyrand. Di questa dolcezza facevano parte la buona tavola, le
passeggiate nei boschi, le feste nelle ville, i casini di caccia, le
belle arti e, naturalmente, l’amore.
L’amore, l’Eros, domina il ’700 come mai prima alcuna altra epoca. «Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori» cantava l’Ariosto in una visione che poneva amore e imprese guerresche sullo stesso piano, in un’alternanza di interessi ugualmente dominanti. «La più nobile delle passioni, l’unica veramente interessante, l’amore» scriveva Restif de la Bretonne, tipografo, scrittore libertino tra i più letti del suo tempo. Per la prima volta l'amore appare spogliato di tutti i contorni di cui abitualmente si rivestiva nelle altre epoche, viene vissuto e rappresentato nella sua dimensione puramente psicologica e sensuale. Diviene principale argomento di romanzi, lettere e conversazioni. Riempie le tele e gli spartiti. Diviene moda e ragion di vita. Non a caso. Insieme alla teoria della libera concorrenza che la borghesia nascente si prepara a fondare, alla filosofia dell’amor proprio che sempre la stessa borghesia elabora per l’uomo nuovo, la dottrina del piacere si impone come scoperta della sensibilità, del sentimento e della sensualità. Il piacere diventa talmente importante da costituire il criterio del giusto e dell’ingiusto.
L’amore, l’Eros, domina il ’700 come mai prima alcuna altra epoca. «Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori» cantava l’Ariosto in una visione che poneva amore e imprese guerresche sullo stesso piano, in un’alternanza di interessi ugualmente dominanti. «La più nobile delle passioni, l’unica veramente interessante, l’amore» scriveva Restif de la Bretonne, tipografo, scrittore libertino tra i più letti del suo tempo. Per la prima volta l'amore appare spogliato di tutti i contorni di cui abitualmente si rivestiva nelle altre epoche, viene vissuto e rappresentato nella sua dimensione puramente psicologica e sensuale. Diviene principale argomento di romanzi, lettere e conversazioni. Riempie le tele e gli spartiti. Diviene moda e ragion di vita. Non a caso. Insieme alla teoria della libera concorrenza che la borghesia nascente si prepara a fondare, alla filosofia dell’amor proprio che sempre la stessa borghesia elabora per l’uomo nuovo, la dottrina del piacere si impone come scoperta della sensibilità, del sentimento e della sensualità. Il piacere diventa talmente importante da costituire il criterio del giusto e dell’ingiusto.
Del resto, Cartesio non
aveva forse steso un accurato catalogo delle passioni umane in cui
gli uomini della sua epoca trovavano una precisa nomenclatura delle
emozioni? E Locke non faceva derivare le idee dalle sensazioni? Il
corollario della filosofia lockiana era che per variare e coniugare le idee era
necessario variare le sensazioni. Ecco perché il piacere diventava,
oltre che lecito, necessario. E, dato che il ’700 è anche l’epoca
della psicologia applicata al romanzo, l’amore viene analizzato per
quelli che sono i suoi effetti sull’animo umano.
Scomparsi gli eroi dei drammi raciniani, i conflitti tra amore e dovere di Corneille, il racconto delle gesta eroiche e delle virtù, nella letteratura compaiono personaggi più modesti e più umani, per i quali l’amore non è necessariamente furore eroico, ma affezione talvolta perfino patologica, passatempo raffinato, o addirittura tranquillo sentimento borghese. Di questa riduzione dell'amore a dimensioni più umane e realistiche sono responsabili soprattutto gli scrittori libertini e Crébillon fils (Claude-Prosper-Jolyot de Crébillon, figlio dell’autore tragico Prosper Jolyot) in primo luogo. «Ma l’amore, scrive Crébillon, è forse qualcosa d’altro che un certo desiderio che ci si compiace a esagerare, un moto sensuale che la mentalità sociale ama raffigurarsi come una virtù? Oggi sappiamo che esiste solo l'inclinazione dei sensi; e se ci si dice ancora di amarsi, non è tanto perché lo si creda, quanto perché è una maniera più educata di chiedersi l'un l’altro quella tal cosa di cui si sente di aver bisogno. E come ci si è presi senza amarsi, ci si separa senza odiarsi; e si ricava almeno, da quel facile desiderio che ci si è mutualmente ispirati, il vantaggio di essere sempre pronti a farsi piacere di nuovo». Questa pagina, contenuta nel romanzo La nuit et le moment, è stata definita come la «professione di fede dei libertini». Ma non si deve pensare che questa visione un po’ cinica e disillusa dei rapporti uomo-donna (rapporti,quelli descritti da Crébillon, situabili soprattutto nei salotti dei nobili e dell'alta borghesia) sia soltanto un dongiovannismo sfrenato, specie se come esempio di scrittore libertino prendiamo Crébillon.
Scomparsi gli eroi dei drammi raciniani, i conflitti tra amore e dovere di Corneille, il racconto delle gesta eroiche e delle virtù, nella letteratura compaiono personaggi più modesti e più umani, per i quali l’amore non è necessariamente furore eroico, ma affezione talvolta perfino patologica, passatempo raffinato, o addirittura tranquillo sentimento borghese. Di questa riduzione dell'amore a dimensioni più umane e realistiche sono responsabili soprattutto gli scrittori libertini e Crébillon fils (Claude-Prosper-Jolyot de Crébillon, figlio dell’autore tragico Prosper Jolyot) in primo luogo. «Ma l’amore, scrive Crébillon, è forse qualcosa d’altro che un certo desiderio che ci si compiace a esagerare, un moto sensuale che la mentalità sociale ama raffigurarsi come una virtù? Oggi sappiamo che esiste solo l'inclinazione dei sensi; e se ci si dice ancora di amarsi, non è tanto perché lo si creda, quanto perché è una maniera più educata di chiedersi l'un l’altro quella tal cosa di cui si sente di aver bisogno. E come ci si è presi senza amarsi, ci si separa senza odiarsi; e si ricava almeno, da quel facile desiderio che ci si è mutualmente ispirati, il vantaggio di essere sempre pronti a farsi piacere di nuovo». Questa pagina, contenuta nel romanzo La nuit et le moment, è stata definita come la «professione di fede dei libertini». Ma non si deve pensare che questa visione un po’ cinica e disillusa dei rapporti uomo-donna (rapporti,quelli descritti da Crébillon, situabili soprattutto nei salotti dei nobili e dell'alta borghesia) sia soltanto un dongiovannismo sfrenato, specie se come esempio di scrittore libertino prendiamo Crébillon.
Il libertinismo era una
corrente filosofica razionalista e libertaria che aveva le radici in
movimenti prima religiosi e poi atei che Calvino per primo aveva
bollato col termine di «libertin». Temi di questa corrente
filosofica erano la rivendicazione dell’uso della ragione in
materia di fede, l’attenzione alle esigenze della fisicità e del
proprio corpo, l’autonomia della riflessione filosofica. Era
Calvino a vedere l’oscenità in quest’atteggiamento libertario,
non i libertini a predicare l’oscenità. L’oscenità loro stava
soprattutto nella minaccia che rappresentavano per l’ordine
costituito. Ai tempi di Crébillon questa minaccia non è più
vissuta così tragicamente come ai tempi di Calvino, perché il
liberalismo ateo ha già fatto piazza pulita di tanti miti
intoccabili, tuttavia Crébillon viene imprigionato a Vincennes dopo
la pubblicazione dell’Ecumoir ed esiliato dopo la
pubblicazione del Sopha. La breve durata delle pene (pochi
giorni la prigionia e pochi mesi l’esilio) ci fanno capire che più
che un pericoloso iconoclasta, Crébillon è considerato una specie
di enfant terrible della letteratura. La sua azione di
scrittore galante non è sovversiva. Almeno, non direttamente.
Tuttavia, come i primi libertini condannati dal terribile Calvino,
anche gli scrittori del tipo Crébillon coniugano l’esperienza
della libertà con l’esperienza del piacere, inscrivendo
quest’ultima in un’esigenza di comprensione del mondo.
L’etica diventa studio
dei costumi, dei costumi come sono e non come dovrebbero essere. E
come i pittori non rappresentano più solo scene di guerra o
personaggi famosi ma si soffermano sulle scene della vita quotidiana,
gli scrittori descrivono quello che avviene nel salotto del signor X
o del nobile Y, nella stalla del contadino o nella casa di campagna
del conte. Restif de la Bretonne, in questa cronaca dei costumi della
provincia francese e della banlieau parigina davvero
impareggiabile, è precisissimo nella rappresentazione delle
seduzioni e dell’ars amandi del suo tempo. Più libertino,
nel senso più comune del termine, di tutti i libertini, Restif
esprime la perfetta incarnazione del lato iterativo e ossessivo,
nella molteplicità delle conquiste, del Don Giovanni classico. Anche
del suo libro autobiografico, Monsieur Nicolas, si potrebbe
dire, con Leporello, «questo non picciol libro è tutto pieno de’
nomi di sue belle».
Ma mentre Restif pone
soprattutto se stesso come punto di vista privilegiato
d’osservazione, Crébillon trova per uno dei suoi romanzi un luogo
indicatissimo per fungere da osservatorio astronomico del firmamento
d’amore: il sofà. Un principe di nome Scià-Baham, sultano delle
Indie, nipote di quel sultano a cui piacevano tanto i racconti della
leggiadra Scheherazade, e da cui ha ereditato la mania per le favole,
ordina a un suo dignitario, Amanzei, di raccontargli tutte le favole
che conosce. Amanzei è seguace di Brama e crede quindi nella
metempsicosi. Il sultano è fortunato: una delle ultime incarnazioni
del suo cortigiano è stato un sofà, da cui Amanzei ha assistito
alle più svariate vicende erotiche che si accinge a raccontargli.
(Come si vede, la trovata è geniale, anche se, per la precisione, è
giusto ricordare con Apollinaire che il Sopha prende a
prestito questa meravigliosa invenzione dal meno noto Canapé
couleur de feu, racconto galante di Fourgeret de Montbron).
Un artificio analogo,
tratto da un vecchio fabliau, è quello presente nei Bijoux
indiscrets di Diderot. Un anello magico consente al sultano del
Congo (leggi Parigi), Mangogul, di far parlare il sesso delle donne.
Non fa meraviglia, dice uno dei personaggi del romanzo, che con la
libertà che c’è oggi di parlare di tutto, si mettano a parlare
anche i «gioielli» delle donne, che di cose da dire sicuramente ne
hanno molte. Anzi, forse hanno sempre parlato, solo che oggi hanno
trovato il coraggio di alzare la voce. Come dire che ormai si può
parlare di tutto, compreso quello che per convenzione si tace. Questa
libertà di parlare e di godere ha indubbiamente a che fare con il
restringersi dello spazio e la scoperta della relatività del punto
di vista conseguenti alle scoperte di Galilei e al progredire delle
scienze naturali. Non siamo più il centro dell’universo, tuttavia
questo nostro mondo è abbastanza grande e vario per non stancarsi a
osservarlo e nello stesso tempo abbastanza piccolo per
impadronircene.
In un mondo in cui il
godimento è diventato possibile si dà spazio a tutto ciò che
valorizza la persona. Le abitazioni si riducono di proporzioni, ma in
compenso diventano più confortevoli e si riempiono di oggetti
graziosi e minuti. Al fasto del barocco si sostituisce la grazia
leggiadra del rococò. Ai bruni, ai rossi, agli ori si sostituiscono
colori più delicati, sfumature più eteree. La donna ideale non è
più la matrona formosa dei secoli precedenti, ma la fanciulla
raffinata e seducente del quadri di Watteau e di Fragonard. Si fanno
ritratti non solo di persone illustri, ma anche di persone qualunque,
di contadine, di commedianti, di chi passa per strada. L’attenzione
si ferma sui particolari, sul cesto di frutta, sulla lettera che la
fanciulla sta leggendo, sull’altalena, sul cappello della donna
vista di spalle.
Anche in questa
attenzione ai particolari c’è spesso una tensione erotica,
esplicita in Restif quando descrive con indubbio feticismo i piedini
intravisti sotto le gonne, le scarpe deliziose dello stesso colore
del vestito, «di droghetto bianco o a fiori d’argento, oppure
verdi col tacco rosa». «I miei occhi ardenti erano fissi sulla sua
gamba slanciata, sulle scarpine bianche il cui tacco alto e sottile
rendeva ancor più delicato il piede ». E’ il rapimento di cui
parla Barthes a proposito del corpo « in situazione». «Quando
Werther “scopre” Carlotta, lei sta tagliando delle fette di pane.
Hanold, dal canto suo, si innamora di una donna che sta camminando...
Ciò che mi eccita è una sagoma intenta al lavoro, “che non bada a
me”... più l’altro mi mostra i segni della sua occupazione,
della sua indifferenza, più io sono sicuro di sorprenderlo, come se,
per innamorarmi, avessi bisogno di adempiere all’ancestrale
formalità del ratto». La necessità di «sentire», per l’uomo
che sta ritrovando se stesso e si dispone a impadronirsi della
natura, si mostra quasi invariabilmente collegata alla paura della
noia. Lo afferma Rousseau, che nelle Confessioni dichiara la
noia il peggior male; lo dichiara l’abate Du-Bos nel primo capitolo
delle Riflessioni critiche sulla poesia e la pittura:
«L’anima, come il corpo, ha le sue necessità; tra queste la più
importante per l’uomo consiste nell’avere lo spirito occupato»;
lo dice Nasses, un personaggio del Sopha di Crébillon: «Ci
sono ben poche di queste avventure (galanti) in cui ci si serve del
sentimento. Nascono quasi tutte per l’occasione, l’abitudine, la
noia». Anche la teoria platonica dell’amore nasceva, secondo
Barthes, dalla noia. «Sulla strada che porta a Falero, un uomo si
sta annoiando; egli ne scorge un altro che cammina davanti a lui, lo
raggiunge e gli domanda di raccontargli i discorsi scambiati al
convivio dato da Agatone. Così nasce la teoria dell’amore: da un
caso, da una noia, da una voglia di parlare...». Segno che il
piacere, la voluttà, il godimento sono più aspirazioni che dati di
fatto. Così come la natura arcadica che fa da sfondo alla pittura di
Watteau non è il segno di una positiva comunanza tra uomo e natura
ma l’esatto contrario. Gli antichi non avevano bisogno
dell’arcadia, non almeno di quella idealizzata dall’uomo moderno
che non vive più a contatto della natura. Allo stesso modo la
rappresentazione del piacere nasconde la paura del vuoto,
dell’irripetibile, della mancanza. Anche in scrittori che esprimono
una concezione serena della vita e della sensualità come Restif è
presente questa paura, questa solitudine, questo rimpianto
dell’attimo che fugge. Non c’è bisogno di arrivare a Sade, per
questo.
Quella stessa filosofia
dell’amor proprio che apre le porte all’affermazione
dell’individuo e alla sua creatività personale suggerisce, in base
ai principi dell’economia classica, la teoria del massimo del
piacere ottenuto col minimo sforzo, il che vuol dire, sul piano del
rapporto amoroso, entrare in concorrenza col proprio partner. Negli
Egarements du coeur et de l’esprit, romanzo incompiuto di
Crébillon, l'uomo di mondo Versac spiega al giovane inesperto
Meilcour la sua filosofia della vita: primo: è indispensabile
imparare usi, inclinazioni ed errori del secolo. Secondo: è
impossibile conservarsi virtuosi e « naturali » in un’epoca di
moda e d’affettazione. Terzo: siccome l'epoca è «ridicola», per
riuscire basta imparare quale « ridicolo » si addice al nostro
stato e assumerlo come abito permanente. Occorre mascherare il
proprio vero carattere, ritenere cosa estremamente necessaria
occuparsi soprattutto di farsi valere, nascondere i propri intrighi
amorosi a ciascuna delle donne con cui si è legati, ma renderli
manifesti a tutti gli altri ecc. ecc. Nelle Liaisons dangereuses
di Laclos è ancora più evidente che l’amore è giocato in
funzione della «proprietà» dell’uno sull’altro.
Non c'è da stupirsi se
come risultato di tutto questo la coppia si spezza ancor prima che la
famiglia borghese si affermi come nucleo fondamentale della società.
Ai tempi di Crébillon, di Restif, di Laclos, forse gli unici che si
accoppiavano e si sposavano con un certo grado di reciproco
appagamento erano gli abitanti delle campagne in cui esistevano
ancora certi residui di paganesimo ancestrale che consentivano il
libero accoppiamento anche prima del matrimonio. Lo stato non si
occupava ancora di vegliare, insieme alla chiesa, sulla sessualità.
Ma è proprio a partire dal XVIII secolo che ha inizio quella santa
alleanza che vede stato e chiesa impegnati in un’opera di
repressione i cui effetti si fanno sentire ancora oggi. La futura
mano d’opera dello stato moderno andava salvaguardata dagli effetti
disgreganti della passione d’amore.
Dal mensile “La
lettura”, Anno 47, nuova serie, aprile 1980
Grazie per aver descritto un mondo così meravigliosamente leggiadro!
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