21.8.15

Aneurin Bevan. Morte di un rivoluzionario (Riccardo Lombardi)

Aneurin Bevan (1898 - 1960)
Aneurin Bevan, minatore gallese e attivo sindacalista, entrò alla Camera dei Comuni trentunenne, nel 1929. Al tempo nel Labour Party vigeva il principio che nella rappresentanza parlamentare doveva esserci una forte percentuale di operai; ma Bevan si rivelò subito un quadro politico di valore assoluto e divenne presto il leader della sinistra laburista. Dal 1945 e fino al 1951 fu ministro della Sanità e della Ricostruzione nel governo laburista di Attlee, quello che organizzò le basi del moderno Stato sociale. Bevan non condivideva gli eccessi di prudenza e l'atlantismo di Attlee e pensava di orientare la politica estera inglese in senso pacifista e neutralista. Già negli anni in cui governò Bevan fu sottoposto a dure critiche, non solo da parte dei conservatori, ma anche dai moderati del Labour. Morì nel 1960. Quello che segue è il ricordo che ne fece su “Mondo Operaio”, in occasione della sua morte, Riccardo Lombardi. (S.L.L.)
Riccardo Lombardi
Ebbi il primo incontro con Aneurin Bevan nel 1954 insieme ai compagni Santi e Gentili a Roma. Si era nel pieno della campagna di demolizione scatenata contro di lui entro e fuori il partito laburista britannico. Mi avvenne d’interrogarlo sui motivi dell’accanimento quasi isterico di un giornale, peraltro così autorevole, quale “The Economist”: aveva forse l’editore di quel giornale ragioni personali di rancore? Mi rispose scrollando le spalle: «Nulla di personale: si tratta semplicemente del fatto che essi sono dei capitalisti». Niente più di tale esclamazione, neppure il famoso discorso elettorale del ’48 (quello, per intenderci, sui « vermi » conservatori) suona rivelatore della mentalità di Bevan, della totale identificazione, che fu nel suo temperamento prima ancora che nel suo pensiero, del socialismo con la condizione operaia: egli rigettava la società capitalista, come ha notato K. S. Karol, sotto tutte le sue forme, fossero quelle miserabile e semi-schiaviste conosciute nella sua infanzia di minatore gallese, fossero quelle prospere dell’Inghilterra odierna.
Lo vidi per l’ultima volta l’anno scorso nella sua fattoria vicino a Londra. Si parlò di due problemi congiunti: l’arretramento delle posizioni classiste in alcune grandi fabbriche italiane in sede di elezioni di commissione interna e il fascino che su alcuni strati operai britannici esercitavano le nuove condizioni di benessere «conservatore». Le elezioni britanniche avrebbero avuto luogo di lì a qualche mese ma egli sembrò anticipare il giudizio che più tardi avrebbe dato a sconfitta avvenuta: «La classe operaia come consumatrice potrebbe essere indotta a combattere se stessa come produttrice; il singolo militante sindacale potrebbe essere indotto a pronunziarsi nelle elezioni contro le conseguenze dell’azione rivendicativa che egli stesso conduce in seno al suo sindacato». Barbara Castle ha chiarito successivamente l’esatto senso della preoccupazione espressa da Bevan, riferendone le osservazioni che egli le fece sui motivi della diserzione operaia dal partito laburista nelle elezioni: il sentimento di precarietà di una situazione di relativo benessere per la prima volta goduto aveva reso i lavoratori ostili a ogni cambiamento suscettibile di comprometterla.
Cosi Bevan, che pure era stato uno dei maggiori artefici dello «stato di benessere», che aveva dovuto pressoché costringere un partito riluttante con la minaccia di dimissioni ad assegnarselo come programma nelle elezioni del ’48, che non aveva esitato ad abbandonare il suo posto di ministro allorché nel ’51 si accennò a comprometterne le sorti, finiva, paradossalmente, per attribuire a questa sua creatura la responsabilità della successiva sconfitta.
Nulla quanto la spiegazione di tale paradosso vale a stabilire la differenza che passa fra un riformista e un rivoluzionario quale egli fu.
Per Bevan lo «stato di benessere» non coincideva per nulla con la società socialista; inoltre la società capitalistica non solo era per lui radicalmente negata a consentire lo sviluppo economico, culturale, etico dello stato di benessere, ma perfino incapace di garantirne la permanenza. Una tappa dunque, ma solo una tappa, attardarsi sulla quale significa la più vile e gratuita delle abdicazioni. Quello che Bevan non cessò di rimproverare al suo partito fu perciò il rifiuto a procedere innanzi, con che una grande conquista proletaria, privata dei naturali sviluppi conseguibili solo a prezzo di una lotta decisa, si riduceva inevitabilmente nelle mani della borghesia, a uno strumento di potere e anche di corruzione.
Ecco perché nel 1951 Bevan si dimise da ministro responsabile dell’attuazione del «welfare state», cioè dal ministero della sanità: non già, come si cercò di far credere allo scopo di minimizzare il gesto, per una irrilevante questione di pochi scellini richiesti per le cure dentarie; ma perché la politica di riarmo intensivo accettata dal governo laburista su suggestione del ministro degli esteri E. Bevin, rendeva materialmente impossibile consolidare il «welfare state» e assicurarne gli sviluppi e le conseguenze implicite. Giustamente perciò è stato osservato che la vera causa delle due successive sconfitte elettorali laburiste risiede nelle scelta fatta nel 1951.
Garantire i lavoratori contro il tentativo di integrarli nell'ordinamento capitalistico corrompendoli con i cascami di benessere e cancellandone la coscienza di classe; puntare sulla coscienza di classe per dare una soluzione democratica al vero problema delle società moderne che consiste nel come consentire un certo grado di autolimitazione rivendicativa per dare ad un governo capace di ottenere la fiducia dei lavoratori i poteri necessari per gli investimenti produttivi dai quali dipende e lo sviluppo futuro e la permanenza del benessere presente; approfondire le riforme sociali attuali ed estenderle facendo assegnamento principalmente sulla nazionalizzazione delle industrie chiave, in maniera da dare ai lavoratori una prospettiva e uno scopo capaci di giustificare l’appello a richiamare o mantenere al potere un governo socialista, poiché se ci si dovesse assidere sulle conquiste fatte, tanto varrebbe affidarne la gestione a un governo borghese che almeno offre il vantaggio di preservarle dai rischi di una politica audace; dare ai lavoratori una visione mondiale dei problemi politici ed economici, dei legami che la lotta per la pace, per la liberazione dei popoli oppressi ha con gli interessi vitali e permanenti di ciascuna classe operaia nazionale (Bevan fu uno dei primissimi a impostare il problema dei paesi sotto-sviluppati); contestare risolutamente e senza debolezze nei paesi sviluppati ogni suggestione autoritaria non solo se negatrice ma anche se soltanto tiepida nei confronti della libertà individuale. Tali sono gli aspetti più significativi della visione politica ed etica di Bevan ricavati dalla sua milizia più che dagli scritti e discorsi e che contengono implicitamente una risposta organica a tutte le questioni decisive per un socialista, sul neocapitalismo, sull’internazionalismo, sulla democrazia, sul rapporto sindacale del partito. Visione e milizia che, congiunte, testimoniano di un grande democratico, un grande rivoluzionario, la cui scomparsa, come da molti è stato detto, ci impoverisce tutti.
Ci impoverisce soprattutto nel momento in cui le tendenze all’abbandono delle posizioni socialiste accentuatesi in alcuni grandi partiti operai, nella socialdemocrazia tedesca principalmente e nello stesso Labour Party, avrebbero più bisogno di essere contrastate sotto la guida di un combattente risoluto ed intrepido, di statura mondiale quale Bevan fu.
I socialisti italiani sono colpiti più di tutti: egli ci fu compagno, amico, consigliere. Sarà difficile dimenticare l’uomo; dimenticarne l’insegnamento e l’esempio, impossibile.

Mondo Operaio, luglio-agosto 1960

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