21.8.15

La scelta di vita di Pietro Secchia (Marco Albeltaro)

Ho letto oggi il primo capitolo della biografia di Pietro Secchia scritta da Marco Albeltaro e pubblicata l'anno scorso da Laterza. L'ho trovato assai bello e sono convinto che il resto del libro non mi deluderà. 
Intanto “posto” a memoria mia e di altri il primo paragrafo del libro che ha come titolo originario La scintilla, titolo che non si riferisce solo ai contenuti del racconto biografico, ma allude a un giornale di battaglia fondato da Lenin. Io ho scelto un altro titolo, anch'esso allusivo. Il riferimento è al romanzo auto-biografico di Giorgio Amendola La scelta di vita. Amendola, che di Secchia fu compagno di partito ma anche avversario e gli succedette nel ruolo di responsabile d'organizzazione nel PCI, raccontò in esso le vicende storiche e le tensioni interiori che spinsero lui borghese, figlio di Giovanni Amendola, il politico liberale che guidava l'Aventino antifascista, a scegliere il partito comunista e il ruolo di rivoluzionario di professione. Albeltaro racconta qui, in modo essenziale e convincente, la scelta socialista di Secchia e non nuoce all'efficacia la brevità. (S.L.L.)

Pietro Secchia nasce il 19 dicembre 1903 a Occhieppo Superiore, un paesino vicino a Biella. La sua è una famiglia che vive del proprio lavoro: la madre, Maria Negro, è un’operaia tessile e il padre, Giovanni Battista (ma che tutti chiamavano Giobatta), è un contadino. La vita dei genitori è dura, e Secchia, in quel suo «promemoria auto-biografico» scritto con un occhio alla posterità e uno alla costruzione della propria mitologia, la descrive con toni forti. Ma è una famiglia allegra, tenuta in piedi con tenacia, in un clima domestico attraversato dai tratti caratteristici del piemontesismo tardo-ottocentesco e primo-novecentesco: la lettura della «Stampa» «due volte alla settimana», la stima per Giolitti e poi il lavoro, tanto lavoro in quel Biellese un po’ calvinista.
Sarà la guerra a rimescolare le carte della vita del giovane Secchia. Le rimescolerà sul piano privato, ma non solo. Secchia, infatti, vive la Prima guerra mondiale in una famiglia che la subisce come una iattura, come una mannaia, e in un territorio, il Biellese, che può vantare uno dei movimenti antimilitaristi più radicali d’Italia.
Pietro era andato a scuola, aveva frequentato le elementari e poi era stato mandato dai genitori al ginnasio dai preti, evidentemente all’interno di un progetto di promozione sociale. Ma la partenza del padre per il fronte l’aveva costretto a lasciare la scuola e a trovarsi un lavoro, come impiegato, in una fabbrica di cinghie di cuoio. È durante l’assenza del padre - al fronte convinto di partecipare a una guerra-lampo: «è questione di tre mesi», aveva assicurato - che la vita domestica di Pietro viene sconvolta. Al ritorno di Giobatta, di quella famiglia allegra in cui si chiamavano i polli coi nomi dei politici - «domani facciamo la festa a Sonnino», annunciava ironico Giobatta - non c’è più traccia.
La madre era morta nel 1918, «uccisa dal male, dal dolore e dalla fatica», Pietro non abitava più in casa perché era stato mandato da una «vecchia buona e colta signora» presso cui la zia prestava servizio e si era così salvato dall’estrema povertà in cui vivevano sua madre e suo fratello Matteo, costretti perfino a sostituire il petrolio per la lampada con un composto a base di urina, e i terreni che prima venivano coltivati erano stati abbandonati.
La guerra che Secchia vive invece fuori casa è in un Biellese che registra da un lato gli scandalosi arricchimenti degli industriali, grazie alle commesse belliche, e dall’altro un movimento operaio forte e antimilitarista, animato, in particolare, dalle donne e dai giovani.
C’è un altro elemento che si inserisce nella formazione di Pietro e su cui poi, nelle ricostruzioni autobiografiche, calcherà molto la mano: la fabbrica, dove entra a tredici anni come impiegato. Pietro è un ragazzino intelligente, brillante, che a casa legge anche testi impegnativi (Rousseau, Vico, Beccaria, ma anche l'allora di moda Oriani) e che si trova catapultato in un mondo che descriverà con toni efficaci, soprattutto nelle sue note autobiografiche. C’è il suo ambiente di lavoro, quello impiegatizio, che non gli piace, che non sopporta e in cui vede la meschinità piccolo-borghese, il pettegolezzo, e poi ci sono gli operai, che divengono nel suo racconto delle figure mitiche. Non possiamo sapere se la ripulsa per gli impiegati e la fascinazione verso gli operai siano state davvero così dirompenti come Secchia ci ha tramandato nelle sue memorie, ciò non toglie che gli operai li frequentò davvero e che questa frequentazione ebbe un peso importante nella costruzione della sua identità. Questo legame, dapprima allacciato per curiosità e istinto, col tempo diverrà saldo grazie a consonanze politiche e a una vera e propria empatia che nasce dalle vicende che vedranno Secchia sperimentare il conflitto.
E proprio fra il ritorno del padre dal fronte e il 1919 che in Pietro succede qualcosa. È ancora patriota, mentre Giobatta il patriottismo l’aveva lasciato in trincea, ma inizia a sfogliare l'«Avanti!», probabilmente su suggerimento dei suoi amici operai. E, proprio nel ’19, decide di prendere posizione: si iscrive al sindacato, con un gesto di tenacia perché è l’unico impiegato della sua fabbrica a farlo, e a nulla erano valsi i tentativi di dissuaderlo da parte della famiglia e degli altri impiegati. È questo il momento in cui, per usare le sue stesse parole, Secchia rompe il ghiaccio con la politica.
Socialismo e patriottismo sono a quell’epoca i punti cardinali che lo orientano politicamente. Capirà però la loro reciproca incompatibilità quando, alla sua prima manifestazione socialista, il 1° maggio 1919, verrà strattonato perché all’occhiello portava un nastrino tricolore; e lo capirà ancora meglio durante le discussioni con alcuni militanti amici del padre, che gli ripetevano «che la patria c’è solo per i signori», e con i suoi amici operai.
Non è facile abbandonare l’amor di patria, anche perché Pietro, a quella tanto osannata patria, ha sacrificato la sua famiglia. Ed è proprio la guerra l’argomento che i socialisti impiegano per convincerlo: «Finalmente dopo un’ultima discussione durata quasi un’intera notte, tema cruciale: la guerra, sono convinto». È la scintilla, scoppiata a partire da un tema nel quale non vi è soltanto la partecipazione politica ma anche personale e sentimentale. Guerra e fabbrica sono dunque il viatico di Secchia verso il socialismo.

Da quel giorno la sua vita cambia. E la politica è il terreno in cui raggiungerà la maturità.

Marco Albeltaro, Le rivoluzioni non cadono dal cielo. Pietro Secchia, una vita di Parte, Laterza, 2014


Nessun commento:

Posta un commento