19.8.15

Assimilazione. I biglietti falsi di Zygmunt Baumann (Giulio Busi)

Allungate la mano, lo mostrate all’inserviente, che ve lo restituisce, con un sorriso misto d’imbarazzo e rimprovero. No, non potete entrare, il biglietto non è valido, mi dispiace. Eppure il giorno è quello giusto, e il nome dello spettacolo è scritto chiaro e tondo. Meglio non insistere. Compratene un altro, se c’è ancora posto; oppure tornatevene a casa, che non è poi la fine del mondo.
Di simili biglietti falsi è piena la storia europea. Promesse di assimilazione non mantenute, odi e discriminazioni invece di accettazione. Henrich Heine, il grande poeta romantico di orgine ebraica, definiva così il propria attestato di battesimo: un biglietto d’ingresso per la società europea. E, alla fine della sua vita, confessava di averlo pagato troppocaro, e di non averlo neppure potuto usare davvero. Porte chiuse nel gran teatro sociale d’Europa. Così si potrebbe riassumere, con un’immagine, l’ascesa e il naufragio dell’assimilazione ebraica nel Vecchio continente tra Otto e Novecento, una pièce infelice, trasformatasi poi in tragedia e culminata nella Shoah. Giuntina propone, per la prima volta in italiano, uno studio di Zygmunt Bauman (Visti di uscita e biglietti di entrata. Paradossi dell’assimilazione ebraica, traduzione di Rosanella Volponi, postfazione di David Bidussa, Giuntina, Firenze), sui paradossi di questo processo assimilatorio, cominciato mille volte e mai portato a termine.
Il saggio originale è del 1988, e Bauman non vi usa il lessico che lo avrebbe reso celebre negli anni successivi. Non leggiamo, insomma, né di società liquida né di globalizzazione. Piuttosto, si respira nel saggio un’atmosfera novecentesca, fatta di speranze ancora vitali e - verrebbe da dire - d’illusioni non sopite. Benché critico e lucido verso gli errori del passato, Bauman stesso ha attraversato la temperie assimilazionistica e ne è stato influenzato. Né questo è necessariamente un limite, giacché si ha la sensazione che, al di là dell’oggettività dello studioso, l’uomo partecipi profondamente al dramma storico che analizza. In tutto lo scritto, Bauman rimane fedele al titolo. Resta, per così dire, sulla porta, laddove si controlla chi entra e chi esce. La tesi, che dipende dall’antropologia sociale di Fredrik Barth, è quella che siano i confini, più che i contenuti culturali, a perpetuare le esclusioni. Conversioni al cristianesimo e identificazione con i vari nazionalismi, uno sforzo immane per rendersi eguali, "invisibili", bene accetti. Tutto inutile, il biglietto è scaduto oppure falso. Tu, voi, qui non entrate. E oggi, quando tutto sembra di nuovo normale, siamo proprio sicuri che l’ingresso sia permesso a tutti? Il controllore ha, finalmente, imparato la lezione?


“Il sole 24 ore – Domenica”, 18 gennaio 2015

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