24.8.15

Codici e rose. L'erbario di Piero Calamandrei (Andrea Di Salvo)

Niente affatto eccentrico rispetto alla personalità poliedrica e alla vicenda umana e intellettuale del futuro insigne studioso di diritto e padre costituente Piero Calamandrei, l’erbario di oltre 220 piante che questi appronta negli anni giovanili del ginnasio testimonia l’innesco di quell’inesausto dialogo che caratterizzerà tanta parte del suo sentire. Dialogo con il mondo vegetale che in molte, disparate occasioni si rifletterà nei suoi scritti in suggestioni e metafore naturalistiche, interlocuzione che muove sempre in relazione stretta con la fisionomia amica di luoghi dove, «specialmente in Toscana, ogni borgo, ogni svolto di strada, ogni collina ha un volto, come quello di una persona viva», dialogo che perdura mentre si interroga, fin poi nell’impegno politico, sui crucci – e la cordialità – di quegli uomini semplici che salutano per primi, sempre teso alla ricerca di unadimensione culturale, etica, del diritto.
E proprio questa circolarità del tema vegetale che con andamento carsico variamente si riaffaccia nella vita e nelle opere di Calamandrei indaga ora lo studio a due voci di Paola Roncarati e Rossella Marcucci (che già si erano occupate dell’erbario giovanile del Filippo de Pisis botanico flâneur), Codici e rose. L’erbario di Piero Calamandrei tra storia, fiori e paesaggio (Olschki).
A partire dall’analisi delle tavole dove ogni esemplare raccolto e essiccato viene impaginato e quasi messo in scena con efficace senso estetico – Calamandrei si diletta anche di pittura e ha la passione della fotografia –, «diramato nel rispetto delle sue inclinazioni naturali», con in calce le annotazioni sui luoghi di erborizzazione, lungo prode di fiumi e ruscelli, boschi, siepi, messi, campi di fieno... dove quelle erbe spontanee – fiori di campo, quindi non di giardino come quelli che pure non dovevano mancare a Firenze e dintorni – sono state raccolte dal promettente e curioso studente del fiorentino liceo Michelangiolo nel corso dell’anno scolastico del 1904.
I debiti di quest’esperienza si proietteranno in una vicenda intellettuale che rispetto all’amata «variopinta storia naturale» di allora vede Calamandrei scegliere poi altriambiti di impegno e di studio. Permane la traccia della passione naturalistica, dell’attenzione al paesaggio, e nel volume viene indagato appunto quel retroterra, i suoi immaginari, il lessico. La trama di riferimenti botanici ripercorsa nei successivi scritti scientifici e professionali, nei diari e nei discorsi politici. Come già nella giovanile produzione letteraria (poesie, fiabe) che si alimenta di quelle descrizioni e metafore, e fin nell’intimità degli affetti nel carteggio con la futura moglie Ada anche dal fronte da dove le invia lettere con dentro fiori disseccati evocando con uno sguardo affilato «le eriche rosse che magicamente hanno cominciato a fiorire anche sotto la neve». Ancora, nelle memorie ordinatrici e rievocative, prima fra tutte quel catalogo di stupefatte curiosità e melanconiche esperienze che è l’Inventario della casa di campagna, con l’incontro con il «miracolo dei funghi», l’ardore bellicoso delle formiche, la raccolta delle farfalle... il viottolo dei morti.
Paesaggi vivi, quelli del prelievo botanico, luoghi della memoria, vissuti e ideali, capaci di disvelare la lezione del passato, terre dei padri, posti «risaputi a mente». Che «entrano nell’asse ereditario di ciascuno di noi», da inventariare come bene comune.


“alias il manifesto domenica”, 21 giugno 2015

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