2.8.15

Maurizio Mori. Un accademico che si viveva operaio (Cesare Cislaghi)

Tra le testimonianze su Maurizio Mori pubblicate sull'ultimo numero di “micropolis” per ricordarne la figura di scienziato e di comunista “impenitente”, riprendo questa del professor Cislaghi, studioso di politiche sanitarie che dopo una lunga carriera accademica è oggi responsabile scientifico della Agenas, l'Agenzia Nazionale per la Salute. Ha scritto questo contributo, oltre che per “micropolis”, per “Epidemiologia e Prevenzione”, la rivista di cui – con Giulio A. Maccacaro che fu il primo a dirigerla – Mori era stato uno dei fondatori. (S.L.L.)

Mi aveva sempre molto sorpreso il desiderio di Maurizio di ritirare il proprio stipendio in Università “in contanti” e non facendoselo accreditare in banca. Oggi sarebbe impossibile per legge ma per Maurizio, glielo chiesi, era il segno che il suo era un “salario” per il lavoro che svolgeva e non un privilegio di status. Oggi forse tutti i professori universitari, o almeno la maggioranza, si vivono come quotidiani lavoratori e non come categoria superiore; ma quarant’anni fa, quando conobbi Maurizio, erano tempi differenti e lui, di certo, non si era omologato alla maggioranza dei professori, peraltro come non l’avevano fatto diversi suoi colleghi perugini.
Conobbi Maurizio all’Istituto di Biometria di Milano dove lui veniva per incontrare Giulio Alfredo Maccacaro che prima di essere stato professore di Statistica Medica lo era stato di Igiene a Pavia con Checcacci. Per me, giovane borsista arrivato quasi per caso in un istituto di medicina con una laurea in Scienze Politiche avendo risposto ad un annuncio del Corriere della Sera, le scuole di Igiene che mi interessavano, perché vicine ai miei argomenti, erano quella milanese di Giovanardi e quella perugina di Seppilli. Si parlava di riforma della sanità e di lotte per la salute, si discuteva di soggettività operaia e di demedicalizzazione.
Maurizio mi invitò diverse volte alla loro gloriosa Scuola di Educazione Sanitaria per fare delle lezioni in tema di metodi statistici per l’analisi dei processi sanitari. Prendevo un treno all’una di notte dalla stazione di Milano Lambrate con il sacco a pelo per dormire sui posti a sedere sempre vuoti ed arrivavo a Perugia poco prima delle sette del mattino e trovavo in stazione Maurizio che mi accompagnava a casa sua per fare, con la sua compagna, una lauta colazione. I rapporti con Maurizio non potevano mai essere formali perché lui cercava sempre la sostanza delle cose e delle persone.
Maurizio non ci lascia una eredità fatta di trattati, di scoperte scientifiche, di cariche ricoperte ed onori ricevuti. Maurizio lascia una forte eredità silenziosa in molti di noi che abbiamo vissuto gli anni sessanta non tanto, o non solo, come una rivolta giovanile bensì soprattutto come un desiderio di costruzione di una società più vera e più giusta, dove la salute nasce come modalità di rapportarsi tra le persone e non solo come frutto del potere medico.
Forse abbiamo vissuto assieme anche sogni utopici, forse non siamo stati capaci di influire a sufficienza sulle istituzioni, forse in qualche modo “abbiamo perso”, ma se abbiamo perso è soprattutto perché siamo stati coerenti con i nostri valori e non siamo corsi, come altri, dai vincitori. La stessa esperienza l’abbiamo ripetuta in Spagna dove Maurizio collaborava con le scuole di Sanità pubblica nei giorni seguenti alla caduta del franchismo. Ringrazio ancora Maurizio per avermi chiesto di andare a Valencia per fare dei corsi sui temi del Sistema informativo sanitario.
Vorrei adesso che l’energia, la passione, l’onestà di Maurizio non fosse dimenticata ma servisse per dare idee, entusiasmo e capacità a dei giovani sperando che siano più capaci di noi nel trasformare in realtà l’idea che la difesa della salute è innanzitutto lotta ai processi di sfruttamento tra le persone: tra l’uomo e la donna, tra il padrone e l’operaio, tra il ricco ed il povero, tra chi non ha problemi e chi ne ha, sia sul piano fisico che psichico che mentale o sociale. E le idee di Maurizio non rimarranno sotto terra ma certamente faranno germogliare nuovi fiori.

"micropolis", luglio 2015

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