9.8.15

Meccanismi lucrativi. La scuola possibile di Giulio Ferroni (Paolo Lago)

Il filosofo belga Raoul Vaneigem così scriveva nel 1995 in un significativo Avviso agli studenti: «La prospettiva di una redditività a tutti i costi è la cortina di ferro di un mondo chiuso dall’economia. (...) Resta da sapere se allievi e professori, dal momento che la gestione di un universo in rovine alla quale li si invita non promette nulla di buono, si lasceranno ridurre alla funzione di meccanismi lucrativi senza scommettere sull'ipotesi di imparare a vivere anziché a economizzarsi».
La scuola è al centro di una nuova riforma che continua a sollevare proteste nell'universo degli insegnanti e degli studenti e che sembra trovare il suo fulcro in dinamiche di carattere economico e aziendale, basate su «meccanismi lucrativi». Nel testo diffuso online dal Ministero dell’Istruzione, ad esempio, la storia dell'arte dovrebbe ricevere maggiori impulsi per creare una «capacità di produrre bellezza», sulla quale si dovrebbero «formare giovani capaci di ripartire dal Made in Italy inteso nella sua accezione più ampia». («Made in Italy?» - viene spontaneo chiedersi - si tratta della scuola o del marchio aziendale di uno stilista?). Il mondo della scuola è quindi tornato oggi alla ribalta, chiamato in causa da questo calderone riformistico promosso da una nuova classe politica rampante, che si autoproclama ‘rottamatrice’ e sembra invece guardare molto a quegli anni ottanta del secolo scorso definiti da Paul Ginsborg come «l'età d'oro del miracolo economico».
Capita a proposito, perciò, l'uscita di un illuminante volumetto di Giulio Ferroni: La scuola impossibile (Salerno editrice). L'autore, critico e storico della letteratura, è sempre stato un acuto e lucido osservatore non solo della «repubblica delle lettere» ma anche della cultura e della società italiana tout court. Al mondo della scuola e alle sue prospettate riforme, infatti, già aveva dedicato un altro testo uscito nel 1997, La scuola sospesa. Istruzione, cultura e illusioni della riforma. Al centro della nuova analisi di Ferroni c'è la critica al modello economico dominante in ogni settore della vita sociale e culturale, applicato anche al mondo della scuola: «Tutto deve mirare all'utile, e l'utile viene necessariamente concepito in termini puramente economici». In questo quadro rientrano anche le formulazioni che impongono di sezionare il sapere in obiettivi e competenze, nonché la diffusione dell'utilizzo dei test per sondare le capacità degli studenti. Anche l'eccessiva digitalizzazione della scuola rimanda a un modello economico imposto dall'alto, in un contesto sociale in cui la rete contribuisce all'evaporazione della democrazia, mentre sempre di più vengono a mancare luoghi fisici di incontro e di confronto diretto: la scuola appare così schiacciata dalle «esigenze di grandi organismi economici, che impongono di essere all'altezza di un presente disposto secondo le leggi del marketing dei modelli di vita da esso definiti».
Diversi sono i suggerimenti per sfuggire a questo «meccanismo lucrativo»: la produzione di un pensiero «lento» e problematico contro la velocità imperante, una nuova educazione alla parola, una difesa dall'eccessiva ‘colonizzazione' dell'inglese, una rinnovata conoscenza dello spazio, una riscoperta dei classici antichi, nonché, naturalmente, una decisiva rivalutazione della figura dell'insegnante. È solo con una passione viva per il sapere e con fortissime basi culturali che si potrà ottenere, finalmente, a una scuola «buona» davvero.


Alias-talpa-il manifesto, 28 giugno 2015

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