27.8.15

Ritratto di Pietro Secchia in carcere (Leo Valiani)

Leo Valiani, esponente di primo piano della Resistenza giellina e del Partito d'Azione, poi storico, editorialista e, negli ultimi anni, senatore a vita, aveva condiviso con Pietro Secchia la militanza comunista e il carcere fascista nei primi anni Trenta del 900.
In un suo libro pubblicato nell'immediato dopoguerra tracciò questo ritratto di “Botte” (il nome usato da Secchia nella clandestinità). (S.L.L.)
Pietro Secchia nel 1928
Botte tracciava il programma di vita per tutti. Era molto semplice: appena si erano finiti gli anni di carcere, si ricominciava a combattere. Chi ritorna in libertà, prende il posto di chi è arrestato. Si forma così una catena circolare, che il fascismo non riuscirà mai a spezzare. Un giorno o l’altro, il fascismo si troverà in crisi, per ragioni internazionali o economiche. Quel giorno la nostra catena lo paralizzerà, lo serrerà alla gola.
Erano le stesse cose che avevo appreso da Rosselli nel 1926, ma Rosselli ne faceva una teoria di élite. Botte ne faceva la norma di vita di migliaia di giovani operai, impiegati, contadini. I pochi, che con lui non andavano d’accordo, dicevano che era settario. Avevano ragione; era settario, e all’occorrenza acido e aspro. Ma la sua setta era vastissima.

Da Tutte le strade conducono a Roma, Firenze, 1947. Citato in Marco Albeltaro, Le rivoluzioni non cadono dal cielo. Pietro Secchia, una vita di parte, Laterza, 2014

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