1.9.15

Fedez, il rapper che spaventa Giuliano Ferrara (Alessandro Leogrande)

«Se ti rubano un gol continua a urlare,
se ti rubano il futuro resta seduto.
Sono stanco di vedere
poliziotti che applaudono assassini,
come se essere ammazzato
fosse il vero reato.
Se senti sparare sono colpi di Stato».
“Il Foglio” di Giuliano Ferrara, l’unico giornale che fa politica culturale, l’ha capito in fretta: Fedez, il «rapper antisistema e anticasta», è oggi una seria minaccia alla produzione di significati di un’industria musicale che, negli ultimi dieci anni, ha colonizzato l’immaginario collettivo degli adolescenti con la più scialba e conservatrice riproposizione di cliché da teen-band anglosassone - dall’esperimento ante-litteram dei Gazosa di www.mipiacitu passando per i Dari e i Finley. L’ingegnerizzazione da trial and errors ci ha infine consegnato il prodotto perfetto per la post-modernità social : l’artista arrivato dalla strada e creato sraffianamente a mezzo di pubblico - cioè dal pubblico, con il pubblico e per il pubblico. I talent. Il trionfo di questo progetto
si è di recente celebrato con il lancio di una suora senza particolare talento musicale come modello per i teen-ager del XXI secolo.
«Sua Eminenza aspetti un attimo
Si è preso l’attico per stare più vicino a Dio
Mi sembra patetico ma io non pontifico
Un occhio sul benefico e l’altro sul bonifico»,
canta invece Fedez, e questo è già un piccolo trauma per chi aveva fatto appena in tempo a liberarsi dai canti anticlericali di De André. L’autonomismo anarcoide, che decenni di programmazione culturale hanno cancellato dalla scena, rientra dalla porta principale, compresa quella di X-Factor, con Fedez - che viene dai centri sociali di Milano e in maniera del tutto anacronistica canta
«nuovo piano marketing per l’estrema destra:
Mussolini promuove un nuovo detersivo per i capi neri,
dopo il lavaggio si raccomanda di appenderli alla rovescia».
“Il Foglio” - utilizzando l’armamentario più banale della critica alla sinistra - lo attacca dicendo che «segue il mercato!», come se raccontare a decenni affascinati dai suoi tatuaggi che
«la pubblicità ormai mi trapana il cervello
è lei che decide cosa metto nel carrello
la Marcuzzi vuol farmi cagare con il bifidus
ma c’era già riuscita bene col Grande Fratello»
non sia di per sé un utilizzo foucauldiano della platea garantita dal mercato per veicolare la decostruzione delle logiche sulle quali esso si sorregge.
Gli adolescenti italiani erano orfani di un’autorialità radicale in grado di parlare al grande pubblico. Quelli che la cercavano trovavano ancora Guccini, che racconta un mondo passato e sempre più difficile da capire. Fedez è a volte confuso ma efficace, e non perde di autenticità nonostante l’implicito patto faustiano su cui si basa il suo successo:
«Siamo specchi che non riflettono.
Prigionieri del presente
in un paese senza futuro.
O reagiamo o ci ritroveremo
a cucire l’orlo del baratro.»
Ed è questa possibilità che spaventa Giuliano Ferrara.


“Pagina 99”, 8 novembre 2014

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