30.9.15

La foto che ha scosso le coscienze (Livio Pepino)

Giovedì 3 settembre. Molti quotidiani pubblicano la foto di Aylan, un bambino di tre anni, curdo siriano. La maglietta rossa, i pantaloncini blu, le scarpe ai piedi. Ordinatissimo. Sdraiato sulla spiaggia. Non sta dormendo. È morto. Annegato mentre, a bordo di un gommone, cercava di lasciare la Turchia, insieme alla famiglia, per raggiungere l’Europa. “Il manifesto” gli dedica metà della prima pagina: sulla fotografia campeggia la scritta “Niente asilo”. È una foto che – non certo per volontà del piccolo Aylan e della sua famiglia – entrerà nella storia. Come quella, per restare nel dopoguerra, della piccola vietnamita Kim Phuc, in fuga, nuda, dal napalm. La foto – inutile illudersi – non cambierà i comportamenti dei “grandi della terra”. Ma già ora ha contribuito a svegliare coscienze, a suscitare pratiche di accoglienza e solidarietà, a moltiplicare reazioni.
Da mesi il messaggio, ossessivamente ripetuto da media e da politici di ogni colore, in Italia e in Europa, è che bisogna finirla con il buonismo e prendere atto che per rifugiati e migranti in genere non c’è posto “a casa nostra”. Di qui il rincorrersi, in un crescendo senza fine, di proposte definite risolutive: rinchiuderli in campi aldilà del Mediterraneo, ricacciarli nei Paesi da dove vengono, bombardare i barconi che attraversano il mare, costruire muri e potenziare reticolati di filo spinato sulla terraferma. E, a fianco, un distillato di odio e xenofobia che sembra mettere nell’angolo e inferiorizzare chi invita alla ragione e all’accoglienza.
Così i giornali, i talk show televisivi e i social sono invasi da volgarità razziste e la scena è dominata da invettive provocatorie come quelle del segretario leghista che intima a vescovi, alte cariche dello Stato e buonisti in genere di «prendersi i clandestini a casa loro» quasi che la solidarietà potesse (e dovesse) sostituire la politica più di quanto già non accade. Contro questa deriva poco hanno potuto, fino ad oggi, i princìpi: l’uguaglianza, la solidarietà, la dignità delle persone. Nonostante il messaggio cristiano richiamato con forza dal Papa venuto da lontano. Nonostante la miglior cultura dell’occidente, transitata dall’illuminismo al socialismo. Nonostante la nostra Costituzione del 1948, il cui articolo 10 attribuisce “il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica” allo “straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”. Nonostante la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il cui articolo 11 prevede che “ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”.
E poco hanno potuto le dure lezioni della storia che mostrano l’immancabile sbocco della xenofobia, soprattutto nei momenti di crisi economica e di disgregazione sociale, in persecuzioni e pulizie etniche praticate da “camicie” di diverso colore. Con aggressioni di gruppo, linciaggi, cacce all’uomo, pogrom nei confronti dei diversi. Con, alla base, la costruzione del «capro espiatorio» che fa apparire naturali e spontanei anche l’annientamento e la distruzione fisica. E ciò ancorché, a ben guardare, la pratica del rifiuto, lungi dal fondarsi su dati e fatti, poggi su luoghi comuni, chiacchiere, falsi (come l’incombente invasione di milioni di islamisti sanguinari e l’esistenza di spese spropositate per l’accoglienza) che acquistano dignità di argomenti solo grazie a ripetizioni ossessive e a mancate confutazioni.
Oggi la foto di un bambino indifeso, ucciso dall’intolleranza e dal rifiuto, ha scosso le coscienze di molti (insieme a molte immagini analoghe e, da ultimo, a quelle di uomini che, come settant’anni fa, marchiano altre donne e altri uomini con numeri impressi indelebilmente sulle braccia). Di qui il crescere di manifestazioni di solidarietà e di ribellione a una “legalità” che uccide, respinge, costruisce muri (come è accaduto da ultimo in Ungheria). E, ancora una volta, il protagonismo delle donne e degli uomini ha cambiato gli scenari e spiazzato la politica, spingendo Germania e Austria a dichiarare una disponibilità generalizzata all’accoglienza dei profughi siriani. È un fatto importante, positivo e, fino a ieri, imprevedibile.
Ma guai ai trionfalismi e alla retorica a buon mercato. All’indomani dell’apertura dei confini tedeschi e austriaci sono fioccate le dissociazioni. I più (anche in Italia) hanno scelto il silenzio. E molti si sono dissociati: l’Ungheria, i Paesi dell’Est, ma anche, di fatto, l’Inghilterra e la Spagna. E sono cominciati i distinguo: sulla nazionalità e la religione dei profughi da accogliere, sulla non assimilabilità ai profughi dei migranti tout court (come se fuggire dalla fame fosse diverso dal fuggire dalle guerre), sulla necessità, comunque, di rispettare il trattato di Dublino (che demanda l’accoglienza, in via esclusiva, ai Paesi di confine).
Nonostante tutto, peraltro, una falla si è aperta nel fronte del rifiuto e della xenofobia. Ed è una falla che può ingrandirsi. Ma solo se la mobilitazione, la solidarietà, la protesta di oggi si moltiplicheranno e si tradurranno in iniziativa politica capace di incalzare forze politiche e governi.


Narcomafie, 17 settembre 2015

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