15.9.15

Mondo antico. L'impero sul Gange (Alessandro Guidi)

Uno dei più straordinari testi giuntici dall’antichità classica è, senza dubbio, il Periplo dei Mare Eritreo. Un anonimo scrittore greco del primo secolo d.C.(un mercante? un geografo?) vi narra, con dovizia di particolari, la rotta, i traffici, i sistemi di navigazione impiegati da coloro i quali partendo dai porti commerciali del mar Rosso toccavano il mare Arabico, il golfo Persico e gli approdi dell’Oceano Indiano.
Viaggi così lunghi e pericolosi erano possibili grazie alla conoscenza che i marinai antichi avevano dei monsoni, in particolare quello sud-occidentale, che inizia in giugno e finisce in settembre, sfruttando il quale si poteva giungere facilmente, tenendosi a una certa distanza dalla terraferma, dal mar Rosso fino alla punta più meridionale del sub-continente indiano.

La scoperta del monsone
Plinio ci dà anche il nome dell’uomo che aveva compiuto la straordinaria scoperta delle proprietà del monsone: Ippalo, secondo la felice definizione di Mortimer Wheeler, «un grande nome nella storia della navigazione».
Il Periplo ci racconta, tra le altre cose, quali fossero i porti indiani interessati da questo commercio, il tipo di merci trasportate dai marinai greci e romani (in primo luogo vino, argento, stoffe e metalli) e quelle importate in occidente (seta, mussola, pietre dure e, soprattutto, spezie, come la cannella e il pepe, ingrediente fondamentale della cucina romana). Da parte loro, i poemi indiani datati tra III secolo a.C. e I secolo d.C. parlano in più punti dei mitici Yavanas (un nome con cui venivano indicati indifferentemente Greci e Romani), delle loro navi, del loro vino «fresco fragrante».
Fin qui le fonti letterarie; si deve alle straordinarie capacità (e anche alla fortuna) di Mortimer Wheeler se l’archeologia ha potuto confermare in pieno questo quadro, aprendo un capitolo della storia delle ricerche, quello del commercio indo-romano, che ogni anno si va arricchendo di nuove pagine e intorno a cui si è di recente riacceso l’interesse del mondo scientifico.
Fin dal 700 erano noti i rinvenimenti di monete romane in varie parti dell’India; Wheeler, appena nominato dall’amministrazione inglese direttore dell’Archeological Survey of India, fece subito un’importante scoperta nel locale museo di Pondicherry, a sud di Madras, dove alcuni antiquari francesi aveva depositato materiali provenienti da uno scavo effettuato sulle rive di un’ampia laguna, in una località chiamata dagli indiani Arikamedu.
Agli occhi increduli di Wheeler apparvero frammenti della tipica ceramica da mensa romana di età imperiale, la terra sigillata, e di anfore vinarie; gli scavi compiuti ad Arikamedu nel 1945 dovevano portare alla luce altri frammenti di ceramica romana, materiali locali che ne imitavano l’impasto e le decorazioni e resti di strutture che Wheeler definì come magazzini, identificando il sito con il porto di Poduke, citato dal Periplo.

I Romani in India
Da allora si sono moltiplicati, soprattutto nel sud dell’India, i rinvenimenti di anfore e di terra sigillata, databili per la maggior parte nei primi due secoli dell’Impero, confermando così la fondatezza dei lamenti di Plinio, che osserva sconfortato come «non vi sia anno in cui l’India assorba meno di due milioni di sesterzi» e offrendo una valida spiegazione storica di una delle più straordinarie scoperte della lunga storia degli scavi di Pompei: una bellissima statuetta indiana d’avorio della dea della fortuna, Lakshmi, usata come manico di specchio.
Ma la revisione dei vecchi scavi di Arikamedi e i più recenti studi sulle anfore dimostrerebbero come il commercio fosse iniziato almeno due secoli prima dell’epoca in cui si datano i materiali di Arikamedu. Del resto questo è solo uno dei quesiti che l’archeologia deve ancora risolvere all’interno della complessa questione del commercio indo-romano; accanto agli interrogativi più squisitamente topografici, come l’individuazione degli altri porti citati dal Periplo (in particolare Muziris, dove le fonti riportano la presenza di un tempio dedicato ad Augusto), ve ne sono altri, storici, di grande interesse.
Dobbiamo ancora comprendere, infatti, quale fosse l’importanza di questo commercio per Roma e chi se ne occupasse in prima persona (studi recenti si soffermano sul ruolo cruciale del porto di Alessandria e degli intermediari egiziani, arabi e forse indiani impegnati nel commercio); ancor più stimolante è il problema dell’impianto di tale attività sullo sviluppo socio-economico dell’India meridionale, in cui sistemi «statali» sono documentati (soprattutto da documenti letterari) proprio nei primi secoli della nostra era.
Gli ultimi anni hanno visto un enorme risveglio dell’interesse, in India, per questo argomento, e la crescente consapevolezza della necessità di un’effettiva cooperazione con gli archeologi del mondo classico.
In quest’ambito si pone l’iniziativa della riproposizione, ampliata e aggiornata, di una mostra dal titolo India and Italy, tenutasi quindici anni fa a New Delhi, con grande successo. Oggi come allora la mostra è organizzata dall’Istituto italiano di cultura di New Delhi; le maggiori novità sono però costituite dall’ampio coinvolgimento di archeologi e storici indiani e dall’intenzione di farla girare a lungo nelle maggiori città e università del paese.
I tempi sono decisamente cambiati, gli Yavanas di oggi non vengono più a portare vino o merci preziose, bensì un patrimonio di cultura e di problematiche storiche, soprattutto sul tema della dinamica degli scambi nel Mediterraneo in età romana, più che mai utile per affrontare su basi nuove un fenomeno complesso e articolato come il commercio tra Roma e l’India.

"il manifesto" ritaglio senza data, probabilmente 1988

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