26.9.15

Un Che Guevara dell'Ottocento. Il testamento politico di Pisacane

Nel momento d’avventurarmi in una intrapresa risicata, voglio manifestare al paese la mia opinione per combattere la critica del volgo, sempre disposto a far plauso ai vincitori e a maledire ai vinti.
I miei principi politici sono sufficientemente conosciuti; io credo al socialismo, ma ad un socialismo diverso dai sistemi francesi, tutti più o meno fondati sull’idea monarchica e dispotica, che prevale nella nazione: esso è l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia e fors’anche dell’Europa intera. Il socialismo di cui parlo può definirsi in queste due parole: libertà e associazione.
Io non ho la pretesa, come molti oziosi me ne accusano per giustificare se stessi, di essere il salvatore della patria. No: ma io sono convinto che nel Mezzogiorno dell’Italia la rivoluzione morale esiste; che un impulso energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo, ed è perciò che i miei sforzi si sono diretti al compimento di una cospirazione che deve dare quell’impulso. Se giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, nel Principato citeriore, io crederò aver ottenuto un grande successo personale dovessi pure lasciar la vita sul palco. Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un numero assai grande di uomini generosi, io non posso che ciò fare, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, e non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per quello scopo ed in questo sacrifizio non esito punto.
Io sono persuaso che se l’impresa riesce, otterrò gli applausi generali; se soccombo, il pubblico mi biasimerà. Sarò detto pazzo, ambizioso, turbolento, e quelli che nulla mai facendo passano la loro vita nel criticare gli altri, esamineranno minuziosamente il tentativo, metteranno a scoperto i miei errori, mi accuseranno di non esser riuscito per mancanza di spirito, di cuore e di energia... Tutti questi detrattori, lo sappiano bene, io li considero non solo incapaci di fare ciò che si è da me tentato, ma anche di concepirne l’idea. A quelli che diranno che l’impresa era d’impossibile riuscita io rispondo che se prima di combinare di tali imprese si dovesse ottenere l’approvazione del mondo bisognerebbe rinunziarvi. Il mondo non approva in prevenzione che i disegni volgari. Fu detto un pazzo colui che fece in America l’esperimento del primo battello a vapore, e si è più tardi dimostrata l’impossibilità di traversare l’Atlantico con tali battelli. Era un pazzo il nostro Colombo prima di aver scoperto l’America; e l’uomo volgare avrebbe trattato di pazzi e d’imbecilli Annibaie e Napoleone se avessero avuto a soccombere quello alla Trebbia, questo a Marengo. Io non pretendo paragonare la mia impresa con quelle di questi grandi uomini. Essa per altro loro rassomiglia in una parte: perché sarà l’oggetto dell’universale disapprovazione se fallisco, e dell’ammirazione di tutti se riesco. Se Napoleone prima di abbandonare l’isola d’Elba per sbarcare a Frejus con cinquanta granatieri avesse domandato dei consigli, il suo progetto sarebbe stato biasimato all’unanimità. Napoleone aveva ciò ch’io non ho, il prestigio del suo nome, ma io unisco alla mia bandiera tutte le affezioni e tutte le speranze della rivoluzione italiana. Combatteranno con me tutti i dolori e tutte le miserie d’Italia.
Io più non aggiungo che una parola: se non riesco disprezzo profondamente l’uomo ignobile e volgare che mi condannerà: se riesco apprezzerò assai poco i suoi applausi. Ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell’anima di questi cari e generosi amici che mi hanno recato il loro concorso ed hanno diviso i battiti del mio cuore e le mie speranze: che se il nostro sacrifizio non apporta alcun bene all’Italia, sarà almeno una gloria per essa l’aver prodotto dei figli, che vollero immolarsi al suo avvenire.
Carlo Pisacane

In “Calendario del popolo”, aprile 1976

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