29.10.15

I mandanti Dc di tanti delitti (Emanuele Macaluso)

Mario Scelba
Nel settembre del 1990 c'era ancora il Pci, sebbene un congresso, a inizio anno, ne avesse decretato l'imminente scioglimento in un “nuovo partito della sinistra italiana”. Qualche mese più avanti il processo sarebbe stato completato con la nascita del Pds (e di Rifondazione Comunista). In quell'anno fatidico molte erano le spinte verso l'abiura, verso il rinnegamento di ciò che il Pci aveva rappresentato in Italia dalla Resistenza in poi. Le pressioni venivano dall'esterno, dal Psi di Craxi e dalla Dc di Forlani e Andreotti in primo luogo, ma talora anche dall'interno. E spesso, nella perentoria richiesta di revisioni storiche, l'esterno faceva da sponda all'interno e viceversa.
Nel mirino furono soprattutto gli anni della Seconda guerra mondiale e della Resistenza: si accusò Togliatti di essere complice, se non addirittura, il mandante della tragedia degli alpini in Russia, si rievocarono episodi oscuri della guerra partigiana, si riprese la polemica, un tempo cara a Guareschi, del cosiddetto “triangolo della morte” in Emilia, sulle uccisioni di fascisti, di agrari e di preti filofascisti dopo il 25 aprile.
Dall'interno del Pci queste accuse trovarono una sponda in un dirigente del Pci emiliano, tal Montanari, che parlò della “volante rossa” e delle sue esecuzioni e lasciò intendere che dirigenti di rango avevano incoraggiato la cosa e che l'intero partito aveva protetto gli autori dei delitti. Un dirigente della nuova leva occhettiana d'origine torinese (uno che da tempo Napoleone Colajanni, conoscitore del partito in Piemonte, definiva “un cretino”) diede un grande valore alla “confessione” di Montanari e insistette per prendere le distanze da quella storia, da condannare senza distinguo. E' del tutto ovvio che alla violenta polemica anticomunista partecipassero non soltanto i neofascisti del Msi, ma anche la Dc e il Psi.
L'articolo che segue è la risposta che a questa campagna faziosa e piena di falsificazioni diede nella sua rubrica “Terra di tutti” Emanuele Macaluso, esponente della cosiddetta “destra migliorista” con simpatie socialdemocratiche, ma per nulla disposto a svendere l'eredità del partito di Gramsci e Togliatti. 
Lo posto non soltanto per il vigore della polemica, ma anche perché ricorda Totò La Marca, che io conobbi sindaco di Mazzarino e che era stato, oltre che dirigente del movimento contadino, partigiano con Tito, in Jugoslavia, una figura che mi è particolarmente cara. (S.L.L.)
Emanuele Macaluso
«Il Popolo chiede i nomi di autori e mandanti». 
Ho letto questo titolo sul “Messaggero” di mercoledì scorso e non credevo ai miei occhi. Il giornale della Dc chiede i nomi degli autori di delitti politici e dei loro mandanti? Questa si che è una rivoluzione politica, culturale e morale. Sono andato a leggermi il corsivo apparso lo stesso giorno sul “Popolo” e la richiesta letta nel titolo del “Messaggero” c’è ed è perentoria. Anche se è una richiesta retorica dato che si parla dei delitti commessi nel dopoguerra in Emilia per i quali i mandanti, evidentemente, sarebbero stati i dirigenti del Pci. E l’omertà, oggi, è sempre del Pci. Noi, ingiustamente, avevamo, invece, accusato la Dc, di fronte ai delitti politici, di reticenza e omertà perché da anni sul suo giornale, nei discorsi del suoi ministri, aveva detto cose ben diverse.
Qualche ricordo. I mandanti della strage di Portella della Ginestra? Dietrologia e speculazione comunista. La strage fu opera del bandito Giuliano al quale i comunisti erano antipatici e li mitragliava. E chi fu il mandante dell’uccisione di Giuliano per tappargli definitivamente la bocca? Nessuno. Lo Scelba, osannato dalla Dc come tutore dell'ordine e salvatore della democrazia, aveva nel luglio del 1950 organizzato una grande sceneggiata dove si vedevano i carabinieri, comandati dal capitano Perenze, che sparavano e «uccidevano» il cadavere di Giuliano. Il bandito com’è noto era stato ucciso, nel sonno, in casa di un capomafia di Castelvetrano, grande elettore della DC. Scelba organizzò quella sceneggiata solo per divertire il pubblico con un giallo che incuriosiva i giornalisti? Per la verità il regista in quell’occasione fece un errore banale collocando il cadavere in posizione tale per cui dalle ferite il sangue avrebbe dovuto scorrere dal basso in alto. Lo scioglimento dell'enigma del giallo fu quindi facile. Peccato. Ma in quegli anni il “Popolo” non si chiese mai se tra gli sceneggiatori e i mandanti di Portella della Ginestra e di altri delitti politici di allora ci fosse una qualche tenue correlazione. E non cercò mal di capire chi aveva offerto a Pisciotta, luogotenente di Giuliano, in una cella dell'Ucciardone, una tazza di caffè così forte da seppellirlo con tutti i suoi pensieri e i suoi ricordi.
Sempre sul “Popolo”, nello stesso giorno, il segretario provinciale della Dc di Modena, Giancarlo Bini, chiede: «Dove sono i resti mortali di Emilio Missere, segretario della Dc di Medolla, prelevato e ucciso dai "partigiani" comunisti?». Domanda legittima, anche se Bini dà l'impressione di sapere con certezza che fu prelevato da partigiani (con le virgolette, quindi falsi) comunisti (senza virgolette, quindi veri). Noi invece sappiamo dove sono i resti mortali del segretario della Dc di Camporeale, ucciso negli anni Cinquanta, quando si oppose con tutte le sue forze ad accogliere nella sua sezione il capomafia Vanni Sacco che transitava dal Pli alla Dc. Transito patrocinato dall'onorevole Giovanni Gioia, allora capo della Dc palermitana, e poi membro della Direzione e ministro della Repubblica. Come mai la Dc non chiese e non chiede ancora oggi notizie sui mandanti di quei delitto e di altri ancora come quello in cui trovò la morte il segretario della Dc di Trapani, Vincenzo Campo? Potrei continuare.
E non sto elencando i nomi del trentasei dirigenti locali del Pci, del Psi, del sindacato trucidati tra il 1944 e il 1950, con la Dc silenziosa o coinvolta. Ho detto coinvolta perché, per esempio, a Villalba, dove nel settembre del 1944 spararono a Li Causi, la Dc fu coinvolta. I colpi infatti partivano anche dalla sede della Democrazia cristiana e imputato principale della strage, col capomafia Calogero Vizzini, fu l'avvocato Beniamino Farina, segretario della sezione democristiana, mai sconfessato, nemmeno dopo la sentenza di condanna.
Ma cos’erano in quegli anni l'apparato statale e la giustizia in Sicilia e nel Sud? Pochi ricordano che in Sicilia, dopo l'arrivo degli alleati, compagni che avevano scontato anni di carcere e confino furono rispediti con accuse assurde e montature infami, nei campi di concentramento nel Nord-Africa. Nel 1944 in Sicilia si svolsero imponenti e violente manifestazioni contro il richiamo alle armi per partecipare alla guerra di liberazione e in alcune zone, come il Ragusano, assunsero caratteri insurrezionali. Il Pci contrastò quei moti, molti giovani comunisti si arruolarono nell'esercito di liberazione nazionale, ma la repressione si abbatté dopo solo sui militanti comunisti, arrestati, processati davanti ai tribunali militari e dopo mesi e anni scarcerati perché innocenti. Un giornale certo insospettabile del tempo, il “Corriere di Catania” resocontando quei processi, nel novembre del 1945, dimostrava l’innocenza del vicesegretario della sezione di Scicli, Vittorio Boscarino e di altri compagni e notava che tra gli arrestati non c'erano invece né fascisti, né separatisti che capeggiarono la rivolta. C'era invece «lo studente Vincenzo Pomelli, partigiano in Maremma, comunista che aveva meritato una segnalazione speciale dal generale Alexander». Negli anni successivi altri comunisti di Scicli come di tanti altri comuni siciliani, furono arrestati, grazie a Scelba, nel corso delle lotte bracciantili e contadine. Il segretario della Camera del Lavoro di Scicli, Peppino Speranza, si sottrasse all'arresto e alla «giustizia» espatriando, come fece anche Salvatore La Marca, il dirigente dei contadini di Mazzarino di cui parla Vincenzo Consolo nel suo libro Le terre di Pantalica.
Cosa dire oggi? Quei compagni si sottrassero alla giustizia del loro paese o a una infame e ignobile persecuzione in anni in cui non era possibile ottenere giustizia? Io penso che si sottrassero ad una persecuzione. “Il Popolo” in altro suo corsivo apparso venerdì scorso scrive: «Noi siamo orgogliosi del nostro scelbismo». Bravi, non ne dubitavamo.


l’Unità Lunedì 10 settembre 1990

1 commento:

  1. Si vocifera che Fanfani avesse lo zampino nell'affaire Mattei. Atti nel tribunale di Pavia.

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