Mario Scelba |
Nel settembre del 1990
c'era ancora il Pci, sebbene un congresso, a inizio anno, ne avesse
decretato l'imminente scioglimento in un “nuovo partito della
sinistra italiana”. Qualche mese più avanti il processo sarebbe
stato completato con la nascita del Pds (e di Rifondazione
Comunista). In quell'anno fatidico molte erano le spinte verso
l'abiura, verso il rinnegamento di ciò che il Pci aveva
rappresentato in Italia dalla Resistenza in poi. Le pressioni
venivano dall'esterno, dal Psi di Craxi e dalla Dc di Forlani e
Andreotti in primo luogo, ma talora anche dall'interno. E spesso,
nella perentoria richiesta di revisioni storiche, l'esterno faceva da
sponda all'interno e viceversa.
Nel mirino furono
soprattutto gli anni della Seconda guerra mondiale e della
Resistenza: si accusò Togliatti di essere complice, se non
addirittura, il mandante della tragedia degli alpini in Russia, si
rievocarono episodi oscuri della guerra partigiana, si riprese la
polemica, un tempo cara a Guareschi, del cosiddetto “triangolo
della morte” in Emilia, sulle uccisioni di fascisti, di agrari e di
preti filofascisti dopo il 25 aprile.
Dall'interno del Pci
queste accuse trovarono una sponda in un dirigente del Pci emiliano,
tal Montanari, che parlò della “volante rossa” e delle sue
esecuzioni e lasciò intendere che dirigenti di rango avevano
incoraggiato la cosa e che l'intero partito aveva protetto gli autori
dei delitti. Un dirigente della nuova leva occhettiana d'origine
torinese (uno che da tempo Napoleone Colajanni, conoscitore del
partito in Piemonte, definiva “un cretino”) diede un grande
valore alla “confessione” di Montanari e insistette per prendere
le distanze da quella storia, da condannare senza distinguo. E' del
tutto ovvio che alla violenta polemica anticomunista partecipassero
non soltanto i neofascisti del Msi, ma anche la Dc e il Psi.
L'articolo che segue è
la risposta che a questa campagna faziosa e piena di falsificazioni
diede nella sua rubrica “Terra di tutti” Emanuele Macaluso,
esponente della cosiddetta “destra migliorista” con simpatie
socialdemocratiche, ma per nulla disposto a svendere l'eredità del
partito di Gramsci e Togliatti.
Lo posto non soltanto per il vigore della polemica, ma anche perché ricorda Totò La Marca, che io conobbi sindaco di Mazzarino e che era stato, oltre che dirigente del movimento contadino, partigiano con Tito, in Jugoslavia, una figura che mi è particolarmente cara. (S.L.L.)
Lo posto non soltanto per il vigore della polemica, ma anche perché ricorda Totò La Marca, che io conobbi sindaco di Mazzarino e che era stato, oltre che dirigente del movimento contadino, partigiano con Tito, in Jugoslavia, una figura che mi è particolarmente cara. (S.L.L.)
Emanuele Macaluso |
«Il Popolo chiede i
nomi di autori e mandanti».
Ho letto questo titolo sul “Messaggero” di mercoledì scorso e non credevo ai miei occhi. Il giornale della Dc chiede i nomi degli autori di delitti politici e dei loro mandanti? Questa si che è una rivoluzione politica, culturale e morale. Sono andato a leggermi il corsivo apparso lo stesso giorno sul “Popolo” e la richiesta letta nel titolo del “Messaggero” c’è ed è perentoria. Anche se è una richiesta retorica dato che si parla dei delitti commessi nel dopoguerra in Emilia per i quali i mandanti, evidentemente, sarebbero stati i dirigenti del Pci. E l’omertà, oggi, è sempre del Pci. Noi, ingiustamente, avevamo, invece, accusato la Dc, di fronte ai delitti politici, di reticenza e omertà perché da anni sul suo giornale, nei discorsi del suoi ministri, aveva detto cose ben diverse.
Ho letto questo titolo sul “Messaggero” di mercoledì scorso e non credevo ai miei occhi. Il giornale della Dc chiede i nomi degli autori di delitti politici e dei loro mandanti? Questa si che è una rivoluzione politica, culturale e morale. Sono andato a leggermi il corsivo apparso lo stesso giorno sul “Popolo” e la richiesta letta nel titolo del “Messaggero” c’è ed è perentoria. Anche se è una richiesta retorica dato che si parla dei delitti commessi nel dopoguerra in Emilia per i quali i mandanti, evidentemente, sarebbero stati i dirigenti del Pci. E l’omertà, oggi, è sempre del Pci. Noi, ingiustamente, avevamo, invece, accusato la Dc, di fronte ai delitti politici, di reticenza e omertà perché da anni sul suo giornale, nei discorsi del suoi ministri, aveva detto cose ben diverse.
Qualche ricordo. I
mandanti della strage di Portella della Ginestra? Dietrologia e
speculazione comunista. La strage fu opera del bandito Giuliano al
quale i comunisti erano antipatici e li mitragliava. E chi fu il
mandante dell’uccisione di Giuliano per tappargli definitivamente
la bocca? Nessuno. Lo Scelba, osannato dalla Dc come tutore
dell'ordine e salvatore della democrazia, aveva nel luglio del 1950
organizzato una grande sceneggiata dove si vedevano i carabinieri,
comandati dal capitano Perenze, che sparavano e «uccidevano» il
cadavere di Giuliano. Il bandito com’è noto era stato ucciso, nel
sonno, in casa di un capomafia di Castelvetrano, grande elettore
della DC. Scelba organizzò quella sceneggiata solo per divertire il
pubblico con un giallo che incuriosiva i giornalisti? Per la verità
il regista in quell’occasione fece un errore banale collocando il
cadavere in posizione tale per cui dalle ferite il sangue avrebbe
dovuto scorrere dal basso in alto. Lo scioglimento dell'enigma del
giallo fu quindi facile. Peccato. Ma in quegli anni il “Popolo”
non si chiese mai se tra gli sceneggiatori e i mandanti di Portella
della Ginestra e di altri delitti politici di allora ci fosse una
qualche tenue correlazione. E non cercò mal di capire chi aveva
offerto a Pisciotta, luogotenente di Giuliano, in una cella
dell'Ucciardone, una tazza di caffè così forte da seppellirlo con
tutti i suoi pensieri e i suoi ricordi.
Sempre sul “Popolo”,
nello stesso giorno, il segretario provinciale della Dc di Modena,
Giancarlo Bini, chiede: «Dove sono i resti mortali di Emilio
Missere, segretario della Dc di Medolla, prelevato e ucciso dai
"partigiani" comunisti?». Domanda legittima, anche se Bini
dà l'impressione di sapere con certezza che fu prelevato da
partigiani (con le virgolette, quindi falsi) comunisti (senza virgolette, quindi veri).
Noi invece sappiamo dove sono i resti mortali del segretario della Dc
di Camporeale, ucciso negli anni Cinquanta, quando si oppose con
tutte le sue forze ad accogliere nella sua sezione il capomafia Vanni
Sacco che transitava dal Pli alla Dc. Transito patrocinato
dall'onorevole Giovanni Gioia, allora capo della Dc palermitana, e
poi membro della Direzione e ministro della Repubblica. Come mai la
Dc non chiese e non chiede ancora oggi notizie sui mandanti di quei
delitto e di altri ancora come quello in cui trovò la morte il
segretario della Dc di Trapani, Vincenzo Campo? Potrei continuare.
E non sto elencando i
nomi del trentasei dirigenti locali del Pci, del Psi, del sindacato
trucidati tra il 1944 e il 1950, con la Dc silenziosa o coinvolta. Ho
detto coinvolta perché, per esempio, a Villalba, dove nel settembre
del 1944 spararono a Li Causi, la Dc fu coinvolta. I colpi infatti
partivano anche dalla sede della Democrazia cristiana e imputato
principale della strage, col capomafia Calogero Vizzini, fu
l'avvocato Beniamino Farina, segretario della sezione democristiana,
mai sconfessato, nemmeno dopo la sentenza di condanna.
Ma cos’erano in quegli
anni l'apparato statale e la giustizia in Sicilia e nel Sud? Pochi
ricordano che in Sicilia, dopo l'arrivo degli alleati, compagni che
avevano scontato anni di carcere e confino furono rispediti con
accuse assurde e montature infami, nei campi di concentramento nel
Nord-Africa. Nel 1944 in Sicilia si svolsero imponenti e violente
manifestazioni contro il richiamo alle armi per partecipare alla
guerra di liberazione e in alcune zone, come il Ragusano, assunsero
caratteri insurrezionali. Il Pci contrastò quei moti, molti giovani
comunisti si arruolarono nell'esercito di liberazione nazionale, ma
la repressione si abbatté dopo solo sui militanti comunisti,
arrestati, processati davanti ai tribunali militari e dopo mesi e
anni scarcerati perché innocenti. Un giornale certo insospettabile
del tempo, il “Corriere di Catania” resocontando quei processi,
nel novembre del 1945, dimostrava l’innocenza del vicesegretario
della sezione di Scicli, Vittorio Boscarino e di altri compagni e
notava che tra gli arrestati non c'erano invece né fascisti, né
separatisti che capeggiarono la rivolta. C'era invece «lo studente
Vincenzo Pomelli, partigiano in Maremma, comunista che aveva meritato
una segnalazione speciale dal generale Alexander». Negli anni
successivi altri comunisti di Scicli come di tanti altri comuni
siciliani, furono arrestati, grazie a Scelba, nel corso delle lotte
bracciantili e contadine. Il segretario della Camera del Lavoro di
Scicli, Peppino Speranza, si sottrasse all'arresto e alla «giustizia»
espatriando, come fece anche Salvatore La Marca, il dirigente dei
contadini di Mazzarino di cui parla Vincenzo Consolo nel suo libro Le
terre di Pantalica.
Cosa dire oggi? Quei
compagni si sottrassero alla giustizia del loro paese o a una infame
e ignobile persecuzione in anni in cui non era possibile ottenere
giustizia? Io penso che si sottrassero ad una persecuzione. “Il
Popolo” in altro suo corsivo apparso venerdì scorso scrive: «Noi
siamo orgogliosi del nostro scelbismo». Bravi, non ne dubitavamo.
l’Unità Lunedì 10
settembre 1990
Si vocifera che Fanfani avesse lo zampino nell'affaire Mattei. Atti nel tribunale di Pavia.
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