29.10.15

Pesce. Consumi e prezzi alle stelle, nel secolo della Cina (David Gallerano)

Asta record per un tonno rosso da 222 kg al mercato del pesce di Tsukiji, 
a Tokio, in Giappone: è stato venduto a 155.4 milioni di yen,  1,34 milioni 
di euro, a Kiyoshi Kimura, presidente della catena di sushi Zanmai 
Il trend è chiaro: di anno in anno mangiamo più pesce. Tutti, da Oriente a Occidente. Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Cresce il consumo annuale prò capite, ma anche la quota degli scambi e l’occupazione in relazione alla crescita della popolazione mondiale.
I report annuali della Fao dipingono un mondo a scaglie: mai quanto oggi l’umanità ha consumato tanto pesce, o ne è stata tanto dipendente. Il che, naturalmente, è un bene. Tutti ne conoscono le grandi proprietà nutritive, la ricchezza di proteine, i grassi insaturi ad alta concentrazione di omega-3... Il pesce protegge dagli attacchi di cuore e, secondo uno studio pubblicato nel 2009 dall’Università di Goteborg, aumenta il quoziente intellettivo di chi lo consuma regolarmente.
L’appetito mondiale cresce al ritmo di un 2% di domanda annuo ma le risorse ittiche mondiali, ammonisce la Fao, non sono infinite. Anzi: l’87% degli stock globali sono da considerare a pieno sfruttamento, quando non sovrasfruttati. Alcune specie sono a rischio estinzione. La diffusione del tonno rosso nell’Atlantico occidentale si è ridotta del 64% dal 1970. Nel gennaio 2013 un esemplare è stato venduto a Tokio per 1milione 760mila dollari. Nel grande mercato della capitale giapponese scannarsi per il primo tonno dell’anno è un fatto rituale, ma in ogni caso il prezzo normale di un tonno rosso di taglia media ha ormai raggiunto i 10 mila dollari.
Kiyoshi Kimura si prepara a tagliare il tonno rosso da record e servirlo ai clienti
Nel 1992, 40 mila persone persero il lavoro in Canada in seguito al collasso della pesca del merluzzo nei grandi banchi della Newfoundland, illuminando il pianeta sulle ricadute sociali dell'overfishing.
Servirebbe un moltiplicatore, miracoloso o meno, e in realtà c’è: è l’acquacoltura, un mercato da 11,6 miliardi di dollari in crescita annuale del 5,2%. Dei 161 milioni di tonnellate di pesce prodotte ogni anno, 90 provengono dalla pesca di cattura e 71 dagli allevamenti. La Banca mondiale prevede che entro il 2030 il 62% dei prodotti ittici per l’alimentazione proverrà dalle fishfarms asiatiche.
Ma questa grande espansione, che ha peraltro un impatto ambientale considerevole e alti costi, al giorno d’oggi non è ancora in grado di calmierare il prezzo del pesce, che sta raggiungendo negli ultimi mesi record storici.
Dietro alla crescente domanda di pesce si staglia un Dragone gigante. La Cina è già il primo produttore mondiale e tra i primi esportatori. Ma adesso anche la sua fame sta aumentando. Forse il mantra dei benefici dell’omega-3 non è tanto diffuso lì quanto in Occidente, ma il discorso sulle proprietà virtuose del pesce è popolare e tramandato di generazione in generazione. Soprattutto, il consumo di risorse ittiche, come ovunque nel mondo, è particolarmente sensibile all’aumento dei redditi. In Cina, il 10% più ricco della popolazione consuma sette volte i gamberetti consumati dalle fasce più povere. Nella spesa per il maiale la differenza è solo di una volta e mezza. I cinesi si arricchiscono e negli scaffali dei tanti nuovi supermercati delle grandi città scoprono la bontà di prodotti d’importazione come ostriche, cozze e vongole. E salmone, il cui prezzo è in continua ascesa anche per via del boom mondiale del sushi.
Da qualche anno Tabitha Grace Mellory, una giovane ricercatrice di Princeton, ricorda ai congressmen americani che quello che loro, ingenuamente, chiamano il «secolo della Cina», in Cina viene chiamato «secolo degli oceani». Un rapporto dell’Unione Europea (la più grande importatrice di pesce al mondo, in gran parte dalla Norvegia e dalla stessa Cina) indica che la quantità di pescato ufficialmente riconosciuta dal governo cinese sarebbe di dodici volte inferiore a quella reale. E c’è di più. Secondo Mellory i cinesi usano i pescherecci, accompagnati da imbarcazioni militari in acque contese, come cavalli di Troia per espandere la loro influenza internazionale. Un’attività che avrebbe fatto già arrabbiare Paesi vicini come Giappone, Vietnam e Sud Corea. In un rapporto di Pechino del 2010 è scritto che «poiché le risorse biologiche marine sono la più vasta riserva di proteine nel pianeta, padroneggiare gli oceani significa padroneggiare il futuro».


“pagina 99 we”, 8 novembre 2014

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