16.10.15

Ricordi di scuola. I miei insegnanti (Leone Trotzkij)

Lev Davidovic Trotzkij giovinetto
Eccomi dunque scolaro. Mi alzavo presto, buttavo giù il mio tè, ficcavo nella tasca del cappotto la merenda incartata e correvo a scuola per non perder la preghiera del mattino. Non arrivavo mai in ritardo. Stavo quieto nel mio banco, ascoltavo con attenzione e copiavo accuratamente dalla lavagna. A casa facevo i miei compiti con diligenza. Andavo a letto all’ora fissata per sorbire, la mattina dopo, il tè in fretta e correre a scuola col timore di perdere la preghiera del mattino. Ero promosso regolarmente. Incontrando un maestro per la strada, salutavo con rispetto.

Tipi strani
La percentuale dei tipi strani è grande fra gli uomini, ma è grandissima tra i maestri. Nella scuola tecnica di S. Paolo il livello dei maestri era forse superiore alla media. La scuola aveva un buon nome e non a torto: il regime era severo e si esigeva moltissimo, e di anno in anno si stringevano sempre più i freni, specie dacché il potere era passato da Schwannebach a Nikolai Antonovic Kaminskij, un misantropo, insegnante di fisica. Parlando con le persone non le guardava mai in faccia, passava silenzioso colle suole di gomma per gli anditi' e aveva una voce rauca di falsetto che quando l’alzava incuteva spavento. A vederlo, Kaminskij sembrava calmo, ma dentro gli coceva un'irritazione continua. Persino coi migliori scolari viveva in istato di neutralità armata.Kaminskij aveva inventato un suo apparecchio per dimostrare la legge dell’elasticità dei gas di Boyle-Mariotte. Quando compariva quell’apparecchio, si trovavano sempre due o tre scolari che si sussurravano, studiando il tono: «Bello, vero?». Qualcuno si alzava e chiedeva impacciato: «Chi è l’inventore di codesto apparecchio?». Kaminskij rispondeva sbadatamente: «L’ho costruito io». Tutti si guardavano in faccia e i peggiori facevano i sospiri ammirativi più forti.

Un furbacchione dalla barba rossa
Quando Schwannebach dovette cedere il posto a Kaminskij in nome della russizzazione della scuola, Antonio Vassilievic Kryscianovskij, il docente di lettere, diventò ispettore. Era un furbacchione dalla barba rossa, un ex-seminarista, grande amico delle mance, con un’infarinatura appena percettibile di liberalismo, che sapeva velare di finto candore i suoi secondi fini. Nominato ispettore, diventò subito più severo e conservatore. Egli insegnava il russo dalla prima classe in su. Da lui ebbi degli elogi per le mie cognizioni e il mio amore per la lingua. Leggeva in classe i miei compiti e mi dava cinque con lode.

Disgraziato in amore
Il professore di matematica, Jurcenko, era un tipo robusto, flemmatico e sornione, che chiamavamo il Carrettiere. Jurcenko dava del tu a tutti gli scolari, piccoli e grandi, e non era schizzinoso nella scelta dei vocaboli. Per la sua ruvidezza incuteva un certo rispetto, che diminuì quando gli scolari seppero che accettava le mance. Anche gli altri maestri si potevano corrompere in vari modi. Se un esterno non era promosso, lo si metteva a pensione da quel maestro che aveva la massima voce in capitolo. Se lo scolaro era di Odessa, allora prendeva lezioni private dal maestro più pericoloso, pagandolo bene.
Il secondo insegnante di matematica, Slocianskij, era il contrario di Jurcenko: magro, coi baffetti a punta sulla faccia verdognola; con gli occhi torbidi, i movimenti impacciati di chi s’è appena destato, tossiva e sputacchiava per la classe. Si sapeva che era disgraziato in amore, che faceva una vitaccia e beveva. Era un buon matematico, ma si occupava poco degli scolari, dell’insegnamento e della matematica. Qualche anno dopo si squarciò la gola con un rasoio.
Coi due insegnanti di matematica vivevo in armonia, tutti e due mi volevano bene, perché la matematica era il mio forte. Quand’ero nelle ultime classi avevo persino l’intenzione di studiar matematica pura.

Occhiali d'oro sul nasetto piccolo
La storia era insegnata da Ljubimov, un uomo alto, dignitoso, con gli occhiali d’oro sul nasetto piccolo e un bel barbone intorno alla faccia tonda. Ma quando sorrideva, capivamo che quell’aspetto dignitoso era orpello e che in fondo era timido, svogliato, con qualche dissidio interno e il timore continuo che si sapesse o si venisse a sapere qualche cosa di male sul suo conto. Alla storia mi dedicai con interesse crescente, ma confuso. Allargai pian piano la mia cerchia di studi piantando i miseri manuali ufficiali e ricorrendo ai compendi universitari e ai volumoni dello Schlosser. La mia passione per la storia aveva certamente un che di sportivo: imparavo un monte di nomi e particolari inutili, pura zavorra della mente, per mettere in imbarazzo gli insegnanti. Ljubimov non sapeva guidare una classe. Durante le lezioni s’alzava di scatto, lanciando occhiate furibonde, come per afferrare dal bisbiglio qualche parola offensiva. Allora la classe ammutoliva, in agguato. Ljubimov insegnava anche in un ginnasio femminile e anche là si notavano le sue stravaganze. Fini che in un accesso di pazzia s’impiccò ad un’inferriata.

Come una belva
Del maestro di geografia, Sciukovskij, avevamo paura come del diavolo. Egli bocciava gli allievi automaticamente, come una macchina. Durante le lezioni pretendeva un silenzio impossibile. Spesso interrompeva la risposta di uno scolaro e aguzzava gli orecchi come una belva che senta il pericolo. Tutti sapevano cosa volesse dire: bisognava stare immobili, trattenendo magari il respiro. Per quanto mi ricordo, Sciukovskij allentò le briglie un’unica volta: fu, credo, nel suo compleanno. Uno scolaro gli comunicò una notizia quasi privata, cioè non riguardante direttamente la lezione. Sciukovskij lasciò passare. Era un avvenimento. Allora si alzò Wacker, uno striscione, e disse con un sorriso insinuante: «Tutti dicono che Sciukovskij dà dei punti a Ljubimov». Sciukovskij s’inalberò. «Zitto, sieda!» E si senti quel silenzio ch’era possibile soltanto nelle ore di geografia. Wacker si sedette come sotto una mazzata. Tutti gli lanciarono delle occhiate di rimprovero o di disgusto. « Eppure è la verità » mormorò Wacker che non rinunziava alla speranza di toccare il cuore del geografo nemico.

Un tedescone enorme
L’insegnante di tedesco era un tedescone enorme, certo Struve, con un testone grosso e una barba che gli arrivava alla cintola. Il suo corpo pesante, un vaso di bontà, arrancava portato da due piedini quasi infantili. Struve, era una persona onestissima e soffriva al vedere che i suoi scolari non progredivano, e cercava di far capire la ragione. Ad ogni due gli piangeva il cuore (all’uno non arrivava mai) e faceva degli sforzi per non bocciare nessuno. Aveva fatto ammettere alla scuola il nipote della cuoca, il suddetto Wacker, che però si dimostrò privo di talento e senza attrattive. Struve era un po’ comico, ma in compenso simpatico.

Burnand soffriva di stomaco
Insegnava il francese Gustavo Samojlovic Burnand, uno svizzero, secco, dal profilo piatto come uscito da un torchio, dalla chierica in capo, dalle labbra sottili, azzurre, cattive, dal naso aguzzo e con una cicatrice misteriosa sulla fronte in forma di X. Nessuno lo poteva vedere, e v’erano delle buone ragioni. Siccome soffriva di stomaco, masticava continuamente non so che pasticche e vedeva in ogni scolaro un nemico. La cicatrice era argomento di mille ipotesi e supposizioni. Si diceva che da giovane aveva avuto un duello e che il fioretto avversario gli aveva disegnata in fronte quella croce. Dopo un mese circolava un’altra versione. Non era stato un duello, ma un intervento chirurgico, per cui una parte della fronte era stata impiegata per aggiustare il naso. Gli scolari osservarono attentamente il naso del francese e i più arditi affermavano di vederci benissimo la sutura. I meno bollenti erano propensi ad ammettere un incidente durante la sua infanzia: era caduto dalle scale e s’era ferito. Ma questa spiegazione non ebbe fortuna, era troppo prosaica. D’altro canto non era possibile figurarsi Burnand bambino.


Da La mia vita, Trad. di Ervino Pocar, Mondadori editore, 1961 (I^ ed. 1930)
Sottotitoli S.L.L.

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