16.10.15

Rivoluzionari. Erich Mühsam dal cabaret alle barricate (Enzo Di Mauro)

"Rivoluzionari" ( August Sander)
Al centro Erich Mühsam
Nei primi tre decenni del secolo, tra Monaco e Berlino, Erich Mühsam visse come divorato da una febbre. Fu soave e implacabile, un piccolo angelo privo di ali caduto sulla terra a mostrare il miracolo di un far nulla che era un fare tutto, flanerie e immolazione di sé, impegno e scrittura, felicità e disincanto. Fu uno di quegli uomini - come il poeta e traduttore Ferdinand Hardekopf, come Peter Altemberg, Paul Scheerbart, Franz Hessel - amatissimi da Walter Benjamin, che li considerava stemmi indispensabili alla bellezza e alla verità del mondo. Nel caso di Mühsam fu anche e innanzitutto il martirio. Infatti, è col suo carico di sangue, intransigenza libertaria, dispendio e ingenuità che egli giunge fino a noi. Dal cabaret alle barricate (Elèuthera, pp. 220, L. 24.000) è un libro bellissimo e commovente che viene, inoltre, a colmare una mancanza che ci impoveriva di uno sguardo fatale su un periodo decisivo del Novecento. Tradotto e curato da Alessandro Fambrini e Nino Muzzi, esso contiene poesie, saggi, prose, pagine di diario che accompagnano le vicende di un cuore ribelle, marchiate dalle bruciature degli avvenimenti storici e culturali nel punto più caldo di un paesaggio essenziale, irresistibile, pieno di irradiazioni modernissime.
Un testimone descrive Mühsam come «un uomo smilzo, con un barbone incolto, gli occhi penetranti e le mani delicate». Negli anni precedenti allo scoppio del primo grande conflitto mondiale, in un caffè di Monaco, l’amico Frank Wedekind lo ammonì con amore: «Lei cavalca in piedi su due cavalli che corrono in direzioni opposte. Finiranno per smembrarla». Lo scrittore pensava da un lato alla letteratura, al teatro, al cabaret, e dall’altro all’impegno politico, alla passione anarchica, anche - forse - a quella forza di profezia così terribile e inguardabile. Appunto: anarchico, ebreo (si professò sempre ateo, eppure un sentimento messianico nelle pagine e nei discorsi appare come elemento essenziale e risolutivo), omosessuale, fautore di un amore liberato e di una libera maternità, antimilitarista naturale, per lui la poesia coincideva con il mondo e la forza della parola era tale solo nel caso che riuscisse a incarnarsi nella concretezza di una voce, di un corpo votato al naufragio.
In questa antologia le prose più lancinanti sono quelle che sfrigolano con la memoria o con gli affetti: il lungo ricordo della contessa Franziska Reventlow, l’autrice de Il complesso del denaro, «con quella vita così orientata verso il futuro» e il cuore «pieno di nostalgia per un mondo fatto di gente bella e libera»; o il ritratto di Gustav Landauer, amico e maestro; o, ancora, la descrizione del quartiere di Schwabing, Montmartre di Monaco, con i suoi caffè e i cabaret e gli artisti; la simpatia ricambiata per Heinrich Mann. Ma naturalmente impressiona anche altro, come Bohème, un saggio del 1906, nel quale Mühsam ferisce in maniera mortale la borghesia e il filisteismo. Meglio - molto meglio - i ladri e le prostitute.
Intorno al 1905, egli collaborò alla rivista «Die Fackel» di Karl Kraus. Il tono di certe meravigliose considerazioni, una scrittura tesa e asciutta, ce lo ricordano, insieme a un’eticità alta, laica. Non sopportava i gruppi - neppure quelli anarchici - e neanche l’autoritarismo di Erwin Piscator, oltre a non condividerne l’idea di teatro educativo. Per lui, il teatro doveva servire a «infiammare» l’anima del proletariato.
Erich Mühsam torturato dai nazisti
in un disegno di George Grosz
Nel 1910 fu arrestato per la prima volta. Ma il peggio doveva arrivare. Dopo il fallimento della Repubblica Bavarese dei Consigli e il successivo putsch socialdemocratico, Mühsam fu arrestato e condannato a quindici anni di carcere. Era il 1919, fu liberato cinque anni dopo. In carcere vide con lucidità il pericolo fascista in Europa. Quando uscì di prigione gli restavano pochi anni che riempì di azioni, gesti, cose, opere. Fondò la rivista «Fanal» e scrisse due drammi importanti, Judas e Ragion di Stato, un monumento a Sacco e Vanzetti, nel ’28. L’epica nella vita e non sulla carta. Nella notte dell’incendio del Reichstag, nel 33, fu arrestato dai nazisti, trascinato da un carcere all’altro, torturato e seviziato, ridotto a «caricatura del tipo ebreo». Gli spezzarono i pollici perché non riuscisse più a scrivere. Il 10 luglio del 34 l’«ebreo rosso» muore nel lager di Oranienburg.


“alias il manifesto” ritaglio senza data ma 1999

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