11.11.15

Edmondo Peluso. Storia di un fondatore del Pci (Didi Gnocchi)

Edmondo Peluso a Mosca nel 1922
Quello che segue è l'introduzione di un libro dagli indubbi meriti e di cui suggerisco la lettura. Si intitola Odissea Rossa ed ha come sottotitolo La storia dimenticata di uno dei fondatori del Pci. Si tratta di Edmondo Peluso, la cui fisionomia e vicenda umana vengono qui sintetizzate. Il libro ha la forma di un'inchiesta, ma è in sostanza la biografia di un rivoluzionario italiano, prima socialista e poi comunista, presente in luoghi e momenti importanti nella storia del Novecento e morto in Urss, ove aveva scelto di vivere per costruire il socialismo. Fu coinvolto nella purga staliniana del 1938 ed ucciso in Siberia nel 1942, fu totalmente riabilitato come vittima incolpevole di abusi polizieschi e giudiziari dopo il 1956.
La Gnocchi, un tempo giornalista oggi imprenditrice di successo nella comunicazione web, si dichiara di sinistra e non disdegna la bandiera rossa, ma rispetto al comunismo novecentesco sembra allineata con la generalizzata e acritica esecrazione oggi dominante, e dunque usa la storia di Peluso, dalla quale è sinceramente affascinata, per condannare un sistema che, nella sua visione, uccide la libertà, la creatività, il genio.
Se si esce fuori dalla “tesi” e si leggono i documenti che l'autrice cita ampiamente e senza censure, quel che soprattutto emerge è una forte figura umana e intellettuale, degna di un ricordo affettuoso e filiale da parte di chi, pur tenendo conto di tutte le repliche della storia, intende rimanere fedele al proprio ideale di rivoluzione e di comunismo. Nelle lettere di Peluso, nei suoi articoli, nel suo libro Cittadino del mondo, pubblicato solo in russo nell'Urss staliniana (1932), come pure negli atti della sua odissea giudiziaria che l'autrice ha consultato e cita, si possono pertanto trovare molte ragioni di interesse.
Della Gnocchi non ho apprezzato invece un'operazione piuttosto scorretta proprio nella introduzione qui “postata”. Il giudizio durissimo su tutta l'esperienza dell'Urss riportato come citazione e attribuito a Peluso è de relato. Chi riferisce le parole di Peluso è un testimone d'accusa, un delatore interessato ad enfatizzare l'ostilità al regime dell'indagato per provarne la colpevolezza. È assai improbabile che quelle parole rappresentino in maniera esatta il pensiero di Peluso, che, come si può notare dai testi autentici citati dalla stessa Gnocchi nel corso del libro, non risparmia critiche pesantissime al comunismo staliniano, ma senza fare di quell'esperienza una notte in cui tutte le vacche sono nere. (S.L.L.)
Edmondo Peluso a Mosca 1932
È stato il John Reed italiano. Il nostro Che Guevara, per ansia di vedere e di viaggiare. Ha scritto e raccontato come Jack London, di cui è stato amico. Ma non è mai finito sulle magliette, né sui poster. Giace dimenticato, nella Spoon River dei gulag. E stato tutto quello che si ama di un rivoluzionario: ribelle alle regole, amante della libertà, un po’ eccentrico, autodidatta, grande viaggiatore, antimilitarista, spesso in fuga, sempre inseguito dai mandati di cattura, sensibile alle ingiustizie, molto attento allo stile, se c’era da piegarsi, preferiva sopportare le angherie e camminare dritto. E stato l’amico americano, uno dei fondatori del Pci, un compagno stravagante, anche nelle situazioni più drammatiche non volle mai separarsi dal suo amato chimono, un sovversivo che finiva in prigione in tutti i paesi che attraversava, un militante di tutti i movimenti operai. Aveva frequentato le scuole elementari in Spagna, le medie in Usa, un po’ d’università a Heidelberg, in Germania, e un po’ a Zurigo, in Svizzera.
Un cittadino del mondo, cosi si definiva Edmondo Peluso. E cosi intitolò il suo libro.
A Manila, nelle Filippine, scappò dal colera imbarcandosi a tre dollari al giorno come fuochista su una nave americana che faceva rotta per San Francisco. La rivoluzione la fece «on the road», sulle strade del mondo non aspettò mai alle fermate, ma preferì chiedere passaggi, viaggiare scomodo, vedere, capire, scoprire. In America sulla costa del Pacifico era stato un irregolare compagno di bevute e di ideali di Jack London, che si era preso la sua prima sbronza di birra a cinque anni. A Parigi aveva frequentato la figlia di Marx, Laura, e suo marito Paul Lafargue, che si suicidarono un mese dopo avergli spiegato che quando si diventa vecchi è meglio scomparire.
Peluso andava: dove serviva, dove c’era una curva, qualcosa che cambiava. Non era cresciuto nella politica, ma con la politica. Di lui parlò Lenin: prima male, poi bene. A lui s’interessò Togliatti, con l’intento di salvarlo quando fu arrestato dall’Nkvd. Difficile considerare Peluso un organico, ma quando la storia svoltava all’improvviso, quando si tuffava nel pericolo, lui c’era.
Era sempre lì. Amico di chi osava, di chi ci rimetteva la vita, di Rosa Luxemburg, di Karl Liebknecht, di Bebel, di Klara Zetkin, di Karl Kautsky. Edmondo Peluso è stato un comunista strano, un viaggiatore internazionale: tra i pochi, forse l’unico socialista italiano, a sentire il profumo d’Oriente, a capire che la Cina poteva essere vicina, a visitare il paese di Sun Yat-sen, il padre della grande repubblica asiatica, animatore della rivoluzione nazionale cinese. Non solo: era presente a Kienthal nel 1916 alla seconda conferenza dell’Internazionale, e anche alla comune di Canton. Un giramondo, in anni in cui il mondo era difficile girarlo, un uomo dai mille mestieri: impiegato di banca, stampatore, ascensorista, fuochista navale, giornalista, collaboratore di partito. Era stato in Spagna, Francia, Austria, Svizzera, Germania, Cina, Giappone, Usa, Sudamerica, Urss. Nel 1917 si era schierato con la Rivoluzione d’Ottobre, nel 1918 a Berlino aveva aderito alla tragica esperienza spartachista, nel 1920 diede la sua solidarietà alla frazione comunista di Imola, nel 1921, alla fondazione, si iscrisse al Partito comunista d’Italia, nel 1922 a Mosca partecipò con Ravera, Bordiga, Longo, al IV Congresso dell'Internazionale. Correva a combattere i fascismi, convinto che valesse la pena provarci. Fu condannato a morte il 31 gennaio del 1942. E ammazzato con un colpo di pistola alla nuca, nella prigione di Krasnojarsk, in piena Siberia, nello stesso posto dove Lenin era stato confinato dagli zar. Aveva 60 anni, Peluso. Ma negli occhi non aveva più illusioni.
Fu una delle tante vittime dei processi staliniani, ma non fu uno dei tanti. Peluso fu tra i pochissimi, l’unico italiano, a non accettare la logica dei tribunali, a non piegarsi alla denuncia e alla confessione. Si difese con una tattica non ortodossa, da scacchista pazzo. Che non riuscì a salvarlo, ma ne preservò la dignità. Anche se a 60 anni la speranza non c’era più, anche se il buio a mezzogiorno era già arrivato.n c’era più, anche se il buio a mezzogiorno era già arrivato. Lo disse lui stesso, da cittadino del mondo, non annebbiato, che ha il dovere di raccontare le cose come stanno: “In Urss non c’è alcun socialismo, ma esistono degli esperimenti folli, che sbalordiscono tutto il mondo, su un popolo che ha perso il buon senso. Questo appare vicino nel suo risultato finale a un rozzo dispotismo e non al socialismo, che da migliaia di anni vive nei sogni più rosei dell’umanità, ma è presentato al mondo nel modo più deturpato. Il popolo sovietico è circondato da un mare di lacrime, di dolori, di privazioni, di file interminabili per il pane, questo prodotto principale dell’alimentazione, file per un metro di stoffa per coprire le sue nudità e da una fatica veramente da galera, un vero pesante lavoro forzato, insomma su tutti costoro grava il marchio della burocrazia che li opprime appiattendoli tutti allo stesso livello. Non appena avrò la possibilità aprirò gli occhi ai miei compagni”.
Gli occhi li chiusero a lui, invece. Per sempre. E lo gettarono via come spazzatura da dimenticare. Fu riabilitato nel 1956. «Perché il delitto non sussiste». Non era mai stato un nemico del popolo, un cospiratore del comunismo, una spia nemica. Solo uno straordinario, ingenuo e fragile cittadino del mondo, nato a Napoli, emigrato ovunque ci fosse un soffio di libertà, una ventata di mondo nuovo. Non è finito stinto sulle magliette, Peluso. Sta lì sull’orlo della memoria. In bilico.

Odissea rossa. Storia di un fondatore del Pci, Einaudi, 2001

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