14.11.15

Tou, il coltello cinese. Due culture in cucina: trinciare o sminuzzare? (Bee Wilson)


Il poeta con la penna,
l'artista con il pennello,
il cuoco con il coltello

Forse non esiste coltello più versatile, o più essenziale per una cultura gastronomica, del tou cinese. Questa lama meravigliosa viene spesso denominata «mannaia» perché ha la stessa forma squadrata - ad ascia - dell’attrezzo che i macellai usano per tranciare gli ossi. L’uso del tou, tuttavia, è quello di un coltello da cucina polivalente (per una volta, questo aggettivo non è un’esagerazione). Secondo E.N. Anderson, un antropologo specializzato nell’area geografica asiatica, questo utensile incarna il principio del «minimassimo»: trarre il massimo valore dal minimo costo con il minimo sforzo. L’accento è posto sulla frugalità: la migliore cucina cinese fa emergere il massimo potenziale dal minimo numero di strumenti. Il tou risponde a questo requisito. Questo coltello dalla lama grande, scrive Anderson, è utile per:
Spaccare la legna, sfilettare e squamare il pesce, affettare le verdure, tritare la carne, schiacciare l’aglio (con il lato smussato della lama), tagliarsi le unghie, temperare le matite, intagliare nuove bacchette, uccidere i maiali, radersi (viene tenuto sufficientemente affilato, o si suppone che lo sia) e pareggiare conti vecchi e nuovi con i nemici.

A rendere il tou ancora più versatile è il fatto che, a differenza dell’ulu degli inuit, ha contribuito a rendere tale una delle due cucine più importanti del mondo (l’altra è quella francese). Sin dall’antichità, la principale caratteristica della cucina cinese è l’unione dei sapori grazie al taglio sottile degli ingredienti. Il tou ha il merito di aver contribuito a questo scopo. Durante il regno della dinastia Zhou (1045-256 a.C.), quando il ferro fu introdotto in Cina per la prima volta, l’arte della gastronomia raffinata si chiamava k’o’peng, ossia «taglia e cuoci». Si diceva che Confucio (vissuto tra il 551 e il 479 a.C.) si rifiutasse di mangiare la carne tagliata in modo insoddisfacente. Intorno al 200 a.C., i ricettari utilizzavano ormai molte parole diverse per indicare le azioni del taglio e della tritatura, segnalando così una notevole abilità nell’uso dei coltelli (dao gong).
Il classico tou ha una lama lunga da diciotto a ventotto centimetri. Fin qui, dunque, ricorda da vicino un coltello da chef europeo. La differenza più vistosa è la larghezza della lama: circa dieci centimetri, quasi il doppio del punto più largo di un coltello da chef. Il tou, inoltre, non presenta rastremazioni, curvature o restringimenti. È un ingombrante rettangolo di acciaio, ma quando lo si impugna ci si rende conto che è anche sorprendentemente sottile e leggero, molto più maneggevole di una mannaia francese. Richiede inoltre di essere usato in modo diverso da un coltello da chef. In Europa, l’operazione di taglio prevede perlopiù un movimento «a locomotiva» in cui si dondola la lama avanti e indietro, seguendo il gradiente. Per via della struttura piatta, il tou spinge invece a tagliare con un movimento dall’alto verso il basso. Un cuoco cinese produce un suono più intenso e più insistente di un collega francese: una serie di colpi secchi anziché di picchiettii. La rumorosità, tuttavia, non è indice di una tecnica rozza: con quest’unico arnese, i cuochi cinesi producono una gamma di forme molto più ampia di quella consentita dalle molteplici lame della cucina francese (dadini, listarelle eccetera). Un tou è in grado di creare fili di vario spessore (persino più sottili di capelli d’angelo), nonché fette, cubi, strisce e trance, per citare solo alcuni esempi.
Questo utensile geniale non ha un unico inventore o, se ce l’ha, il suo nome è caduto nell’oblio. Il tou - e la gastronomia che ha generato - fu un prodotto delle circostanze. La ghisa, scoperta in Cina intorno al 500 a.C., era più economica da produrre rispetto al bronzo, il che permise di fabbricare grossi coltelli di metallo con manici di legno. Soprattutto, il tou fu il risultato di una frugale cultura contadina: era in grado di ridurre gli ingredienti a pezzi abbastanza piccoli perché i sapori si mescolassero e i frammenti cuocessero in tempi brevissimi, probabilmente sopra un braciere portatile. Questo coltello era un utensile parsimonioso, che sapeva sfruttare al massimo anche la più piccola quantità di combustibile: tagliate ogni cosa a pezzettini, cuocete rapidamente, non sprecate nulla. Dal punto di vista tecnologico è molto più ingegnoso di quanto sembri di primo acchito. Insieme al wok, il tou consente di estrarre il massimo sapore dal minimo indispensabile di energia. Quando si friggono gli alimenti accuratamente sminuzzati, si espone all’olio una superficie più estesa, che diventa così dorata, croccante e appetitosa.
Come ogni tecnologia, il tou ha pregi e difetti: la fatica e l’abilità necessarie alla preparazione degli ingredienti sono compensate da tempi di cottura molto rapidi. Un pollo intero impiega più di un’ora per cuocere in forno; persino un singolo petto può richiedere venti minuti. I pezzi di pollo tagliati con il tou, invece, sono pronti in cinque minuti o anche meno; il tempo risparmiato viene assorbito dall’operazione del taglio (benché, nelle mani giuste, anche questa può essere rapidissima; su YouTube si può vedere lo chef Martin Yan che fa a pezzi un pollo in diciotto secondi). La gastronomia cinese varia molto da una regione all’altra: il pepe di Sichuan, i fagioli neri e i frutti di mare di Canton. Ad accomunare i cuochi di zone lontane sono però la maestria nell’uso del coltello e l’attaccamento a questo attrezzo particolare.
Il tou era ed è tuttora alla base dell’organizzazione della cucina cinese. Ogni pasto deve comprendere il fan - una parola che normalmente significa riso, ma che può designare anche altri cereali oppure i noodles - e lo ts’ai, piatti di verdure e carne. Il tou è un componente più essenziale dei singoli ingredienti del pasto, perché è questo utensile a tagliare il ts’ai e a dargli varie forme. Esiste poi un’ampia gamma di metodi di taglio, con il relativo lessico; prendete una carota: la affetterete verticalmente (qie) o orizzontalmente 8 (pian) Oppure la sminuzzerete (kan)? In questo caso, per quale forma opterete? Fettine (si), cubetti (ding) o frammenti grossolani (kuai)? Qualunque sia la vostra scelta, dovrete rispettarla fino alla fine; un cuoco si giudica dall’accuratezza dei colpi di coltello. Avete mai sentito la famosa storia di Lu Hsu, un prigioniero sotto l’imperatore Ming? Mentre era in cella ricevette una ciotola di stufato, e capì subito che era stata sua madre a portarlo: solo lei sapeva tagliare la carne in quadrati così perfetti.
I tou hanno un aspetto spaventoso. Se maneggiate dalla persona giusta, però, queste lame minacciose sono strumenti delicati e garantiscono la stessa precisione che uno chef francese ottiene con una serie di coltelli specifici. In mani abili, il tou taglia lo zenzero a fettine sottili come pergamene, e riduce le verdure a dadini così piccoli da sembrare uova di pesce volante. Da solo, è in grado di preparare un banchetto completo, permettendo di ricavare scaloppine quasi trasparenti o pezzetti di fagiolini lunghi cinque centimetri e di intagliare i cetrioli per farli somigliare a fiori di loto.
Questo strumento è più di un semplice utensile per la cucina raffinata. In tempi di crisi economica, gli ingredienti costosi si possono tranquillamente omettere, purché la precisione del taglio e gli aromi restino invariati. In Cina, questo coltello creò una straordinaria omogeneità culinaria tra i ceti sociali, a differenza della gastronomia britannica, dove i cibi ricchi e i cibi poveri si distinguevano chiaramente (i ricchi gustavano il roast beef, consumato intorno a una tavola apparecchiata; i poveri si accontentavano di pane e formaggio, mangiandoli con le mani). In Cina, il cuoco povero avrà forse molte meno verdure e carne da cucinare rispetto a un collega ricco, ma tratterà gli ingredienti nello stesso modo. A rendere cinese un pasto è soprattutto la tecnica. Lo chef prende il pesce e la selvaggina, gli ortaggi e la carne, nelle loro varie forme, e li tramuta in bocconi dalla geometria impeccabile.
La principale virtù del tou è la possibilità di evitare l’uso del coltello mentre si mangia. In Cina, infatti, i coltelli da tavola sono considerati superflui e persino un po’ volgari. Tagliare il cibo durante i pasti è un atto brutale. Una volta che il tou ha fatto il suo dovere, i commensali devono solo prendere i pezzi con le bacchette. Tou e bastoncini lavorano in simbiosi: il primo taglia, i secondi portano il cibo alla bocca. Ancora una volta, si tratta di un metodo più frugale del classico approccio francese, in cui, nonostante la laboriosa attività in cucina, sono necessari altri coltelli per gustare la pietanza.
Il tou e i suoi impieghi rappresentano una cultura dei coltelli che si colloca agli antipodi di quella europea (e dunque americana). Quando uno chef cinese utilizzava una sola lama, il suo omologo francese ne usava molte, e con funzioni assai diverse: coltelli da macellaio e disossatori, coltelli da frutta e da pesce. Non era solo una questione di utensili. Il tou incarnò un modo di cucinare e mangiare molto lontano dal cerimonioso stile europeo. C’è un abisso tra un piatto di minuscole fettine di vitello, fritte come si fa nel Sichuan - con sedano e zenzero senza aggiunta di grassi -, condite con pasta di fagioli rossi e accompagnate da vino Shaoxing in un accurato equilibrio di sapori, e una bistecca francese, intera e al sangue, servita con un coltello affilato e con senape a piacere. I due pasti simboleggiano due diverse concezioni del mondo, così come la voragine tra la cultura dello sminuzzare e quella del trinciare.


Da In punta di forchetta, Rizzoli, 2013

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