8.12.15

Da Cirino Pomicino a Renzi. I governanti che danno i numeri (Gabriella Colarusso)

Rievocazione divertita delle cifre à la carte della politica italiana, ma occorre una piccola precisazione. Berlusconi mantenne la promessa sulle pensioni minime a un milione di lire, in tempi molto rapidi. (S.L.L.)
Giulio Tremonti
Non solo l’incauto Poletti. Dai tempi della Dc, il rapporto dei nostri governanti con i numeri ha sempre avuto a che fare più con il lotto che con la scienza. Cifre e tabelle date in pasto all’opinione pubblica a scopi di propaganda, salvo poi essere smentite il giorno dopo, a volte dagli stessi che le avevano diffuse.
Un pioniere del genere fu, nei primi anni Novanta, Paolo Cirino Pomicino, ex ministro del Bilancio del governo Andreotti, protagonista di memorabili conferenze stampa in cui snocciolava numeri ai giornalisti spostando miliardi (di vecchie lire) da un capitolo di bilancio all’altro come fossero noccioline. Nel 1991, smentito da più parti sullo stato di salute delle finanze pubbliche, entrò in conflitto persino con se stesso: nei conti dello Stato c’è un buco di 9 mila miliardi, disse inizialmente. Poi ci ripensò: no, sono 6 mila più 5 mila.
Silvio Berlusconi ne ha raccolto degnamente l’eredità, promettendo di volta in volta riduzioni di imposte miracolose e più soldi per tutti, dall’«innalzamento delle pensioni minime ad almeno un milione di lire al mese» (contratto con gli italiani del 2001) all’ormai mitologico «un milione di posti di lavoro» del 1994, lievitato nella campagna elettorale del 2013 a 4 milioni di nuovi occupati. La stessa tornata elettorale in cui Pier Luigi Bersani si disse pronto a restituire alle imprese «50 miliardi in 5 anni».
Numeri à la carte. Per non parlare della finanza creativa dell’ex ministro Giulio Tremonti, immortalata nelle imitazioni di Corrado Guzzanti. Nell’autunno del 2011, dopo l’estate nera della Borsa e con l’Italia sull’orlo del commissariamento, il tributarista di Sondrio presentò a diversi investitori un piano per valorizzare gli immobili dello Stato da 10 miliardi l'anno. Valore delle partecipazioni del Tesoro in Eni, Enel e Finmeccanica indicato del documento: 17,3 miliardi. Peccato però che i dati di Borsa italiana raccontavano una realtà diversa: il valore di quelle quote, ai prezzi di mercato di quel momento, era di 12,8 miliardi. Meno cinque miliardi. Le cose non sono cambiate con il governo dei professori. Tecnici e bocconiani per non azzeccarne una. Per mesi, nel 2012, non si capì quanti fossero esattamente gli esodati della riforma Fornero: 65 mila aveva detto in un primo momento l'esecutivo Monti, 130 mila per l'Inps, cresciuti poi a 390 mila. Ancora oggi è mistero.
Ma il vero banco del pesce della politica italiana è da sempre la spending review, sul cui altare sono stati immolati fior di economisti consiglieri, da Enrico Bondi a Carlo Cottarelli a Roberto Perotti. Risparmi per 2 punti di Pil, annunciò roboante il governo Letta nel 2013, circa 30 miliardi in tre anni. Se n'è fatto poco o nulla e il caro Carlo se n'è tornato beato al Fmi. Sbarazzatosi di Cottarelli, Renzi ha sacrificato anche il più mite Perotti. Dei 10 miliardi di risparmi promessi in pompa magna dal premier, se ne realizzeranno si e no 6, di cui peraltro 2 sottratti al fondo sanitario. Se son balle, fioriranno.

"paginna99we", 5 dicembre 2015

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