Ronald David Laing nacque
a Glascow nel 1927, morì a Saint Tropez ne 1989. Opere come L'Io
diviso, Nodi, La
politica della famiglia (in
Italia tutte tradotte da Einaudi) ne diffusero la fama e le idee
anticonformiste. Qui riprendo da “Repubblica” il necrologio
firmato da Giovani Jervis. (S.LL.)
La morte, inattesa, di un
uomo che fu amico, e che per le sue caratteristiche di personalità
suscitava in me - come credo in molti altri - simpatia e tenerezza,
subito richiama immagini e ricordi personali, prima che pensieri. Non
so se per sua fortuna, Ronnie Laing fu un uomo affascinante,
sincerissimo e indifeso.
Lo conobbi a Londra nel
1967, ancora molto giovane, bello, vivace, arrabbiato, carismatico,
già noto alla contro-cultura, a volte raffinatamente autocosciente
dei suoi atteggiamenti, anticonformista - ma mai ingenuo - sempre sul
rischio di esser ridotto al rango di un personaggio «alternativo»,
cultural-mondano eppure ogni volta salvato dalla presenza, nelle sue
scelte rischiose, di una sorta di disarmata autenticità, di una
sincerità di tratto che lasciava trasparire nel suo intimo aspetti
fragili.
A quell'epoca egli fu il
principale animatore e organizzatore di un vivacissimo convegno
(«Dialectics of Liberation») cui avevano accettato di
partecipare, e di interagire con una massa di giovani ai vari paesi,
poeti come Alien Ginsberg, vari esploratori della cultura (fra tutti,
Gregory Bateson) filosofi marxisti come Paul Sweezy ed hegeliani
post-marxisti come Herbert Marcuse, leaders neri come Stokely
Carmichael, e molti altri.
Ginsberg suonava un
organetto
Era anche l’epoca della
«sua» comunità «antipsichiatrica» di Kingsley Hall, un luogo
anti-autoritario di ricovero per pazienti psichiatrici gravi, e del
suo tentativo di creare una «antiuniversità di Londra», le cui
lezioni e seminari si tenevano - in quell'estate il tempo fu
miracolosamente bello - sui prati dei parchi londinesi.
Non è un caso se quel
convegno del 1967 covava in realtà mille contraddizioni. Ad esempio,
Marcuse e Sweezy consideravano il marxismo e la rivoluzione con occhi
molto diversi (ma non sempre lo dicevano apertamente), e la
confusione delle lingue a volte era considerevole.
Ricordo che fra tutti si
muoveva Ginsberg, serafico, che suonava un organetto e cantava dei
mantra tibetani molto noiosi, i quali piacevano ai «figli di fiori»
di allora ma irritavano i più politicizzati. Del resto anche gli
psichiatri e antipsichiatri presenti già cominciavano a non andare
affatto d’accordo fra di loro.
Ricordo che Laing cercava
d: mediare, ma la sua stessa personalità non gli facilitava il
compito.
L’antiuniversità di
Londra - come forse si poteva prevedere - non decollò; e se è vero
che negli anni successivi le idee di Laing conobbero un successo
considerevole di pubblico fra i non-specialisti, è anche vero che
furono - mollo spesso – male interpretate.
Lo stesso Laing si
distacco un poco dagli esperimenti «antiistituzionali» in
psichiatria, passò molti mesi a meditare in un monastero buddista,
mitigò talune sue posizioni, esplorò nuove idee, scrisse poesie.
Ebbi occasione di incontrarlo, negli anni, varie volte, e sempre con
piacere.
Ma Ronald Laing non fu
solo uno dei sacri mostri della controcultura degli anni ’60. A
distanza di tempo, alcuni fra i suoi libri (e in particolare il
primo, L’io diviso, del 1959) segnano una tappa nella storia
della psichiatria moderna. Più cauto di molti altri (come ad esempio
David Cooper) egli seppe mantenere una distanza dal rischio della
difesa della sregolatezza e dell’autoemarginazione, e così si
guardò bene dal dire che la malattia mentale non esiste, non coniò
affatto il termine «antipsichiatria» (che è di Cooper) e neppure
ne difese lo slogan, ritenendolo semplificativo, e soprattutto non
sostenne mai che i ricoverati dei manicomi andassero semplicemente
«liberati» cioè in pratica mandati allo sbaraglio nella società.
Al contrario Laing fu sempre, e dichiarata-mente, medico, psichiatra
e psicoanalista.
Uomo generoso e
geniale
I contributi principali
di Laing alla psichiatria sono stati due, uno teorico e uno - per
così dire - politico o politicoculturale. Sul piano teoretico, Laing
ci ha lasciato un contributo importante alla comprensione della
schizofrenia. Il suo approccio combina fra loro in modo originale i
contributi dei fenomenologi, gli studi di Sullivan sulle distorsioni
comunicative, la psicoanalisi moderna, e le ricerche sui sistemi di
comunicazione interpersonale.
Su un piano più
politico-culturale, si può ben dire che Laing ha contribuito più di
chiunque altro nel mondo a sensibilizzare il vasto pubblico, e
soprattutto i giovani, al problema psichiatrico, e in particolare
alla necessità di non considerare il pazzo come un organismo che si
è rotto, ma come una persona sofferente lolto spesso anche
A distanza di anni è
facile rimproverargli taluni errori ed eccessi: sia, ad esempio,
taluni slittamenti mistico-poetici che possono apparire confusionari
agli occhi disincantati dell’ oggi; sia forse anche talune sue
illusioni ottimistiche, da lui espresse negli anni Sessanta, circa la
follia come forma, oltre che di confusione, anche di ricerca
esistenziale.
Resta comunque prevalente
per me, e credo per molti altri, nel ricordo, la gratitudine per aver
incontrato le idee, la passione, la straordinaria complessità - ma
anche la contraddittorietà - di un uomo generoso e geniale.
“La Repubblica”, 25
agosto 1989
Conoscenza di nuovi e geniali punti di vista su un tema così sensibile per tanti individui e tante famiglie, non solo per quanto riguarda la follia patologica, ma anche per quelle fasi di crisi transitorie che si presentano a ogni salto evolutivo. Gratitudine per la forza innovativa, la capacità di ascolto e di comprensione che ha saputo comunicare.
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