2.12.15

Ronald D. Laing: “Non ho mai detto che...". Psichiatria e antipsichiatria

In morte di Ronald Laing, a ragione considerato uno dei padri della cosiddetta “antipsichiatria”, “la Repubblica” pubblicò alcune dichiarazioni che egli aveva rilasciato qualche anno prima a David Cohen per le riviste «Psycologie» e «Psicologia contemporanea», quelle che qui riporto. (S.L.L.)

«La storia della medicina è piena di malattie e sindromi il fatto inesistenti. Non credo che oggi un medico accetterebbe di farsi curare da un collega con i metodi in uso cent’anni fa. Tutti noi inorridiamo a un’idea del genere. Ma facciamo un piccolo pasto indietro; ci piacerebbe essere curati di quella che oggi sappiamo essere anemia con dei salassi, o dell’epilessia e della masturbazione con la castrazione? Questi trattamenti tuttavia erano comuni nel XIX secolo, sia in psichiatria che in medicina. Sono pronto a scommettere che fra cento anni gli psichiatri rabbrividiranno al solo pensiero di usare le terapie che oggi si applicano con tanta arroganza...».

«Non ho mai detto che la società è “malata”. Non vedo come si possa applicare questa definizione ad una società. Posso dire di essere malato se ho l’influenza, ma chiamare malata una società ha senso solo se si parla metaforicamente; in tal caso, però, non va dimenticato che si tratta di una metafora».

«Non ho assolutamente mai detto che un individuo diagnosticato come schizofrenico "sta bene”. E’ ridicolo affermare che tutte le persone riconosciute psicotiche sono sane; ciò è stupido come qualunque altra generalizzazione. Io ho semplicemente sostenuto che noi dichiariamo psicotiche ogni sorta di persone; talvolta gli individui così definiti si trovano in effetti in uno stato tale da sembrare realmente turbati, sconvolti, incapaci di vivere, di agire, di muoversi, di pensare, di compiere le funzioni più elementari. Se valutiamo l’individuo senza tener conto della sua situazione sociale, non possiamo fare a meno di concludere che egli si trova in una condizione di disordine mentale, qualificata come psicotica. Si dimenticano così troppo spesso le ragioni sociali che lo hanno portato fino a questo punto».

«Nella nostra società, i malati di mente sono spogliati di tutti i diritti, perfino di quello di decidere se farsi o meno asportare una parte del cervello. Si può imporre loro qualunque cosa, che lo vogliano o no. Il soggetto dichiarato malato di mente viene affidato agli psichiatri, cioè ai rappresentanti che la società designa perché esercitino pieni poteri sulla vita del paziente».

«L'uomo oggi non possiede altro tempo che quello indicato dalle lancette dell’orologio. Ci si rifiuta di credere a certi fenomeni perché non si dispone dei mezzi per studiarli e per maggiore comodità li si definisce come rivelatori di follia. Ma io sono convinto che non vi sia niente da comprendere. In realtà, la gente non è pronta ad ascoltare persone come me; o meglio, non vuole capire».


“la Repubblica”, 29 Agosto 1989

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