2.12.15

Settembre 1938. La Conferenza di Monaco nei Diari di Galeazzo Ciano

La Conferenza di Monaco è passata alla storia come emblema della debolezza e del cedimento di Francia e Inghilterra di fronte all'espansionismo di Hitler e del suo Reich. In quella occasione l'Italia di Mussolini sembra ormai pienamente allineata con la Germania, senza più le velleità arbitrali del tempo del primo tentativo di annessione dell'Austria. L'attacco all'Etiopia aveva già creato una grave frattura dell'Italia fascista con Francia e Inghilterra, mentre il sostegno congiunto al colpo di Stato di Franco e al suo esercito reazionario nella guerra civile creava tra Hitler e Mussolini un rapporto sempre più stretto. La Conferenza si svolse tra il 28 e il 29 settembre 1938; tra il 29 e il 30 è redatto questo breve resoconto di Ciano, genero del Duce e ministro degli Esteri, pieno di notazioni curiose, che io ho recuperato da “Repubblica”. (S.L.L.)
Monaco 29 settembre 1939 . In prima fila Chamberlain, Daladier, Hitler, Mussolini, Ciano

29-30 SETTEMBRE
In viaggio il Duce è molto di buon umore. Pranziamo insieme e parla con grande vivacità di ogni argomento. Critica duramente la Gran Bretagna e la sua politica. “Quando in un paese si adorano le bestie al punto di far per loro cimiteri, ospedali, case; quando si fanno dei lasciti ai pappagalli è segno che la decadenza è in atto. Del resto, oltre le tante ragioni, ciò dipende anche dalla composizione del popolo inglese. 4 milioni di donne in più. Quattro milioni di insoddisfatte sessualmente, che creano artificialmente una quantità di problemi per eccitare o placare i loro sensi. Non potendo abbracciare un uomo solo, abbracciano l'umanità”.
A Kufstein, incontro col Fuhrer. Saliamo nel suo vagone ove, spiegate su di un tavolo, sono tutte le carte geografiche dei Sudeti e delle fortificazioni occidentali. Egli illustra la situazione: intende liquidare la Cecoslovacchia, quale ora è, poiché gli immobilizza 40 divisioni e gli lega le mani nei confronti della Francia. Quando la Cecoslovacchia, sarà, come conviene, deflazionata, basteranno dodici divisioni per immobilizzarla. Il Duce lo ascolta con raccoglimento. Ormai il programma è preciso: o la Conferenza riesce in breve tempo, o la soluzione avrà luogo con le armi. D'altronde, aggiunge il Fuhrer, verrà una volta in cui uniti dovremo batterci contro Francia e Inghilterra: tanto vale che ciò avvenga finché alla testa dei nostri Paesi siamo il Duce ed io, e ancor giovani e pieni di vigore. Ma tutto ciò sembra superato dall'atmosfera che in realtà si è creata: atmosfera di accordo. Anche il popolo che saluta lungo la ferrovia, lascia comprendere la sua gioia per l'evento che è nell'aria. Dopo breve sosta al palazzo in cui il Duce ed io risiediamo, andiamo alla Fuhrerhaus, ove avrà luogo la riunione. Gli altri sono già arrivati e sono raccolti intorno ad un tavolo, sul quale sono preparati antipasti e bibite. Il Fuhrer ci viene incontro a mezza scala e, con tutto il suo seguito, riserva a noi, italiani, un trattamento di marcata distinzione rispetto agli altri. Brevi, fredde strette di mano con Daladier e Chamberlain, poi il Duce, solo, si avvia in un angolo della sala ove i gerarchi nazisti lo circondano. C'è un vago senso di impaccio, particolarmente da parte dei francesi. Parlo con Daladier, poi con Francois Poncet, di piccole frivole cose. Poi con Chamberlain che mi chiede di farlo parlare col Duce. Lo ringrazia per quanto ha fatto sinora. Ma il Duce, freddo, non approfitta dell'apertura e il colloquio si smorza...
La discussione si svolge regolarmente e senza troppa animazione. Chamberlain si attarda piuttosto su questioni legali, Daladier difende con poca convinzione la causa dei cechi, il Duce preferisce tacere e riassumere, tirando le conclusioni, alla fine delle altrui dissertazioni. Sospendiamo per la colazione che ha luogo nella casa privata del Fuhrer: modesto appartamento, in un palazzo pieno di altri inquilini. Dentro, però, molti quadri di grande pregio. La riunione continua nel pomeriggio e, praticamente, si frammenta in tanti gruppetti che ricercano le formule. Ciò permette di parlare con maggiore confidenza e si rompe il ghiaccio. Daladier, soprattutto, è loquace nella conversazione personale. Dice che quanto oggi avviene è unicamente dovuto alla cocciutaggine di Benes. In questi ultimi mesi, molte volte gli aveva suggerito di dare l' autonomia ai Sudeti. Ciò avrebbe perlomeno ritardato la crisi odierna. Se la prende con i guerrafondai di Francia, i quali avrebbero preteso di spingere il Paese in una guerra assurda e soprattutto impossibile, poiché Francia e Inghilterra non avrebbero mai potuto far niente di veramente utile per la Cecoslovacchia, una volta che questa fosse stata attaccata dalle truppe del Reich. Il Duce, un po' annoiato dall' atmosfera vagamente parlamentaristica, che sempre si crea nelle conferenze, s'aggira per la stanza, con le mani in tasca e un po' distratto. Di tanto in tanto, aiuta nella ricerca di una formula. Nel suo grande spirito, sempre all' avanguardia degli eventi e degli uomini, l' accordo è ormai scontato, e, mentre gli altri ancora si affannano in problemi più o meno formali, a lui quasi non interessa più. È già oltre e medita altre cose... Intanto hanno luogo i colloqui a due. Si accenna anche alla possibilità di un ritardo nella partenza del Duce per permettere un suo incontro con Chamberlain. Ma l'idea è dal Duce scartata poiché pensa che ciò potrebbe urtare la suscettibilità tedesca. Parlo io con Chamberlain e poi il Duce. Più o meno gli diciamo le stesse cose: disinteresse nei confronti della Spagna, prossimo ritiro di 10.000 volontari, buona volontà di mettere presto in vigore il nostro patto del 16 aprile. Chamberlain accenna alla possibilità di una Conferenza a 4 per risolvere il problema spagnolo. Infine, alla 1 del mattino, il documento è completato. Tutti sono soddisfatti, persino i francesi; persino i cechi, secondo quanto mi dice Daladier. Francois Poncet, collazionando il documento, ha un momento di rossore ed esclama: “Voilà comme la France traite les seuls alliés qui lui étaient restés fideles”. Firma, strette di mano, partenza.
In Italia, dal Brennero a Roma, dal Re ai contadini, il Duce riceve accoglienze quali io non avevo mai visto. Egli stesso mi dice che un eguale calore vi fu soltanto la sera della proclamazione dell'Impero. Ribbentrop mi ha consegnato un progetto di alleanza tripartita Italia, Germania, Giappone. Dice che è la cosa più grande del mondo. Sempre iperbolico, Ribbentrop. Credo che lo studieremo con molta calma, e forse, l' accantoneremo per qualche tempo.


“la Repubblica”, 4 agosto 1989 

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