26.2.16

Una via crucis: l'adozione (quasi) impossibile (Lidia Baratta)

Le adozioni in Italia sono in calo costante: quelle nazionali superano di poco il migliaio l’anno, le internazionali negli ultimi cinque anni sono state circa 1.500 in meno. Il maggiore accesso alla procreazione medicalmente assistita, cresciuta fino ad attestarsi intorno alle 15mila gravidanze all’anno, non spiega da sola la curva in discesa. È che il percorso che porta a diventare genitore adottivo è spesso una via crucis. E in tanti preferiscono rinunciare.
La legge prevede che il periodo per effettuare i controlli che portano il tribunale a decidere sull’idoneità dei genitori non debba superare i 120 giorni. Ma la legge è una cosa, la realtà un’altra. E nella realtà i due terzi delle coppie impiegano tra uno e due anni. Si comincia con gli accertamenti medici: prelievi del sangue, test dell’Hiv e della tubercolosi. Poi arrivano le sedute di psicoterapia. «Tre solo per lei, tre solo per lui e poi insieme, per almeno tre o quattro ore», racconta Nilde. Intanto bisogna presentarsi più volte in Questura per le indagini sul casellario giudiziale, e fornire la documentazione sulla situazione reddituale. Alla fine arriva l’ispezione della casa e la compilazione della domanda.
«Dopo la visita a casa», racconta Nilde, «abbiamo aspettato un mese per avere la relazione che i servizi sociali avevano stilato su di noi». Ma attenzione, «non ti viene data una copia: la relazione te la leggono al telefono. E poi te la consegnano in una busta sigillata da portare in tribunale». Finché arriva la decisione finale: idonei. «A questo punto siamo stati inseriti nel registro delle coppie. Ma nessuno ci ha detto quante domande c’erano insieme alla nostra».

Tre anni dopo
Nel frattempo, passano dieci mesi. Mesi nei quali persino i potenziali nonni sono stati interrogati dai servizi sociali. «Ci hanno rivoltati come un calzino», dice Nilde, «ma se questo ti porta all’adozione va bene». E invece in tre anni lei e Giovanni non hanno mai ricevuto una chiamata dal Tribunale per i minorenni. Dopo varie sollecitazioni, è arrivata solo un’email della psicologa che aveva seguito la pratica: «Mi dispiace confermare che nell’adozione nazionale, così come nell’internazionale, sono drasticamente diminuiti gli abbinamenti. Purtroppo la realtà è questa». Punto. Nilde e Giovanni ora non hanno intenzione di rinnovare la domanda di adozione che scadrà a breve. «È stato un duro colpo. Non siamo disposti a ripetere di nuovo il percorso», dicono.
In dieci anni (2004-2014) le domande per l’adozione nazionale sono calate da oltre 13.700 a 9.657. Le sentenze di adozione invece superano di poco il migliaio l’anno. Nel 2014, a fronte di quasi 1.400 minori dichiarati adottabili, le adozioni sono state 1.072. Oltre 300 bambini adottabili, quindi, non sono stati adottati. E solo una coppia su dieci è riuscita ad adottare. Eppure si stima che i bambini fuori famiglia in tutta Italia siano anche più di 35 mila. Si tratta di una stima, perché dati aggiornati non ne esistono. Il Garante per l’infanzia solo a novembre 2015 ha fatto una prima ricerca, censendo 19 mila minori in comunità, ma ha specificato che si tratta di una fotografia incompleta. Da questa cifra mancano i numeri dei ragazzi collocati nelle famiglie affidatarie, che in base al report del ministero delle Politiche sociali del 2010 erano più o meno lo stesso numero di quelli inseriti nelle comunità.
Né si sa in tempo reale quanti siano i bambini dichiarati adottabili. Manca una banca dati nazionale che incroci i dati dei minori e delle coppie disponibili, nonostante siano trascorsi 15 anni da quando avrebbe dovuto essere operativa. Da qui deriva la difficoltà di garantire a ogni bambino adottabile la scelta della famiglia migliore, con conseguenti ritardi negli abbinamenti.

Bambini in comunità
La decisione finale per l’adozione resta nelle mani dei giudici. E i Tribunali per i minorenni (di cui è previsto un accorpamento con i tribunali ordinari nella riforma del processo civile) non sono esenti dai difetti della giustizia italiana. Solo a Milano arrivano ogni anno 3 mila domande, che si sommano a quelle degli anni precedenti. Tra il 2011 e il 2013, a Venezia, sono state addirittura sospese le procedure di adozione per problemi di organico. E il presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna ripete da tempo che «è indispensabile un aumento di personale». Intanto, mentre i servizi sociali aspettano mesi e mesi per avere notizie sul destino dei bambini, i piccoli diventano grandi nelle comunità anziché in famiglia. Il 57% ha tra i 14 e i 17 anni. E più un bambino è grande, più la speranza di un’adozione si allontana.
L’altra opzione a disposizione è l’adozione internazionale. «Tante coppie presentano doppia domanda, ma l’adozione nazionale resta residuale», dice Monica Ravasi, avvocato dell’associazione Italia Adozioni. L’Italia ha una lunga tradizione di adozioni dall’estero, seconda solo agli Stati Uniti. Ma anche qui i numeri sono in discesa. Gli ultimi dati diffusi dalla Commissione per le adozioni internazionali risalgono al 2013 (da due anni non viene pubblicato il report annuale), quando si è registrato un calo del 9 per cento rispetto al 2012, anno che a sua volta aveva subito una diminuzione del 22,8 per cento. Le cifre del Dipartimento per la giustizia minorile parlano di sole 1.969 adozioni di minori stranieri nel 2014. E anche le coppie che fanno domanda sono in discesa: dal 2007 al 2014, sono passate da poco più di 6.800 a poco più di 3.800. «Da una parte il calo si spiega con la crisi economica», dice Ravasi. «Dall’altra molto dipende dalla cultura negativa che si è creata intorno alle adozioni, dovuta alla diffusione di storie difficili».
Il tempo medio tra domanda di adozione e autorizzazione all’ingresso del minore in Italia è di 3,3 anni. Molto dipende dal Paese di provenienza: si va un minimo di 2,8 anni per la Russia a un massimo di cinque anni e mezzo per la Lituania. Ma c’è anche chi ha impiegato sette anni per fare arrivare un bambino dal Brasile.
Dopo il passaggio dal Tribunale per i minorenni, il percorso per l’adozione internazionale prevede l’affidamento della pratica a uno dei 62 enti autorizzati. E qui si comincia a batter cassa. I costi fissi degli enti sono variabili: dai 1.500 euro dell’Associazione bambini Chernobyl ai 3.600 della Cicogna onlus. A questi si aggiungono i costi dei viaggi. Per adottare un bambino in Russia bisogna andare e tornare quattro volte. Per la Bolivia, è necessario trasferirsi lì per due mesi. Per il Brasile tre. Bisogna mettere in contro poi le pratiche burocratiche, la traduzione dei documenti, e le fatture da pagare agli avvocati locali. Il costo finale può variare dai 15 ai 40 mila euro. Tanto che pure le banche hanno creato mutui dedicati alle adozioni internazionali (vedi box). La normativa italiana prevede sì la possibilità di dedurre le spese per l’adozione e il rimborso dal 30 al 50% dei costi sostenuti, ma i soldi tardano ad arrivare. E anche qui c’è da aspettare.
Giovanna è madre adottiva di un bambino vietnamita. Nel 2007 ha presentato doppia domanda, nazionale e internazionale. Dopo un anno ha ottenuto il decreto di idoneità. Di adozione nazionale inutile parlarne. «Dopo tre anni la domanda è scaduta e non l’ho rinnovata», racconta, «nel frattempo l’ente al quale mi ero rivolta mi ha fatto sapere che si era aperta una possibilità per l’internazionale». Dopo due anni di attesa, è volata in Vietnam. E dopo un mese, è tornata in Italia con il suo bambino. Costo totale: 18mila euro.
«Molto dipende dai Paesi», spiega Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all’infanzia (Ciai). «Alcuni Stati, come il Congo e il Kenya, non riuscendo a combattere la tratta dei bambini, hanno preferito bloccare le pratiche». Non solo. «Quello che sta succedendo oggi è che i Paesi di provenienza prima di dare i loro figli all’estero tentano di collocarli in famiglie locali. Così i bambini segnalati sono quelli più avanti con l’età o che hanno problemi di salute. Questo fattore ha influito molto sulla riduzione delle coppie disponibili». Tant’è che, come ha denunciato il Garante per l’infanzia, sono aumentate le “restituzioni” dei bambini. Secondo le ricerche internazionali avviene tra il 10 e il 20% dei casi. «Se una famiglia adottiva non ce la fa», spiega Crestani, «viene affiancata dai servizi sociali. Ma se la situazione non è risolvibile, il bambino viene tolto alla famiglia e inserito in una comunità italiana».

Commissione fantasma
Il calo delle adozioni internazionali però non riguarda solo l’Italia. I Paesi più colpiti sono negli ultimi dieci anni sono stati in Norvegia (-80%), Spagna (-79%) e Francia (-67%). Certo, da noi la Commissione per le adozioni internazionali, presieduta da Silvia Della Monica (che ha ricevuto la delega da Matteo Renzi), non ha aiutato. Da giugno 2014 non si è mai riunita, né ha organizzato incontri con gli enti e con le delegazioni straniere. E nelle adozioni internazionali, tutto si gioca sui rapporti diplomatici tra i Paesi. Non bastano i viaggi lampo come quello che la ministra Maria Elena Boschi fece in Congo nel maggio 2014 per portare in Italia 31 bambini adottati. Tant’è che il 20 gennaio scorso 108 famiglie si sono incatenate davanti alla Camera dei deputati per chiedere una mediazione diplomatica che favorisca l’arrivo dei figli legalmente adottati in Congo. Sul sito del Comitato Genitori Rdc si tiene il conto dell’attesa: a breve saranno 900 giorni.


Pagina 99, 13 febbraio 2016

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