19.3.16

Laudato si'. Il luogocomunismo ecologista del papa argentino (S.L.L.)

L'articolo che segue, scritto in affettuoso dialogo con il mio amico e compagno Fausto Gentili, è stato pubblicato con un altro titolo, sul finire di febbraio, dal mensile folignate “Al Quadrivio” (S.L.L.)

Conoscevo il testo, disponibile in rete, dell'intervento sull'enciclica papale Laudato si' che Fausto Gentili ha svolto, in dialogo con il Vescovo Sigismondi, durante una delle conferenze di formazione organizzate dalla diocesi di Foligno in collaborazione con il Liceo “Marconi”. Ne vedo ora la sintesi su “Al Quadrivio” e un po' mi rammarico che per ragioni di spazio sia saltata la chiusa, una riflessione sincera e appassionata sul mestiere di insegnante oggi, degna della più ampia circolazione; ma sono contento che la pubblicazione sul mensile fondato da Piero Fabbri offra un luogo di confronto, e ne approfitto.
Gentili lamenta che l'enciclica papale sia poco letta, poco discussa e sostanzialmente rimossa dal dibattito politico-culturale. Non gli si può dare torto. Il valutare l'enciclica ecologista alla stregua di un “discorso della domenica” che guarda lontano e alto, ma che poco ha a che vedere con le questioni concrete e stringenti della crisi mondiale e delle tante crisi locali in cui essa si articola, è prassi diffusa nel ceto politico e nel sistema mediatico; ma anche tra la gente di chiesa rischia di passare come l'acqua fresca. Se vale per la contestualizzazione il confronto con la Rerum novarum, si può dire che, allora, l'impegno ad attuarne i contenuti del clero basso e alto fu generale e immediato e fu anche per questo che nel giro di poco tempo nacquero in molte regioni d'Italia e d'Europa leghe contadine, banche cooperative, associazioni operaie in concorrenza con i socialisti; ma stavolta non è così.
Se questo può accadere è anche perché in un “testo a più piani”, in cui si parla di tutto, dall'acqua agli OGM, dalle decisioni politiche al ringraziamento del Signore prima e dopo i pasti, non possono mancare genericità e debolezze. A me debole e scontata pare, ad esempio, la parte descrittiva dell'enciclica, quella che mette in fila le problematiche ambientali in una sorta di luogocomunismo catto-ecologista. E omissivi per opportunismo sono i pochi capitoletti dedicati alle questioni demografiche, in un testo che, mentre polemizza spesso contro l'illusione di risorse illimitate, glissa sull'opposizione cattolica alle politiche e alle pratiche di controllo della natalità.
Gentili soprattutto valorizza l'orgogliosa presa di distanza di Bergoglio dai poteri forti del nostro tempo, che si esprime innanzitutto nel linguaggio chiaro senza perifrasi ed eufemismi, nella visione drammatica dei rischi che corre il mondo (dalle catastrofi alle carestie, dagli esodi biblici alle guerre), nella individuazione dello stretto rapporto tra il degrado ambientale del pianeta, a tutti i livelli, e la crescita delle disuguaglianze, chiamate “inequità”; e - ancora di più - nella denuncia implacabile del dominio universale di una tecnocrazia il cui criterio fondamentale è la massimizzazione dei profitti. Utilizzando una categoria gramsciana Gentili chiama questo “chiamarsi fuori” della Chiesa cattolica “spirito di scissione”. Non si tratta, in assoluto, di novità: il Papa ha ragione nel rivendicare (lo fa in molte parti dell'enciclica) la continuità con il magistero dei suoi predecessori da Leone XIII fino a Benedetto XVI; è vero tuttavia che mai denuncia era stata sviluppata con tanta organicità ed efficacia.
C'è tuttavia una questione, tutt'altro che secondaria, su cui Gentili prende le distanze dal testo di Francesco. Fin dalla premessa il papa aveva sottolineato l'idea, già sostenuta dal suo immediato predecessore, che le ferite dell'ambiente naturale e dell'ambiente sociale hanno alla base il medesimo male cioè “l'idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti”. Questa affermazione è alla base del capitolo che è cuore dell'enciclica dal titolo La radice umana della crisi ecologica: la globalizzazione del “paradigma tecnocratico è vista come conseguenza dell'“antropocentrismo deviato” tipico della modernità. Il bersaglio resta l'Illuminismo che conterrebbe già nelle sue premesse, il rifiuto del dogma e l'affermazione dell'autonomia della ragione umana, le sue degenerazioni tecnicistiche e il delirio di onnipotenza. Gentili ricorda la più significativa denuncia “laica” novecentesca di queste derive dell'Illuminismo, la Dialettica dell'Illuminismo di Horkheimer e Adorno; io mi sarei rivolto a Leopardi. Ma la riconquista laica del senso del limite non porta Gentili a subire passivamente l'egemonia del dogmatismo cattolico, che egli chiama eufemisticamente “pensiero forte”, lo spinge piuttosto a valorizzare quel “relativismo” che il papa respinge, a rivendicare per esso una dignità almeno pari a quella che ha l'“assolutismo” per i credenti nel dogma.
Ho lasciato per ultimo il problema del significato politico dell'enciclica e del suo target.
A chi è rivolta la Laudato si' e con quale scopo? Bergoglio esplicitamente si ispira alla Pacem in terris di Giovanni XXIII e, oltre che ai cristiani e ai fedeli delle religioni, si rivolge a “tutti gli uomini di buona volontà” come quel papa aveva fatto. Roncalli vedeva come il moto di liberazione iniziato con la Rivoluzione russa del 17, al di là delle degenerazioni della stessa Urss, aveva innescato movimenti di liberazione: l'aspirazione a un qualche “socialismo” sembrava accompagnare l'emancipazione dei paesi coloniali e semicoloniali del mondo sottosviluppato e pareva rafforzarsi anche nei luoghi alti dello sviluppo; per non tagliare fuori la sua Chiesa non si limitò a predicare pace, ma la dichiarò inscindibilmente legata alla “giustizia” e aprì il dialogo con i comunisti e i marxisti, distinguendo l'errore dall'errante e prospettando forme di collaborazione.
I credenti a cui con l'enciclica l'attuale papa si rivolge sono soprattutto quei cattolici, chierici e laici, che dal magistero giovanneo e dalla Pacem in terris trassero una spinta all'impegno sociale e politico, talora esplicitando obiettivi politici di liberazione socialista: tutta quella galassia di movimenti ecclesiali pienamente integrati nella chiesa, ai margini di essa, o in dissenso dalla gerarchia che va dei teologi della liberazione latino-americani ai preti italiani vicini alle sinistre. Il papa argentino ha visto questa parte della sua chiesa in prima fila nei movimenti di inizio millennio contro la globalizzazione neoliberista, ora la vuole con sé, come truppa d'assalto, nel tentativo di riformare la Chiesa cattolica e di rafforzarne il ruolo intestandole la rappresentanza dei poveri e degli oppressi. D'altra parte, se un tempo erano i comunisti a cercare nel mondo cattolico “indipendenti di sinistra”, oggi sono i cattolici di Bergoglio a offrire anche una sponda agli orfani del comunismo, a cercare tra di loro “compagni di strada” e collaboratori: è a loro come ai militanti laici del No global, che si rivolge l'enciclica.
Non è perciò casuale che Gentili, che ha un passato limpido di militante e dirigente della sinistra, venga invitato a un progetto di formazione che la Diocesi organizza in collaborazione con un liceo statale. Rientra nella stessa politica il fatto che il cardinale Ravasi con il Consiglio Pontificio della Cultura, organizzi il “Cortile dei gentili”, sede di dialogo tra credenti e non credenti e che annualmente inviti ad Assisi figure di rilievo della sinistra laica. Ogni tanto qualcuno di loro (lo fece Bertinotti, per esempio) dichiara che i credenti avrebbero “una marcia in più”. Si dovrebbe dire l'esatto contrario: che i cattolici, con il loro dogmatismo, i loro preti, la gerarchia che si rigenera per cooptazione, con le loro infallibilità, “hanno un freno in più” nelle battaglie di liberazione e distinguere noi, laici di sinistra, l'errore del cattolicesimo dall'errante cattolico. Quanto al nostro amico e compagno Fausto Gentili ha forse usato (scusate il bisticcio) qualche gentilezza di troppo con gli “erranti” con cui dialogava, ma è tuttavia riuscito a tenere il punto, a non vendere l'anima. Con i tempi che corrono è già tanto.

Da "Al Quadrivio", Anno 4, n.19, Foligno febbraio 2016

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