13.3.16

Neuropsichiatria poetica. Musil, Proust e le scienze (Franco Voltaggio)

Robert Musil
Pregiudizi duri a morire ci dicono che scienza, letteratura e teatro costituiscono tre regni i cui principi, scienziati, letterati e attori, sono costantemente in conflitto tra loro, giacché le tre verità, scientifica, letteraria e teatrale, che delimitano la rispettiva estensione dei tre antichi domini conoscitivi del genere umano, sarebbero l'una all'altra irriducibili.
Solo che, per l'appunto, si tratta di pregiudizi, ossia di giudizi che pretendono di aver già acquisito una conoscenza che, per nulla raggiunta, potrebbe tuttavia esserlo qualora i tre regni, accettando quanto meno il principio della sovranità limitata, sarebbero disposti a riconoscere che la sola «verità vera» è affidata a un semplice enunciato: «nessuno conosce la verità vera», le parole con le quali Anton Cecov, medico e drammaturgo, concludendo Il duello, ci lascia intendere che quel poco di cui possiamo essere certi - e asserire di non essere certi di nulla è già avere una certezza - può essere ottenuto attraverso compromessi e conciliazioni contaminando saperi apparentemente lontani.
Naturalmente uno dei tre regni deve pur fare il primo gesto di buona volontà. Deputato a farlo è il teatro, se non altro perché, in passato, lo ha già fatto. Prendiamo due giovani, Romeo e Giulietta, che si amano. Si presentano in scena e recitano il loro amore. Le parole che si scambiano rinviano non al lessico del discorso quotidiano, ma alla tradizione letteraria dell'epoca e la loro passione, che si fa sempre più infuocata, si esprime con lemmi che sono quelli propri della fisiologia e della medicina coeve. A modo loro i due innamorati veronesi, sul filo di quello straordinario suggeritore che è Shakespeare, sciorinano davanti agli spettatori un tessuto fatto di conoscenze diverse in stato di feconda collusione.
Ora, se la magia del teatro è sino a questo punto efficace, si comprende la legittimità della sfida conoscitiva affrontata dai responsabili di due fondazioni romane, Musica per Roma e Sigma-tau, nell'ambito di L'arsenale di Galileo - Incontri con la scienza: stasera a Roma, Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Lino Guanciale e Elisabetta Piccolomini leggeranno pagine, da opere di Marcel Proust e Robert Musil, che denunciano in modo inequivoco il possesso, da parte dei due grandi scrittori, di una sicura nozione della biologia, fisiologia e psicopatologia del loro tempo.
Ma perché Proust, perché Musil? Gli anni di fine secolo, come quelli precedenti la prima guerra mondiale, non erano forse affollati di scrittori che dicevano di essersi ispirati a contenuti medici e biologici accreditati? Zola non aveva forse letto con profitto
L'introduction à la médecine expérimentale (1865) di Claude Bernard? Crediamo che una possibile risposta sia la seguente. A modo loro, Proust e Musil misero a punto una strategia narrativa, che, per il rigore delle prove e dell'argomentazione, ha tutto il diritto di presentarsi come un esperimento scientifico, in cui i dati quantitativi dello sperimentalismo sono sostituiti dalle qualità, di quelli non meno costanti, delle emozioni e dei sentimenti. Si proposero, in definitiva, come scienziati del cuore umano. Il primo, con la Recherche, compì il tentativo di condurre una ricerca esaustiva sulla coscienza, facendo del tempo il crogiolo in cui essa si forma mescolando, come avrebbe detto più tardi Eliot, «ricordo e desiderio». Il secondo, coltissimo allievo di Mach e, in particolare, del Mach dell'Analisi delle sensazioni (1900), cercò nell'Uomo senza qualità di ricostruire, in un'analisi puntigliosa, il dramma dei personaggi del romanzo, ivi compreso il mitico regno di «Cacania» (l'impero asburgico al tramonto), immersi nella follia senza scampo dell'autodistruzione. Una follia, va detto, che permette di risalire alla condotta mentale «normale», come allora andavano sostenendo le indagini psicologiche e psichiatriche più innovative.
Leggendo in anteprima i brani scelti da Sandro Modeo, scopriamo un Proust, attento lettore di Darwin e buon conoscitore della neurofisiologia che, tra l'altro, ci fa comprendere come ognuno di noi rappresenti, falsificandolo, il proprio rapporto con il tempo, alterando fisionomie di volti conosciuti e di sentimenti da essi ispirati. Questa falsificazione è una vera e propria «menzogna adattativa», come dice Modeo, che ricorda da vicino le osservazioni del primo e secondo evoluzionismo dalle quali si evince che ogni animale, uomo compreso, ricorda per sopravvivere solo, come si direbbe volgarmente, «quello che gli fa comodo», anche a costo di deformare la realtà, salvo poi a ricomporla in un disegno che è esso stesso ispirato dalla finalità dell'adattamento. Quanto a Musil, abbiamo letto, in un luogo tratto dai frammenti e abbozzi del grande romanzo, la descrizione di un gruppo di psicopatiche in un manicomio che ci rivela come, sia pure nell'aura confusa e indistinta del disordine mentale grave, la comunicazione tra i soggetti resti, sì che in un certo senso permane la «normalità», tanto da far dire a Musil che «in fondo chiunque può essere considerato come un campione in scala ridotta di malato mentale».


il manifesto”, 29 settembre 2006

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