6.4.16

Un computer per Lucia. Le parole preferite dall’autore dei “Promessi Sposi” (Giorgio De Rienzo)

Nel 1985 uscirono le Concordanze dei "Promessi Sposi, cinque volumi editi dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori che furono uno dei primi esempi di applicazione dell'informatica all'analisi letteraria. Il professor Giorgio De Rienzo, che guidò la ricerca, ne illustrò così le caratteristiche ai lettori di «Repubblica». (S.L.L.)

Le parole dei Promessi sposi sono più di 223 mila. Tutte queste parole sono state catalogate dal computer, ciascuna con il proprio contesto e con la propria classificazione grammaticale, sotto la voce principale: il maschile singolare per aggettivi e sostantivi; l’infinito per le forme ver bali. Ecco dunque, in un disco largo poco più di trenta centimetri, gli 8950 vocaboli usati da Manzoni, registrati in sequenza alfabetica, da «abate», che apre la fila, a «zuffo» (ciuffo), che la chiude.
Da questo disco verranno cinquemila pagine a stampa, raccolte in cinque volumi, che saranno pubblicati, nel prossimo autunno, dalla Fondazione Mondadori, grazie al finanziamento del Banco del Monte di Milano. La pubblicazione di queste Concordanze è il primo risultato di una ricerca da me diretta, alla quale ha collaborato un’équipe di sedici specialisti. Una ricerca che è durata sei anni, effettuata, senza finanziamenti pubblici, presso il «Centro di Studi Franco Falletti» di Vercelli, fondato e animato da Egidio Del Boca.
Lo studio è stato eseguito dal computer, attraverso l’elaborazione di ventisei programmi, per oltre 40 mila istruzioni: l’elaboratore ha eseguito, per ottenere la stampa delle sole Concordanze, 192 mila operazioni semplici al secondo, per un arco di circa 24 ore. Ci sono due modi immediati di leggere questi risultati. Il primo è quello di misurare quantitativamente la ricchezza lessicale di un autore; l’altro è quello di individuarne la qualità. Il primo risultato, allora, di una lettura al computer dei Promessi sposi può apparire deludente: il vocabolario manzoniano, infatti, non appare molto ricco.

Poco” e “bene”
Le parole usate una volta soltanto non raggiungono neppure il 38 per cento del totale; quasi tutto il dizionario di Manzoni si esaurisce all’interno dei primi dieci capitoli. Ciò accade perché è rigida la norma linguistica del romanzo: le parole sono usate per quello che significano «propriamente». L’invenzione linguistica non è la caratteristica dello scrivere di Manzoni: il suo stile si affida molto più alla sola sintassi. E di questo dà prova lo stesso resoconto elettronico, registrando varianti continue, e talvolta stravaganze sintattiche.
Fin qui il computer rimane nel suo campo preferito: fa sfoggio di enigmi statistici, che affascinano molto, ma dicono poco di nuovo; o meglio spiegano con gran pompa di grafici complicati, di colonne fitte di numeri, ciò che a naso s’intuisce assai prima. E qualcosa di simile accade, se si resta alla legge dei grandi numeri, delle alte ricorrenze di parola. I vocaboli di maggiore frequenza dei Promessi sposi risultano «Casa» e «Parola» fra i sostantivi; «Grande» e «Buono» tra gli aggettivi; «Bene» e «Poco» tra gli avverbi. Gli aggettivi e gli avverbi di più alta ricorrenza rispecchiano con lampante ovvietà il clima morale del romanzo; mentre i due sostantivi ci riportano a nuclei tematici assai noti.
Gli esercizi elettronici che fanno più spettacolo rischiano dunque di risultare superflui; confermando impressioni di lettura già espresse, rendono comunque credibile il computer. Il calcolatore elettronico tuttavia serve anche ad altro, diventa davvero efficace per i dati che offre sui piccoli numeri. La lettura di un testo, quando è fatta da un uomo, è sempre una lettura emotiva; diventa un modo di leggere che porta a sognare parole che non esistono, ma insieme a cancellare ciò che Invece può essere evidente.
La lettura elettronica, al contrario, fredda ma esatta, segnala — senza alcuna emozione — ogni minimo particolare che significhi o meno qualcosa. E ciò accade tanto più, quanto più complessa è la struttura di un testo, quanto più accanita, ragionata, calcolata ne è stata la scrittura.

Quel birbone senza artigli
Il cervello elettronico va istruito con infinita pazienza: deve apprendere la grafia, la grammatica, la sintassi di un testo, con le loro continue varianti, coli le loro eccezioni; e poi ancora il discorso diretto e indiretto, 1 possibili accoppiamenti di parola, i sinonimi e i contrari, 1 limiti dei diversi campi semantici entro cui vanno e vengono i vocaboli. Se le regole sono state rispettate a dovere, la lettura del computer, riportando ai precisi contesti, può promuovere avventure infinite di confronti e contrasti, può portare a scoprire incontri verbali di nonsense, oppure inconsuete associazioni di parola, che rivelano protezioni o condanne d’autore, può svelare qualche lapsus assai strano.
Ci sono, per esempio, molti «galantuomini» nel romanzo, pochi invece sono i «brav’uomini»: fra di essi, comunque, a sorpresa, compare don Rodrigo, proprio quando si parla della sua «scellerata» passione per Lucia. Quest’errore di misura espressiva rende salva la fanciulla (prediletta dall’autore) dalla «turpe» persecuzione di quell’uomo. Don Rodrigo è un «birbone» senza artigli, complessato, evirato nella propria cattiveria: anche i «santi» tuttavia hanno i loro difetti segreti. Nel capitolo V, fra Cristoforo arriva molto ansioso alla casa di Lucia e ne ascolta il resoconto sull’oltraggio di don Rodrigo. La fanciulla rivolge una domanda al plurale: «Non ci abbandonerà padre?». Renzo e Agnese sono lì, presenti, «tutt’orecchi». Fra Cristoforo incurante parla invece, non è dato sapere perché, al singolare. «Con che faccia», risponde, «potrei io chieder a Dio qualcosa per me, quando v'avessi abbandonata». Abbandonata, dice proprio, non abbandonati, cancellando d’un colpo Renzo e Agnese.
Sono questi due esempi soltanto delle infinite paroline segrete d’un testo. Poi ci sono i passaggi più complessi. Nel capitolo primo la parola con maggiore frequenza è «due»: questo «due» fa coppia costante con don Abbondio, diventa la misura espressiva del curato, lo qualifica come l’uomo del dubbio e insieme della scelta forzata, lo umanizza tanto più nella propria paura. La lettura pedante del computer procura infinite emozioni, può portare a piccole o grandi scoperte. Insegna tuttavia una cosa più importante di tutte: a restare dentro il testo, a seguirne fino in fondo le regole, senza imporne di diverse.


“la Repubblica”, 27 giugno 1985

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