11.5.16

Amor di madre è anche vendetta (Vincenzo Consolo)

Giuseppe Lombardo, trent'anni, è un manovale oriundo di Licata (Agrigento), da anni emigrato a Köln, in Germania, dove si è sposato con una ragazza tedesca dalla quale ha avuto tre figli.
La sera del 3 febbraio di quest'anno, Domenico Cassaro, diciotto anni, contadino, in via Palma, a Licata, investe incidentalmente col suo motorino, provocandone la morte, Giuseppa Bosco, cinquantanni, madre del manovale Giuseppe Lombardo. Il 23 maggio scorso, il Lombardo torna dalla Germania in Sicilia a bordo di una veloce macchina, va nelle campagne di Licata, in contrada S. Oliva, dove lavora il contadino Cassaro assieme ai fratelli, si apposta dietro una siepe e, venutogli a tiro, con sei colpi di pistola uccide il ragazzo.
La vendetta è compiuta. Per amore di madre. Per il dolore della perdita della madre.
Non sono bastati, al manovale Lombardo, gli anni passati in Germania, in quel duro mondo industriale, non sono bastati la moglie tedesca e i tre figli a trasformare il suo vecchio e oscuro cuore contadino, mediterraneo, stipato di feroci, maligni sentimenti, a dare ragione alla sua mente, a fargli capire che innocente era sua madre e innocente il ragazzo sopra il motorino, che, in ogni caso, per ridare giustizia a chiunque colpito da ingiustizia, nella società, c'è un organo istituito, che morte contro morte, infine, non è giustizia, ma primordiale, barbarica vendetta.
Ma si tratta della madre, della madre...
Dominique Femandez, in quel suo libro dal titolo Mère méditerranée, fa partire da Napoli verso il Sud il "morbo" della madre mediterranea, e il punto d'inizio è simboleggiato da quell'antro-utero della Sibilla di Cuma: "Ecco uno dei capisaldi della mitologia materna... Qui capisco che cosa sia, per ognuno di noi, una madre: i benefici, i favori, le generosità che ce ne vengono hanno un'importanza tanto vitale solo perché, per ottenerli, bisogna sfidare il pericolo d'essere inghiottiti da un rovesciamento inopinato di tenerezza, da una manducazione amorosa squisita ma fatale".
Il manovale Lombardo è stato inghiottito dentro quell'antro.
Ma è che la linea del morbo materno, come la linea del caffè ristretto o la linea della mafia, non passa più da Napoli, si è spostata al Nord, fino a Milano, fino a Venezia. Al Nord, è vero, per quel morbo forse non si spara, ma si fanno tante altre cose assurde, come quella di scrivere romanzi. Ci siamo appena imbattuti almeno in due, freschi di stampa e subito di gran successo, che corrono veloci alla conquista di uno dei tanti premi letterari patrocinati da industriali che amano la mamma e la poesia. Dice, dell'uno, il risvolto di copertina, che l'autore approda, per trasfigurazione d'amore, a un sentimento di immortalità che trova il suo simbolo in un altare di rame (aes perenne) che il marito ha eretto alla moglie morta. A questo, di rame, corrisponde un altare di parole (os perenne) che le erige il figlio. Dell'altro, che al narratore-bambino la madre-fata, morta anche lei, riappare sulla tomba dopo la sepoltura...
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Vittorini irrompeva nella letteratura italiana anche con quella sua idea democratica della smitizzazione della madre, la quale era chiamata, in Conversazione, vecchia vacca, benedetta vacca.
Oggi, poi, le donne non si battono per altro che per essere donne, non madri, non monumenti, non ombre. Ma la vita, oggi, va in un verso e la letteratura "letteraria", quella delle streghe e dei campielli, in un altro, verso il vecchio, oscuro cuore del manovale Lombardo.


"La Stampa", 11 giugno 1978

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