11.5.16

Palermo: i comici e lo scantinato. I ricordi teatrali di Salvo Licata

Certe volte, quando passo da via XX Settembre 40, provo ancora, anche se sono passati più di trent'anni, un certo imbarazzo. Mi veniva di dire "vergogna", ma vergogna forse è troppo. Nel seminterrato di quel palazzo liberty, nell'inverno del 66, nacque il primo cabaret palermitano, "I Travaglini", ed io ne fui, senza alcun vanto, il responsabile. Quel piccolo covo umido avrebbe attratto molti giovani, nel tempo alcune decine, verso un lavoro del tutto illusorio nella vuota periferia che era Palermo, distogliendoli da sani mestieri. Questa sorta di "maniera" palermitana di far ridere, di inventare nuovi comici, nacque lì.
Il primo in assoluto fu Li Bassi, a cui affidai il "tipo" del Giuseppe Schiera. Erano autentiche filastrocche antifasciste del poeta randagio, morto nel ' 43, che io stesso avevo raccolte con l'aiuto del fotografo Nicola Scafidi e del giornalista Gianni Daniele, ed altre, che imitavano la "voce" di Schiera, "imbrogliata" da me. I Travaglini ebbero un immediato successo, proprio per il numero che faceva Li Bassi e questo successo provocò molti squilibri, non ancora risolti, anzi aggravatisi nel tempo.
Io avevo una vaga idea del cabaret tedesco degli anni Trenta. Avevo letto qualcosa della formazione di Bertolt Brecht nelle cantine di Monaco di Baviera e della "Taverna dei dodici boia", il più famoso di questi locali. Ma era una conoscenza letteraria. Il primo cabaret vero lo vidi in quegli anni a Roma, il Bagaglino, e solo perché ci recitava Pino Caruso. Era una satira politica da destra: la parodia di "Bella ciao" era "Bella miao". Caruso, che la pensava in tutt'altro modo, per vivere doveva abbozzare. Anche se irritato da certe battute fasciste, la formula mi divertiva. E pensai che si poteva fare anche qui, da sinistra.
Limitandomi all' essenziale, la compagnia fu formata da alcuni bravissimi attori che venivano dal teatro Garibaldi di Angelo Musco junior, ormai chiuso per difficoltà economiche. Questi attori "furono" Luisa Di Giovanni, Enzo Fontana e Piergiorgio Siino (solo un anno dopo sarebbe venuto Burruano). Le musiche ce le scriveva e le eseguiva Ignazio Garsia. Era, questa, una base professionale di tutto rispetto.
Ma le risate erano solo con Li Bassi, che non aveva mai fatto prima di allora l'attore. Come ambiente di teatro, aveva frequentato il botteghino del teatro Biondo, dove faceva dei turni in sostituzione del botteghinista titolare. In casa di amici comuni, mi accorsi che raccontava con una dolcezza surreale e con rara efficacia le avventure di un tipo strambo del suo rione, di nome Sulinu, uno che parlava con i cavalli delle carrozzelle da nolo. Mi venne in testa che poteva essere lui il Giuseppe Schiera. Nelle prove, prima del debutto, Giorgio era timido, preoccupato della professionalità, dizione, eccetera. Per vincere la timidezza, prima delle prove andava in una bettola della stessa via XX Settembre e si beveva un quarto di litro di marsala all'uovo. Dopo il debutto, fu costretto a munirsi di un carnet, un quadernetto dove si segnava gli inviti del dopoteatro da parte delle famiglie più in vista della città, nobili e borghesi. Già allora io ebbi qualche dubbio sulla funzione del nostro cabaret comunista.
Adesso, come nei romanzi d'appendice, bisogna fare un passo indietro: dieci anni prima. Appunto nella seconda metà degli anni Cinquanta il cosiddetto "teatro della signora De Blasi", ossia il Piccolo Teatro, il primo con questo nome, situato in via Emerico Amari, a pochi passi da piazza Politeama, inserì nel suo cartellone "ingessato" il testo di due giovani, anzi giovanissimi intellettuali palermitani, Roberto Ciuni e Vittorio Fagone, due che avrebbero poi fatto molta strada. Il testo, che riecheggiava gli "arrabbiati" inglesi, era Non gridare, Giuseppe!. Prima di loro a Palermo nessuno aveva osato tanto. La singolarità di quel Piccolo Teatro era la sua posizione aerea. Era alloggiato all'altezza di un normale secondo piano, accanto alla cupola del cine-teatro Nazionale, di cui all'origine era stato il salone delle feste. In questo teatro mosse i suoi primi passi non solo Pino Caruso, ma perfino Enrico Maria Salerno. Uno dei direttori fu nientemeno Vincenzo Tieri, padre di Aroldo. Che facessero il testo di due giovani concittadini era un segno "rivoluzionario" dei tempi. Non so perfettamente come andò, ma quando la signora De Blasi, per stanchezza o per motivi di salute, si ritirò dall'impresa, il Piccolo Teatro chiuse. La sala fu rilevata dopo qualche anno (e siamo all'inizio degli anni Sessanta) dal Cut, Centro universitario teatrale, il teatro dell' Università, che da quella amministrazione dipendeva. In questo teatro operarono Paolo Ursi, Antonio Marsala, Gabriello Montemagno e, tra tantissimi altri, anche il sottoscritto. Fu il primo teatro a Palermo, e uno dei primi in Italia, a fare i testi di Ionesco e di Beckett. Su suggerimento dell' allora ventenne scenografo Pidgy Maravigna, il teatro fu ribattezzato "dei 172", perché contava quel numero di poltroncine. Nel 62 Roberto Ciuni, diventato intanto firma di punta del giornale "L'Ora", scrisse una nota entusiastica in prima pagina, intitolata Quelli dei 172. In questo teatro Michele Perriera avrebbe in quegli anni incominciato la sua importantissima esperienza come autore e regista.
E adesso ancora una pausa e un salto di tempo. La notte del 16 marzo 1964, un lunedì, bruciò il Bellini, sede del primo vero teatro stabile di Palermo, diretto da Franco Parenti, alla sua prima stagione, una stagione di grande qualità (ricordo il Don Giovanni riscritto da Bertolt Brecht e diretto da Benno Besson). Quel lunedì vi recitavano dei giovani alle prime armi, i "Draghi", che avevano piazzato malaccortamente un padellone con una lampada da duemila, tipo pescivendoli della Vucciria, vicino al sipario. La colpa non fu dei ragazzi, accertato, ma di chi gli aprì il teatro senza adeguato servizio di vigilanza. Da quell'incendio nacque la parte più cospicua del teatro palermitano. Il perché è presto detto. Superato lo shock per l'incendio (ma non le conseguenze che durano tuttora), Nino Drago, presidente e regista e prim'attore dei "Draghi", si gettò con inaspettata furia sul repertorio siciliano di scuola catanese (Martoglio e martogliani) e allevò una generazione di comici, da Gigi Burruano a Giacomo Civiletti, che sono stati e sono il riferimento di tanti altri comici panormiti.
Come si saldano le parti di questo racconto? Si saldano attraverso i miei personali ricordi, avendo io fatto parte "dei 172", dei "Draghi" del "dopo incendio" e avendo poi aperto i "Travaglini".


“la Repubblica”, 19 maggio 2010 da Teatro popolare a Palermo (a cura di A. Guardione), Città di Palermo, 1998  

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