7.5.16

Referendum o plebiscito? Per la sinistra non è mai troppo tardi (S.L.L.)

Il plebiscito del 1929
Alla fine quel che resta del polo berlusconico (con l'eccezione, forse, della Lega) darà indicazioni per il sì al referendum costituzionale, per ridurre la portata della vittoria renziana, ma servirà a poco. E non sarà una campagna allo spasimo neanche quella dei grillisti, che manterranno un tono pacato: non ci saranno né nuotate né voli aerostatici né proteste clamorose, non vedremo il comico riempire le piazze gridando al colpo di stato. Il movimento spera che il combinato disposto tra il possibile aggravarsi della crisi e il nuovo sistema politico-elettorale possa consegnargli il potere in nome dell'onestà. All'uopo stanno preparando il lubrico Di Maio che, mentre si incontra con la Trilateral, accentua la soavità comunicativa.
E' inutile scandalizzarsi: il voto su una riforma i cui effetti principali risiedono nella personalizzazione del potere diventa inevitabilmente voto di fiducia sulla persona che la propone. Il modello, "si parva licet componere magnis", è De Gaulle e, prima ancora, i due Bonaparte. Il rottamatore toscano, ovviamente, tenterà di cogliere subito i frutti della rottamazione costituzionale; non lascerà agli avversari la possibilità di logorarlo. Dunque "finanziaria elettorale" e - subito dopo - il voto, all'inizio della primavera, con il Pd totalmente renzizzato o con un rassemblement renzista più ampio (il partito della nazione?): la vittoria è assicurata. I grillisti dovranno attendere una nuova occasione mentre procederà la "normalizzazione", anche attraverso una messa in riga del potere giudiziario e un più stringente intervento sui mezzi di informazione. I bersaniani, decisi a votare sì per non far notare la propria inconsistenza, saranno asfaltati: se ne salverà solo qualcuno, previa conversione e giuramento di fedeltà.
Nel referendum costituzionale (quello elettorale non si farà a tempo a farlo) a sostenere la posizione del no sarà soprattutto la sinistra: quella politica, sempre più sbrindellata, quella sindacale, quella dei professori e dei magistrati. Non è prevedibile un grande successo. Questo sarà facilmente presentato come il "fronte conservatore" e i suoi sostenitori come i "difensori dell'esistente", di un esistente, peraltro, su cui pesa una generalizzata insoddisfazione. La sinistra, culturale, sindacale e politica, non ha saputo o forse voluto contrapporre alle riforme autoritarie, più volte tentate negli ultimi due decenni e finalmente realizzate, contrapporre una proposta positiva, ancora più innovativa, capace di mobilitare le intelligenze e le speranze, una riforma che liquidasse privilegi di politicanti, inefficienze, superfetazioni burocratiche, dando corpo ad una più forte partecipazione dal basso, anche utilizzando le risorse positive della rete.
E' inutile farsi illusioni: in questa condizione non si può vincere, anche perché alla critica giusta della riforma costituzionale non si accompagna una proposta credibile. Proposte sulla riduzione dei membri del parlamento eccetera verranno giudicate per quello che sono state in parlamento: non una riforma organica, chiara nei suoi fondamenti e nelle sue direttrici, ma un tentativo per frenare la riforma di Renzi.
C'è però una possibilità di dare un senso a questa battaglia di minoranza ampliando i consensi e solidificando strutture: che i comitati del No si facciano ora, anche in ritardo, elaboratori e propositori di una nuova idea di società, di una riorganizzazione democratica che punti sulla partecipazione e la trasparenza, che rifaccia soggetto di politica i cittadini che sono diventati oggetto. Si tratta di dimostrare nei fatti e con l'esempio - e si può - che un potere condiviso e ampio è più efficiente ed efficace delle semplificazioni autoritarie. Nella battaglia e nella elaborazione possono emergere temi, idee, personalità, può prodursi l'inizio di una nuova sinistra più coerente con le sue radici egualitarie e democratiche (di potere dal basso).

Io ci spero e nel mio piccolo voglio dare una mano.

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