7.5.16

Sigarette nel Parmigiano. Dalla patata alla Lucky Strike (Romano Costa)

In quell'anno nel paese di montagna cominciò la monocoltura della patata, e quando a fine estate le foglie dei tuberi si seccarono, aiutai il nonno a raccoglierne le più morbide per le sue sigarette. Erano avvolte in una striscia di un vecchio giornale, tutti fumavano quelle foglie, chi nostalgici dei toscani, chi delle Africa e il nonno delle Serraglio, di cui in casa erano conservate alcune scatole piatte, fu anche la prima sigaretta che io fumai.
In giro, c'erano i tedeschi, e Mario, un giovane idiota del villaggio, un giorno raccontò di averli visti salire al paese, armati, disse, come i giudei della Via Crucis nella chiesa del paese. Ma fu solo qualche mese dopo che per alcuni giorni i tedeschi occuparono il paese, il comando alloggiato nella casa, un tempo sede di vescovado, frequentato dalla Pina, che solo pochi mesi prima era stata fatta reginetta in un ballo dei partigiani. Ci va anche per fumare le vere sigarette, era il maligno commento del paese.
Poi la guerra finì, alla Pina furono tagliati i suoi corvini e lunghi capelli, e il paese aspettò l'arrivo degli americani.
Il paese continuava a fumare foglie secche di patate, e il nonno insieme agli altri notabili del paese: il veterinario, l'esattore delle tasse, un vecchissimo medico in pensione, per più giorni furono impegnati a organizzare l'accoglienza dei liberatori, che alla fine arrivarono in tre o quattro su una jeep, accolti dallo sventolio di un pezzo di lenzuolo dipinto di una manciata di stelle e strisce, opera di un renitente alla leva già studente dell'Istituto d'arte e disegno di Parma.
Alla festa per l'arrivo degli americani era poi seguito un pranzo, e alla sera, ripartiti gli americani, era stato per ordine del nonno che avevo raccolto le lunghe cicche di Lucky Strike lasciate in terra e sul tavolo, che poi il nonno avrebbe finito di tirare per molti giorni.
Fu poi nell'estate che la mia famiglia tornò in città, dove la Pina era a servizio in una casa di nostri vicini, e un giorno da mia madre fu vista fumare quelle che erano le americane, che adesso anche il nonno fumava fedele alle Lucky Strike.
Ma adesso erano tutti che fumavano americane, che si trovavano al mercato nero, e di cui facevano ostentazione quei nativi della provincia, che dal sud, risalita l'Italia, tornavano reduci dal Corpo Volontari della Libertà, e altri ancora dalla Grecia, Albania, Germania.
Due anni prima avevo lasciato i miei coetanei Balilla, e con loro succhiato liquorizie e bevute gazose, ma adesso anche loro fumavano americane, che anch'io fumai attingendo dal pacchetto del nonno, fin quando lui si avvide di quella sottrazione.
Fu così, da quel giorno, che tornai a raccattare le cicche delle americane dai militari lasciate sui tavoli dei caffè sulla piazza, come già avevo fatto il giorno della liberazione del paese. Ma presto l'ancora per poco tempo Real Monopolio dei Tabacchi, cominciò la produzione della sigaretta Aurora; il logo sul pacchetto, la luce del sorgente sole su un paesaggio di nere macerie, le sigarette compresse nel pacchetto da venti, nelle tabaccherie prevalentemente vendute anche sciolte, a consentirmene l'acquisto di due tre al giorno.
Poi, con l'anno nuovo, a migliorare la situazione ebbi la paghetta settimanale per le piccole spese, e invece di un gelato, un castagnaccio, una gazosa, furono Luky Strike che comprai.
Era al cinema in tre quattro amici, dove più si fumava, a giorni fino a cinque sigarette a film, anche quelli americani. Tre quattro volte vedemmo gli stessi film, e presto, cominciammo a fumarci anche Chesterfield, Camel, e fin Pall Mall che, lunghe com'erano, ci facevano vomitare.
A farmi conoscere le Pall Mall era stato Luigi, uno del paese fatto prigioniero in Africa, poi deportato in America, e reduce da quel paese, che nel suo ritorno a casa, aveva chiesto per una notte ospitalità a casa dei nonni.
Sembri Truman, disse mio nonno a quel giovane alto che non conoscevo, che masticava gomme, fumava Pall Mall, e sul naso aveva il tipo di occhiali da vista, reso noto al mondo dall'immagine del presidente americano, e anche un po' nostro perché, allora, eravamo tutti americani.
Frattanto il Monopolio dei tabacchi diventato solo di stato, continuò a fabbricare sigarette, che non erano più solo Aurora, ma anche di altre marche, anche quelle destinate a un mercato povero, poiché le americane, che si trovavano al mercato nero, continuavano ad essere le più fumate, pur se adesso insidiate dalla concorrenza delle svizzere che cominciarono allora ad arrivare sul mercato di contrabbando.
Una novità quelle sigarette che uscivano piatte da scatolette di cartone, a ricordare ai grandi le Serraglio di un tempo, i loro nomi quelli per noi esotici di Xantia, Turmac, Lawrence. E così, furono le svizzere che fumammo a lungo nel cinema, con la visione di Per chi suona la campana, Ingrid Bergman, Maria, a vergognarsi con l'Igles dei suoi corti capelli, a ricordarmi la Pina in gran pianto quando sulla piazza le avevano rapato la testa.
In giro continuavano a esserci i liberatori, che ci facevano salire sulle loro jeep, ci regalavano le gomme e, a volte, anche buste di tabacco e cartine per sigarette, da dare, dicevano a nono; ma poiché le americane avevano presto imparato a farcele, quel bendiddio lo tenevamo per noi.
Ma non fu più solo al cinema che fumammo, ma anche fra i ruderi di quello ch'era stato il grande monumento a Verdi, bombardato l'inverno prima, frequentato dalle prostitute e militari americani, di cui un giorno la città si trovò svuotata, e nelle sue piazze e vie s'avvertì il vuoto di quella ch'era stata la loro rumorosa, allegra, presenza.
Con la loro partenza erano scomparse anche le lunghe cicche di americane sui tavolini dei caffè e tra i ruderi del monumento a Verdi, abbandonati anche dalle prostitute.
La mia paghetta non fu più in am lire, ma in una nuova moneta, perché c'era da rifare l'Italia repubblicana; negli edifici pubblici comparve la bandiera tricolore senza più lo stemma sabaudo, e in piazza Garibaldi, i cittadini in folla, andarono ai comizi dei capi dei partiti che parlavano dal balcone del Palazzo già del governatore.
Adesso tutti discutevano di politica, era tutto un gran sfilare di bandiere rosse, e in casa, dopo i pasti, il nonno beveva un Fernet, e continuava a fumare americane.
Quanto a quell'adolescente, fumare non era più per imitare i grandi, ma «vizio» costoso, e poiché la paghetta che gli continuavano a passare da casa era insufficiente per l'acquisto di americane, quello che allora fumò a lungo, furono sigarette del Monopolio di Stato dei Tabacchi.
Erano sigarette dal sapore aspro mezze svuotate del tabacco, che bruciavano solo dopo poche tirate, acquistate a cinque per volta dal tabaccaio strette nella schedina della Sisal. Frequentare la scuola gli diventò un supplizio, preferendogli la sala di lettura della Biblioteca Palatina a Palazzo della Pilotta, dove fra letture di romanzi e libri di storia, era quella de Il Mondo che lo fece anglomane.
E furono le inglesi che fumò, a procurargliele la Pina, che, allegra, diceva, gliele avrebbe poi pagate a babbo morto. Una donna bellissima, che i suoi capelli, corvini ricresciuti lunghissimi e folti, aveva tinto biondi, e che faceva contrabbando di sigarette in società con un ex partigiano. Lo aveva visto, le chiese un giorno, la Ingrid Bergman rapata? E la Pina aveva riso allegra, e detto, figa, sì, che l'aveva vista, e molto le era piaciuto Gary Cooper.

Adesso non rubava più le sigarette del nonno. Continuò a fumare inglesi, ma già c'erano amici che erano stati a Parigi, e di là avevano riportato le Gauloises e Gitanes, fumate, raccontarono, da giovani esistenzialisti e dallo stesso Sartre, l'autore di La morte nell'anima, la dolorosa maturazione di un intellettuale nella Francia travolta dal nazismo. E fu il tempo delle francesi. E la fine dell'adolescenza di un young smoker francomane a termine. 

il manifesto, 7 luglio 2004 

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