14.6.16

Herbert Huncke. William S. Burroughs legge “Colpevole di tutto”

Riprendo da “La Stampa”, la lucidissima paginetta che su Colpevole di tutto, il romanzo autobiografico di Herbert Huncke ha scritto William S. Burroughs, ripresa nella edizione italiana finalmente pubblicata da Endemunde. Il libro di cui si ragiona a me è parso un capolavoro.

Colpevole di tutto si innesta nella tradizione picaresca del Satyricon e de Il viaggiatore sfortunato di Thomas Nashe: una serie di avventure e disavventure che capitano a un protagonista talmente immerso nelle cose della vita da considerare irrilevante ogni preconcetto morale. Lo stesso tipo di protagonista riappare nelle vesti dell’antieroe esistenziale de Lo straniero di Camus: un essere umano motivato dalla sopravvivenza in un ambiente alieno e spesso ostile.
In età molto precoce Herbert Huncke fu privato di ogni supporto familiare e quindi esposto a una dipendenza dalla droga durata tutta la vita. Qui il protagonista, gettato in acqua, o annega o nuota. Così impara qualcosa dell’acqua.
Alcuni elementari meccanismi della vita affiorano da queste pagine. C’è Huncke dentro e fuori New York. In pieno inverno, senza soldi, senza una stanza, senza droga, costretto a dormire nei cinema notturni, nelle stazioni della metropolitana e nelle sale d’aspetto delle ferrovie. Alla Penn Station, un ragazzino gli chiede di dargli un occhio alla valigia mentre scende le scale. Huncke non è contento di quel che sta per fare ma pensa che per quel ragazzino sia meglio imparare, adesso, a non affidare mai la valigia a un estraneo. E dunque la ruba, e questo cambia il corso del destino.
Ha avuto i suoi guai e li ha pagati cari. Il destino lo premierà. La valigia non contiene niente che lui possa commerciare, tranne un paio di guanti che rivende a un ricettatore di Bickford per due dollari. Questo gli consente di comprarsi un po’ di tempo in un cinema. Un ragazzo che stava in compagnia del ricettatore lo segue fin lì. All’inizio Huncke non riconosce il nuovo volto della sorte. Dice al ragazzo di lasciarlo solo, non possono farsi del bene l’un l’altro. Ma il ragazzo conosce il suo ruolo. Presto saranno soci in una lunga serie di furti coronati da successo. Hanno una licenza di rubare. Quando tocchi il fondo sei già in risalita.
Gli onesti resoconti dei furti di Huncke trasmettono al lettore l’eccitazione di trovarsi in casa altrui sapendo che tutto ciò che vedi è tuo. Come quando entra nella casa di un dottore e si riempie le tasche di siringhe, scatole di morfina e Dilaudid. Una lunga serie di fortune.
Poi viene il furto sul quale nutre un brutto presentimento. Se Huncke avesse sempre dato retta ai suoi presentimenti si sarebbe risparmiato un bel po’ di anni dietro le sbarre. Fu punito dalla sorte quando ne violò le regole. Eccolo combattere contro la sua intuizione: tornare sul posto appena svaligiato per ripulirlo a fondo non è una buona cosa. E io, leggendo, mi trovo a dire tra me e me: «Huncke ma che fai, sei fuori? Non tornarci». Il fato lancia il suo avvertimento. E l’altra regola: mai tornare a casa se il tuo complice è stato blindato. Infrangere questa regola costerà a Huncke cinque anni.
***
Su e giù. Quando tutto va male, l’impossibile colpo di fortuna è lì che ti aspetta. Eccolo, senza un centesimo in tasca, bighellonare senza meta fin quando lo sguardo gli cade su due sacche piene di soldi sul sedile di un’auto, con le porte non chiuse a chiave. Come può esistere qualcuno di così sbadato? Può esistere perché a quel punto la fortuna è in debito di una schiarita con Huncke.
Huncke ha percorso la via della droga fin dal 1920, quando l’eroina stava a 28 dollari all’oncia, mentre adesso (fine anni Ottanta, N.d.T.) con 28 dollari ci compri solo due dosi. Il mondo della droga riflette le dinamiche inflazionistiche mondiali. Occorre sempre di più per comprare sempre di meno. Ciò in parte è dovuto al numero crescente di consumatori. Ma anche alle deliberate manipolazioni del mercato, rivolte a creare penuria chiudendo i rubinetti dell’offerta. Ho visto questo fenomeno realizzarsi in Marocco. Pochi speculatori acquistano beni essenziali come zucchero, cherosene, olio da cucina e li imboscano in un magazzino per una settimana. Cosicché in breve questi beni sono pronti a tornare sul mercato a prezzi gonfiati. Lo stesso capita con la droga, come Huncke fa notare. Improvvisamente un’ondata di panico investe New York: niente roba, a qualsiasi prezzo. Dopo un periodo né troppo breve né troppo lungo, la droga riprende a circolare per le strade a tariffe doppie.
La droga è la merce primaria perfetta, da prendere a modello per descrivere le dinamiche economiche di ogni altro bene essenziale.
Questo libro non è solo la storia di un ladro e di un tossicodipendente. Copre un intero periodo della storia recente, visto attraverso le relazioni dell’autore con un certo numero di personaggi: il dottor Kinsey, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Neal Cassady, Gregory Corso, Alex Trocchi... L’autore dà sempre l’idea di trovarsi proprio dove l’azione si svolge o si dipanerà.
Il mio rapporto con Huncke abbraccia 25 anni. Un ricordo tra i tanti: nel pollaio della fattoria che avevo in Texas facemmo l’errore di spruzzare dell’insetticida su di un nido di scorpioni, e quelli si arrampicarono fin sul soffitto per poi piovere letteralmente sulle nostre teste mentre cercavamo invano di uscire dalla porta contemporaneamente.
Huncke è un grande narratore di storie e supera se stesso quando racconta qualche orripilante disavventura. Colpevole di tutto è un libro onesto, leggibile e pieno di informazioni, che incidentalmente diventa anche uno specchio della condizione umana.
(Herbert Huncke, Colpevole di tutto, trad. Federico Maria Roccavento, Endemunde, 2016)

“Tuttolibri La Stampa”, 16 aprile 2016



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